In Europa cambia il paradigma grazie a Meloni: il PPE si allea con le destre e "ribalta" il Green Deal
L’Aula ha approvato degli emendamenti sulla revisione delle direttive su sostenibilità ambientale e diritti umani delle aziende
In Europa cambia il paradigma: il PPE rompe il tabù e vota con le destre
Giovedì scorso a Bruxelles per la prima volta le destra compatte hanno fatto passare un provvedimento sull’annosa revisione delle direttive dedicate alla sostenibilità sociale e ambientale delle imprese, l’assemblea ha approvato giovedì 13 novembre gli emendamenti più radicali, grazie ai voti dei partiti del centro-destra e della destra.
I voti a favore sono stati 382, quelli contrari 249, le astensioni 13. Per molti a Bruxelles, la decisione di giovedì del Partito popolare europeo di collaborare per la prima volta con l'estrema destra sulla legislazione – al fine di ribaltare una manciata di onerosi regolamenti ambientali e sui diritti umani – ha segnato l'attraversamento di un Rubicone.
"È un giorno nero per la democrazia europea", ha dichiarato René Repasi, un legislatore socialista tedesco. "Siamo sonnambuli per infrangere un tabù, le cui ricadute sono imprevedibili”. Mai prima era accaduto al Parlamento europeo che i popolari, da anni alleati con verdi socialisti e liberali, avevano votato insieme alle destre e contro la solita maggioranza, che negli ultimi dieci anni ha governato (male) il parlamento europeo.
Nella passata legislatura esisteva il cosiddetto cordone sanitario, che impediva ad esponenti delle destre di assumere incarichi di potere all’interno del Parlamento europeo. Una pratica da medioevo che cercava di emarginare gruppi politici che avevano il consenso di centinaia di migliaia di cittadini. E sono anche questi gli atteggiamenti che hanno spinto sempre più cittadini a votare per le destre, come l’ascesa di AfD in Germania mostra con tutta evidenza.
Il voto di giovedì ha forse definitivamente sdoganato il dogma che nelle istituzioni le destre fossero figli di un Dio minore. Ma non era la prima volta che i popolari votassero con i conservatori europei dell’Ecr, che sono i protagonisti di questo cambio di paradigma del Parlamento, che sta mettendo in seria discussione, per esempio quello che era stato il fulcro portante della passata legislatura, che ha generato la crisi di interi settori industriali europei, come l'automotive, e l’acciaio.
La stessa presidente della commissione, Ursula. Von der Leyen, qualche settimana fa, ha ammesso candidamente (con colpevole ritardo) che il piano verde della Unione europea, era da rivedere radicalmente, per i danni che aveva prodotto sull’economia europea, a tutto vantaggio della Cina. Una tesi da tempo portata avanti dal coraggioso e sparuto gruppo dei conservatori europei italiani, guidati da Carlo Fidanza e Nicola Procaccini.
“Nella precedente plenaria, un compromesso raggiunto dal Ppe con le sinistre era stato bocciato, mentre quello siglato oggi con i gruppi di centrodestra è stato approvato dall'Aula. Questo ci porta a dire che anche per i prossimi passi nel percorso di semplificazione lo schema non potrà che essere lo stesso. La sinistra è nemica dell'impresa, nemica delle piccole e medie imprese, nemica della semplificazione burocratica” ha commentato lo storico voto di giovedì Carlo Fidanza, capo delegazione di Fdi al parlamento europeo.
Di rimando Nicola Procaccini, co presidente del gruppo Ecr, ha aggiunto che "Finalmente sta tornando un po' di buon senso anche al Parlamento europeo. La strada è ancora lunga, ma finalmente ci si muove nella giusta direzione. Una fonte interna dei popolari ha candidamente ammesso che, se i socialisti avessero voluto davvero prevenire la rottura dei tabù del voto dei popolari con le destre, avrebbero potuto semplicemente forgiare un compromesso con il PPE.
Non l'hanno fatto per una semplice ragione: il centro a sinistra è malato del cordone sanitario come chiunque altro. In un'epoca di crescente polarizzazione, non c'è modo migliore per unire il lato sinistro dello spettro politico che ritrarre il centrodestra come opportunisti vigliacchi che non si fermeranno davanti a nulla, compresa la collaborazione con gli estremisti, nel perseguimento della loro agenda. In altre parole, è quello che accade in Italia, dove la sinistra non ha altri argomenti che accusare la destra di essere illiberale e di avere ancora legami con la nostalgia del regime fascista.
Ed è lo stesso paradigma usato in Spagna, dove il messaggio centrale dei socialisti del primo ministro Pedro Sánchez è stato a lungo che un voto per il centrodestra (Partido Popular) è in effetti un voto per l'estrema destra franchista di Vox. perché l’argomentazione non regge a maggior ragione da quando Gorgia Meloni è diventata primo ministro in Italia. La sua guida autorevole, ben ancorata ai principi atlantisti ed europeisti, ha inevitabilmente mostrato l’assoluta infondatezza di queste affermazioni.
“La sinistra ha sottovalutato il fatto che la cultura può contare più del reddito. Ma finché insisterà a parlare solo di diseguaglianze, senza affrontare il terreno delle identità, continuerà a perdere proprio tra i suoi ex elettori”. Spiega Guido Tabellini, professore di economia ed ex rettore dell'Università Bocconi di Milano, nel suo recente studio “residential lecture: identity politics”. Ed è proprio quello che sta accadendo in questi ultimi tre anni in Europa, così come negli Stati Uniti.
Le destre sono ritenute più pragmatiche e concrete su quelle questioni cruciali legate ai bisogni della vita quotidiana della gente comune. Temi come la sicurezza, il lavoro, la difesa del lavoro sono ormai da tempo usciti dai radar della sinistra, che preferisce invece concentrare le sue attenzioni su battaglie, giuste nei principi, molto meno nei modi, come quella della difesa tout court dell’ambiente o della difesa dei diritti delle minoranze.
Giorgia Meloni è stato forse l’ultimo tassello che mancava per scardinare la teoria (sbagliata)che le destre al governo fossero illiberali e democratiche e che avrebbero provocato sconquassi nelle democrazie dell’occidente. Da pericolosa sovranista (come Orban in Ungheria) si è invece trasformata nella “regina d’Europa”, come l’ha definita le Parisien qualche mese fa, e ha portato l’Italia ad essere un modello per tutta Europa, come ha invece scritto Il Financial Times, il mese scorso. Il voto di giovedì al parlamento europeo è solo una naturale conseguenza di tutto questo., E probabilmente è anche il cambio di paradigma della politica europea di questi ultimi vent’anni.