Interpretazione, volontà e rappresentazione: la strategia di espansione cinese
In un saggio anticipato da Le Monde, numeri ed evidenze della strategia di potenza messa in atto da Pechino
Cina, interpretazione, rappresentazione e volontà: ecco come la Cina sta conquistando il mondo
Sono due i titoli che vengono alla mente riflettendo sull’ormai conclamata strategia di Influenza del Dragone imperiale cinese: da una parte “L’interpretazione dei sogni”, celeberrima opera di Sigmund Freud, dall’altra “Il mondo come volontà e rappresentazione” del Filosofo tedesco Arthur Schopenhauer. Perché questa considerazione? L’accostamento è suggerito dalla documentatissima analisi degli studiosi francesi Paul Charon e Jean-Baptiste Jeangène Vilmer, dell’Istituto di Ricerca Strategica della Scuola Militare (Institut de Recherche Stratégique de l’Ecole militaire - IRSEM), i quali in “Les operation d’influence de la Chine” hanno raccolto oltre 600 pagine di dati e motivate riflessioni.
La poderosa ricerca, anticipata domenica scorsa dal quotidiano Le Monde, analizza con dovizia di particolari il modus operandi cinese, evidenziando le direttrici principali del suo disegno egemonico: per l’appunto, interpretazione, volontà e rappresentazione. L’interpretazione è quella che piega ogni fatto e accadimento (sia interno alla Cina sia esterno) alle esigenze della narrativa propagandistica statale, o meglio partitica, essendo il Partito Comunista Cinese (PCC) – e il suo leader Xi Jinping – la divinità assoluta cui improntare ogni azione quotidiana.
In questo senso, anche ogni apparente limitazione (come il recente giro di vite sull’utilizzo dei videogiochi) o invasione di campo da parte dello Stato (vedasi l’indottrinamento al pensiero unico che sempre di più monopolizzerà i programmi scolastici dei giovani Mandarini) deve essere “interpretato” come un’azione virtuosa, volta a preservare e diffondere lungo tutto l’orbe terracqueo le millantate eccellenze del modello cinese.
E che dire in questo senso del Covid-19? Un virus di eziologia ancora dubbia, ma certamente localizzata in Cina, eppure interpretato da Pechino prima come un problema occidentale e poi, da certe frange, addirittura alla stregua di un’arma biologica importata dall’Occidente per attentare alla salute del Dragone.
Questo culto dell’interpretazione concerne e sconfina ovviamente anche nella sfera economica: come scrive Le Monde riprendendo il lavoro di Charon e Vilmer, tutti i Cittadini e le Imprese cinesi hanno infatti l’obbligo cogente di collaborare con i servizi di informazione e sicurezza statali, condividendo ogni dato ritenuto necessario o anche solo utile. Va da sé come raccolta dati e profilazione non vengano certamente intraprese con i guanti: gli Autori parlano di “approccio machiavellico”, nel dar conto di “operazioni” la cui intensità si è andata di molto acuendo negli ultimi mesi, aderendo sempre più ai metodi tipici di Mosca.
E qui si innesta il tema della volontà. Che cosa vuole Pechino? Secondo Paul Charon e Jean-Baptiste Jeangène Vilmer, queste operazioni di intelligence (non scevre dall’utilizzo della mano militare) sono funzionali a quattro macro-obiettivi: difendere all’interno il modello cinese, lodare extra mœnia la tradizione del Paese, persuadere circa la benevolenza e la rettitudine del regime, rinforzandone al contempo la potenza oratoria e militare. Un sogno, quello del Dragone, che le evidenze dimostrano essere ormai realtà concreta: concreta e incancrenita in patria, con cellule e affiliazioni robuste sparse in giro per il mondo.
Traducendo fattivamente il noto adagio “volere è potere”, la volontà di potenza cinese fa leva su tre diverse e complementari tipologie di armi: la propaganda, ovvero la guerra all’opinione pubblica discordante, la guerra psicologica e infine la guerra del Diritto. L’approccio, così come evidenziato da Le Monde, è quello dei cerchi concentrici: si parte dagli eventi di prossimità, quelli più vicini, per allargare il diametro sino a invadere (sottinteso di fake news e di narrativa compiacente) l’intero agone mediatico internazionale.
Per farlo, si utilizza in primis e soprattutto il dissenso, manipolandolo sino a rovesciarne il significato: esempi macroscopici sono quelli di zona in Asia, ovvero Taiwan e Hong Kong, ma anche l’Australia e gli Stati Uniti, fra i desiderata principali del Dragone. Non sfugge all’artiglio neanche l’Europa, con la Svezia diventata principale laboratorio della propaganda, dopo i suoi tentativi di sfuggire, nel 2018, a una serie di attacchi perpetrati dall’Ambasciatore di Pechino, unitamente ai media e ai social cinesi.
Il tema della guerra psicologica s’interseca con quello del Diritto, meglio con quello della violazione del Diritto. Dalla dimensione immateriale di Internet sino a quella dei campi di sterminio e lavoro forzato nello Xinjang. E così, se da una parte i giovanissimi accoliti del PCC, iscritti al Gruppo della Gioventù Comunista, con l’appoggio di bracci operativi dello Stato riescono a violare gli account Facebook occidentali, affogando con oltre 40.000 messaggi di insulto un internauta australiano “colpevole” di aver primeggiato in una gara contro un Cinese, dall’altra l’etereo web diventa mezzo per avallare atroci crimini contro l’umanità.
Tali sono infatti le persecuzioni della minoranza musulmana uigura nello Xinjang, spesso (troppo spesso) maneggiate con negletta compiacenza da stampa e finanche istituzioni occidentali, quando non direttamente bollate come fake-news (è il caso degli scritti di Maxime Vivas, personaggio extrême gauche vicinissimo al Dragone). Sono infatti quattro anni, dal 2017, che Pechino “copia” Mosca nel moltiplicare le proprie virulente operazioni clandestine sui principali social occidentali, Facebook, Twitter e YouTube per primi, superandola peraltro in efficacia.
Sì, perché come scrivono Charon e Vilmer nel saggio anticipato da Le Monde, “la Cina seduce e soggioga, infiltra e costringe”, ed è così che intende essere rappresentata. Veniamo dunque al terzo punto della riflessione, analizzando cioè quello che della Cina appare. Ed è qui, se vogliamo, che oltre al danno si annida anche la beffa. Niente specchietti per le allodole, infatti, niente tentativi più o meno acconci di mascherare i propri intenti: la Cina si manifesta per quello che è, per quello che vuole essere, così come intende essere interpretata.
E lo dicono i numeri, accuratamente riportati da Le Monde: quasi 54.000 “chercheurs” reclutati da Pechino fra il 2008 e il 2016, per infiltrare i propri gangli all’estero e reperire informazioni di prima mano, oltre ad altri 20 milioni (repetita iuvant, 20 milioni!) di contatti più o meno direttamente riconducibili a Pechino e che – a oggi – per Pechino lavorano.
Una costellazione di aderenze, insomma, radicate nel tessuto produttivo attraverso basi cosiddette “boites aux lettres” che, utilizzando imprese civili note come CHBC, trasmettono informazioni a Oriente, senza tanti complimenti o patemi. Ed è proprio questa sua realizzata capacità di penetrazione e di oggetiva influenza a fare della Cina un avversario tanto temibile, coadiuvata in questa sua crociata orwelliana dai progressi esponenziali sortiti in tema di Intelligenza Artificiale (come si è visto anche per la campagna elettorale a Taiwan nel 2020).
Una minaccia che richiederebbe e richiede un fronte comune e unito di tutti quei Paesi che si richiamano alla Cultura del Diritto, nonché alla propria identità storica. Un tessuto che la Cina comunista cerca di spazzare via, sfruttando le rivalità più o meno grandi insite fra quelle Nazioni che dovrebbero, invece, fare massa critica contro il Dragone. Divide et impera, recita un noto adagio latino, e l’alter-ego di questo blocco coalizzato è il fronte comune promosso dalla Cina: un’accozzaglia miscellanea dove per colpire l’avversario si sfruttano i nemici del proprio nemico (“nemici di secondo grado”, scrive Le Monde), considerati dal Dragone poco più di “utili idioti”.
È questa la prospettiva cui vuole ridursi l’Occidente? Serve una presa di coscienza immediata, un sussulto degli spiriti e l’improcrastinabile messa in atto di un concreto progetto di Difesa comune, europea prima di tutto. Se non vogliamo essere travolti d agli eventi, dall’egemonica volontà altrui, in un momento storico in cui, tra l’altro, la presa dell’Afghanistan con la concomitante saldatura fra Cina e Talebani rischia di aprire (e forse ha già aperto) un pericoloso corridoio. Attraverso il quale il Dragone dilagherà ancor più fra noi.