"Israele-Gaza? Tregua temporanea, non un vero accordo di pace. Hamas indebolito senza la leva negoziale degli ostaggi" 

Intervista a Luigi Toninelli, Junior Research Fellow presso il Centro ISPI

di Federica Leccese

Donald Trump alla Knesset

Esteri

L’analisi di Toninelli (ISPI): “Gli ostacoli sono numerosi, come anche i calcoli politici”

Il rilascio degli ostaggi. Il vertice per la pace a Sharm-el-Sheikh. La liberazione dei detenuti palestinesi. Insomma, tutto farebbe pensare a un processo di pacificazione concreto ed effettivo: ma è davvero così? Nonostante i numerosi passi in avanti, non si può ancora cantare vittoria. Significative restano le sfide da affrontare lungo il percorso negoziale, come significative le probabilità che questa pace rimanga soltanto una tregua temporanea. A fare chiarezza è Luigi Toninelli, Junior Research Fellow presso il Centro ISPI per il Medio Oriente e il Nord Africa, che ad Affaritaliani analizza le difficoltà e i veri ostacoli alla costruzione di un percorso politico tra Israele e la leadership palestinese.

Secondo Lei, quanto è solido questo accordo? Il cessate il fuoco può trasformarsi in un percorso di pace duraturo o resta solo una tregua temporanea?

“A rendere solido questo accordo è soprattutto il peso diplomatico esercitato da Washington. Tuttavia, dei venti punti dell’intesa iniziale restano ancora molti elementi da negoziare, e sarà proprio su questi che l’accordo potrebbe vacillare. Quale percorso si intende seguire per la nascita di uno stato palestinese? Quale forma di amministrazione per la Striscia di Gaza? Quanto tempo sarà necessario e in che modo si intende riformare l’Autorità Palestinese? Hamas accetterà di essere disarmata? Sono tutte domande per le quali al momento non si hanno risposte. Per questo, l’attenzione mediatica e il vertice odierno in Egitto sembrano più concentrarsi sulla firma di un cessate il fuoco che sull’avvio di un vero processo di pace”.

Quali sono le conseguenze al post-pace? Finito lo scambio e raggiunto il cessate il fuoco, quali sono i veri ostacoli alla costruzione di un percorso politico tra Israele e leadership palestinese?

Gli ostacoli sono numerosi, a partire dal percorso verso la nascita di uno stato palestinese fino al ritiro di Israele dalla Striscia di Gaza. A questi si aggiungono altri fattori più contingenti, legati a calcoli politici. Ad esempio, il governo israeliano potrebbe fratturarsi di fronte a un accordo percepito come sfavorevole e la componente più radicale potrebbe decidere di staccare la spina a Netanyahu.

Allo stesso tempo, la leadership di Hamas potrebbe incontrare difficoltà nell’applicare l’accordo a tutti i suoi miliziani, soprattutto per quanto riguarda il disarmo. Nella Striscia operano inoltre altre milizie, alcune delle quali negli ultimi mesi hanno ricevuto supporto da Israele. La sfida del disarmo è quindi tutt’altro che semplice e richiederà grande delicatezza per evitare il fallimento dell’accordo”.

Dopo l'annuncio del ritiro delle forze israeliane da Gaza, ci saranno nuovi scontri tra Hamas e altri gruppi armati presenti sul territorio? Chi controlla realmente l’enclave oggi?

“Difficile dirlo. Solo le prossime settimane potranno fornire una risposta. Nella Striscia, infatti, non c’è solo Hamas, ma anche il Jihad Islamico Palestinese e gruppi di banditi, con legami non troppo lontani da al-Qaida, che Israele ha sostenuto in chiave anti-Hamas. Garantire il controllo di Gaza, smilitarizzare sia le milizie sia queste bande armate sarà di vitale importanza per la sicurezza dell'enclave palestinese. Allo stesso tempo, però, la presenza di tali gruppi potrebbe fornire a Israele una giustificazione per nuovi attacchi”.

Hamas ne esce rafforzata o indebolita sul piano interno e internazionale? Potrebbe consolidare il suo controllo su Gaza o nasceranno nuove rivalità?

“Al momento, sembra uscirne molto indebolito. Tra pochi giorni si ritroverà senza ostaggi come leva negoziale. Il fatto che abbia accettato questo piano suggerisce che probabilmente ha ricevuto importanti rassicurazioni dall’amministrazione Trump che intende impedire a Israele di riaprire gli scontri armati. Allo stesso tempo, però, qualsiasi punto dei venti non ancora negoziato potrebbe essere sfruttato da Tel Aviv per giustificare nuovi attacchi. La situazione resta molto fluida e l’impegno statunitense, che oggi ci fa pensare di essere prossimi alla fine di quella fase del conflitto in Israele-Palestina iniziata il 7 ottobre, potrebbe rivelarsi presto inefficace". 

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