"Droni su Oslo? Mosca vuole testare l’efficacia della risposta Nato e seminare panico per alimentare la polarizzazione politica”

Eleonora Tafuro Ambrosetti (Ispi): “L’obiettivo è chiaro: gettare la popolazione in una condizione di incertezza, seminare panico e sfruttare quel panico per alimentare polarizzazione politica e tensione sociale”

di Federica Leccese

Vladimir Putin

Esteri

Dietro i droni su Oslo e Copenaghen: Tafuro (ISPI) racconta le mosse di Mosca

Aumentano sempre di più le tensioni sul fronte internazionale dopo l’avvistamento di droni sugli aeroporti di Copenaghen e Oslo, che ha provocato disagi e dirottamenti di voli. Ma di cosa si è trattato esattamente?  A fare chiarezza è Eleonora Tafuro Ambrosetti, ricercatrice presso il Centro Russia, Caucaso e Asia Centrale dell'ISPI, che - in un’intervista ad Affaritaliani - ha illustrato gli obiettivi strategici di Mosca: “Testare la determinazione e l’efficacia della risposta NATO, osservando se ci siano membri più o meno forti nelle loro posizioni, o meno ostili nei confronti della Russia”.

Alla luce di quanto accaduto a Copenaghen e Oslo, quali obiettivi strategici potrebbe avere un attacco con droni a infrastrutture civili come gli aeroporti?

“Mi viene subito in mente l’elemento più evidente di questi ultimi anni: l’uso dei droni come strumenti offensivi anche nella guerra ibrida. Tutti gli incidenti verificatisi negli ultimi giorni mostrano come la Russia si muova in una sorta di zona grigia: non c’è stato un attacco aperto in nessuno dei casi. Parliamo sempre di droni o aerei che hanno violato lo spazio aereo di Paesi della NATO.

L’obiettivo strategico di Mosca, in questi casi, potrebbe essere quello di testare la determinazione e l’efficacia della risposta NATO, osservando se ci siano membri più o meno forti nelle loro posizioni, o meno ostili nei confronti della Russia. Alcuni di questi già li conosciamo: in primis Ungheria e Slovacchia, ma anche la Turchia. In sintesi, è un modo per Mosca di sondare anche la coesione dell’Alleanza.

Per quanto riguarda gli attacchi alle infrastrutture civili: non si tratta di attacchi “aperti”, ma di provocazioni che hanno avuto ricadute significative sul traffico aereo. In passato, però, ci sono stati episodi anche più diretti, con attacchi reali alle infrastrutture civili. In questi casi l’obiettivo è chiaro: gettare la popolazione in una condizione di incertezza, seminare panico e sfruttare quel panico per alimentare polarizzazione politica e tensione sociale”.

Che ruolo può giocare Mosca in episodi del genere e come si inseriscono questi eventi nel quadro attuale delle relazioni NATO-Russia?

“In questi giorni sto leggendo vari paragoni con quanto accadde nel 2015, quando la Turchia abbatté un jet russo che aveva violato il proprio spazio aereo. L’argomentazione è che Erdogan, allora, reagì con molta fermezza, eppure la Russia non intraprese alcuna azione militare contro Ankara, ma impose “solo” sanzioni - molto pesanti - e sospese il regime dei visti. Tuttavia, secondo me, questo paragone è fuorviante.

All’epoca, Russia e Turchia avevano (e ancora oggi hanno) una partnership strategica molto importante. Probabilmente, da un punto di vista economico era più rilevante per Ankara, ma a livello strategico Mosca la considerava cruciale, soprattutto nel contesto siriano. Ricordiamo che proprio in quegli anni si era formato il gruppo di Astana con Turchia, Russia e Iran, un meccanismo regionale per gestire la crisi siriana.

Oggi, invece, ci troviamo in un contesto completamente diverso. Le relazioni tra Russia e NATO, così come quelle con l’Unione Europea, sono al minimo storico. Per questo motivo, incidenti come quelli attuali sono molto più pericolosi rispetto all’abbattimento del jet del 2015”.

Cosa ci dicono questi incidenti sulla vulnerabilità delle infrastrutture critiche europee? I sistemi di difesa attuali sono adeguati contro minacce di questo tipo, o siamo impreparati?

“Guardando alla risposta sproporzionata in termini di risorse messe in campo, è evidente che dobbiamo trovare modalità più efficaci e sostenibili per contrastare minacce di questo tipo. Oggi ci troviamo a usare F-35 o batterie di missili Patriot - che costano milioni di dollari - contro droni che valgono poche migliaia di dollari, anche meno di 10.000.

È una sproporzione che rende la nostra risposta, sì, efficace, ma assolutamente insostenibile nel lungo periodo.Per questo, si sta parlando sempre più di investimenti in tecnologie di disturbo delle comunicazioni, capaci di neutralizzare i droni senza necessariamente distruggerli. In altre parole, paralizzarli, disattivando la comunicazione con il pilota remoto. Questo tipo di contromisura permetterebbe una risposta molto più proporzionata, anche in termini di risorse economiche e militari”.

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