Il mondo alla rovescia: quando la verità diventa un’opzione
Non a caso, nelle democrazie “evolute”, chi non vota è ormai la maggioranza. Preoccupiamoci
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Il mondo alla rovescia: quando la verità diventa un’opzione
C’è un filo rosso che taglia in due il nostro tempo: uno slittamento lento e inesorabile in cui logica, raziocinio e verità non contano più. Tutto ciò da quando Donald Trump ha riscritto il manuale della politica globale trasformando l’impossibile in routine, la menzogna in opzione, la manipolazione in linguaggio naturale, l’offesa e l’insulto in intercalari.
È stato lui a mostrare al mondo che la verità non serve, basta dichiararne un’altra, più conveniente, più rumorosa, più “viralizzabile”. È la post-verità? No, è oltre: è la verità come oggetto di design, modellabile e reversibile. E quando questa logica tossica arriva dalla principale democrazia del pianeta scatta il lasciapassare per tutti. Ognuno dice ciò che vuole, attribuisce ciò che vuole, insinua ciò che vuole. Senza mostrare fatti, senza responsabilità, senza vergogna, senza conseguenze. Gli esempi si sprecano.
Prendiamo l’Ucraina, accusata di corruzione, sprechi, mazzette. Probabile che casi ci siano stati, ci sono in tutte le democrazie del mondo dove scorrono soldi pubblici. La differenza, però, è che nelle democrazie emergono, diventano scandali e costano carriere. In Ucraina persino un fedelissimo di Zelensky ha pagato in prima persona. Nelle autocrazie, no. Nella Russia celebrata con timida nostalgia da certi politici occidentali, gli oppositori non vengono “investigati”, vengono messi a tacere, isolati e talvolta uccisi.
La lista è lunga, l’ipocrisia ancora di più. Poi c’è Orban, che piccona quotidianamente Bruxelles accusandola di debolezza e incompetenza. Curioso, per uno che negli anni ha beneficiato a piene mani dei fondi europei che hanno modernizzato il suo Paese. La domanda è semplice: cosa ci fa ancora nel club europeo? Se l’UE è così inefficiente, incoerente, inutile, perché Budapest non prende la porta? Perché non apre un dibattito pubblico, non avvia un referendum, non prova la vita fuori dall’Unione? La risposta, silenziosa quanto ovvia, è: perché non conviene.
Trump dopo la sua personale vittoria nella Striscia di Gaza (onore al merito, anche se non ha mediato nulla ma ha imposto) è tornato ad agitare lo scenario come un martello pneumatico politico sull’Ucraina. Un giorno attacca Zelensky, il giorno finge di attaccare Mosca. Una costellazione di dichiarazioni contraddittorie che ha l’unico effetto di destabilizzare il dibattito, confondere le alleanze, rendere indistinguibile la posizione della prima potenza mondiale.
Un caos calcolato, che si innesta perfettamente con la postura russa, un’autocrazia che si traveste da democrazia quando serve e che nel frattempo brucia miliardi senza riuscire a vincere la guerra che ha iniziato. A proposito di caos, anche la Russia dichiara che non cerca lo scontro con l’Europa ma nei fatti ha un passato eloquente di invasioni sempre negate che poi invece si sono concretizzate.
Però per molti Putin resta una persona offesa che cerca solo di difendersi, da cosa non si sa, in un totale ribaltamento della verità. Poi c’è l’Europa. Un gigante economico con una politica estera da condominio litigioso: Macron europeista, Meloni filo statunitense nei consessi internazionali, Scholz prudente, Orban sabotatore permanente. Ne esce una linea comune che non esiste.
E infatti le armi all’Ucraina arrivano a singhiozzo, con la logica degli “spizzichi e bocconi” dettata più dall’umore americano che da una strategia europea. L’Europa continua a seguire Washington, a compiacerla, nella speranza di mantenere un legame con gli Stati Uniti. Ma da che parte vuole stare l’Europa? Perché se davvero vuole stare dalla parte della democrazia, allora serve fare ciò che non si osa dire: armare l’Ucraina davvero, in modo sufficiente, per fermare l’avanzata russa una volta per tutte.
Alla fine il quadro è un mondo impazzito, capovolto, dove ruoli, responsabilità, alleanze e verità saltano come tappi di champagne. È il mondo che Trump ha inaugurato e che molti, troppi, hanno imparato a imitare. Ed è proprio in questo rumore assordante che rischiamo di perdere ciò che conta davvero, la capacità di discernere, di giudicare, di difendere ciò che è vero da ciò che semplicemente appare vero. La democrazia, in fondo, comincia da qui, ma qui potrebbe anche finire. Non a caso nelle democrazie “evolute” chi non vota è ormai la maggioranza, preoccupiamoci.