Israele-Iran, il ruolo dell'Italia (e non solo)? Se fosse vivo Giovannino Guareschi esorterebbe il mondo alla pace giusta e duratura

Per il più letto e tradotto autore italiano del Novecento, papà di don Camillo e Peppone, Giovannino Guareschi (1901-1968), la guerra non è solo un conflitto armato, ma anche una lotta spirituale per preservare la fede e l'anima

di Matteo Castagna
Esteri

Israele-Iran, il ruolo dell'Italia (e non solo)? Se fosse vivo Giovannino Guareschi esorterebbe il mondo alla pace giusta e duratura

Il premier Giorgia Meloni e il Ministro della Difesa Guido Crosetto hanno detto che gli USA, per il momento, non hanno chiesto l'aiuto dell'Italia nel fornire basi militari a supporto di un eventuale attacco americano all'Iran. Meloni ha, anche, aggiunto, che qualora questa domanda venisse formalizzata, verrà valutata coi soggetti interessati. Ella ritiene prematuro formulare ulteriori giudizi, perché per il momento mancano i presupposti minimi.

La posizione di neutralità dell'Italia, di fatto, si sfila da quella di Merz, Starmer e Macron, che, dalle uscite pubbliche, sarebbero pronti a partecipare attivamente alla guerra. La rinata centralità dell'Italia nel consesso internazionale, per il momento sta frenando i desiderata bellicosi degli alleati europei, non solo sul fronte Mediorientale, ma anche su quello ucraino. La prudenza del nostro governo sembrerebbe giocare di sponda con Trump, ma nel pieno coinvolgimento di Ursula Von der Leyen, al summit strategico di ieri nella splendida cornice di Villa Pamphili.

La rivista La Fionda riferisce che alcuni giuristi italiani, internazionalisti, privatisti e pubblicisti, in riferimento ad un eventuale "prestito" di basi italiane agli Stati Uniti, nel caso di un coinvolgimento americano nella guerra, osservano:

a) l’attacco israeliano all’Iran integra, con ogni probabilità, un uso della forza armata internazionalmente illecito, dal momento che quest’ultima è consentita solo dinanzi a un attacco armato, e non certo per prevenire la preparazione (fra l’altro, indimostrata) di bombe nucleari da parte di uno Stato;

b) un eventuale intervento statunitense in appoggio a Israele si configurerebbe, dunque, come una forma di complicità, anch’essa internazionalmente illecita, nell’azione militare israeliana;

c) ogni supporto fornito a un tale intervento si tradurrebbe altresì, da parte italiana, in una gravissima violazione dell’art. 11 della Costituzione, che, ripudiando la guerra “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, vieta qualsiasi ricorso alla forza in contrasto col diritto internazionale, ivi compresa ogni forma di compartecipazione a simili azioni;

d) la suddetta violazione si verificherebbe anche se l’attacco israeliano fosse ritenuto, a differenza di quanto crediamo, un semplice episodio di una guerra più ampia, fra Israele e Iran, dal momento che l’art. 11 impedirebbe, anche in quest’eventualità, qualsiasi forma di coinvolgimento da parte italiana. Le azioni cui il Governo italiano si dichiarasse disponibile, in una fase delicatissima in cui un intervento degli Stati Uniti potrebbe generare una escalation nucleare senza precedenti, confermerebbero la sua insipienza giuridica e il suo spregio per la legalità internazionale e costituzionale, già resi evidenti dalla sua oggettiva complicità nei crimini di massa in corso sul Territorio palestinese occupato.

In questo momento storico sarebbe al contrario indispensabile recuperare il rispetto dei principi che hanno dettato la nostra costituzione e le carte internazionali nate dalla sconfitta del nazifascismo, e formare a livello internazionale un fronte non allineato, lontano dagli estremismi di Washington e Bruxelles e del sionismo internazionale.

Il documento è firmato da 31 autorevoli giuristi italiani:

"Pasquale De Sena, Nerina Boschiero, Ugo Mattei, Barbara Spinelli, Luigi Daniele, Veronica Dini, Alberto Lucarelli, Lucilla Gatt, Gianluca Vitale, Maria Rosaria Marella, Michele Carducci, Alessandra Quarta, Luca Nivarra, Marisa Meli, Luigi Paccione, Alessandro Somma, Fulvio Rossi Albertini, Fabio Marcelli, Claudio Giangiacomo, Luca Saltalamacchia, Carlo Iannello, Paolo Cappellini, Ugo Giannangeli, Fausto Gianelli, Domenico Gallo, Arturo Salerni, Cesare Antetomaso, Geminello Preterossi, Michela Arricale, Nicola Giudice, Carlo Augusto Melis Costa".

Si tratta di un segnale molto profondo che mira a spingere i big del mondo a trovare soluzioni diplomatiche, al posto dell'utilizzo delle bombe che stanno provocando il genocidio di un popolo, la devastazione dells Striscia di Gaza, le peggiori atrocità, morte di bambini ed innocenti.

Pare più incisivo questo appello, tra tutte le iniziative intraprese dalla società in sostegno alla pace equa e duratura.

Per il più letto e tradotto autore italiano del Novecento, papà di don Camillo e Peppone, Giovannino Guareschi (1901-1968), la guerra non è solo un conflitto armato, ma anche una lotta spirituale per preservare la fede e l'anima, e una lotta contro la disumanizzazione che essa porta con sé. Il suo "Diario clandestino" offre uno sguardo diretto e toccante sulla vita nei campi di prigionia, evidenziando la sofferenza, la fame e la lotta per la sopravvivenza.

Guareschi vede la guerra anche come una battaglia interiore, una lotta per mantenere la fede e la propria umanità di fronte alla barbarie. La fede, per Guareschi, è una milizia, una battaglia continua per salvarsi l'anima.

La guerra, quindi, non è solo un evento storico, ma anche un'esperienza esistenziale che mette alla prova i valori fondamentali dell'uomo.

L'esperienza della guerra porta Guareschi a confrontarsi con la perdita dell'innocenza, sia a livello personale che collettivo. La guerra distrugge le illusioni, rivelando la fragilità della civiltà e la crudeltà dell'uomo. Tuttavia, Guareschi non si lascia sopraffare dalla disperazione: la sua opera è anche un inno alla resilienza, alla capacità di ricostruire e di non dimenticare. Per questo, i veri vincitori sono solo coloro che riescono a non odiare. Nelle guerre non convenzionali attuali, quindi, non sembrerebbero prevalere costoro.

La diplomazia può essere l'unica soluzione al disastro, solo quando le visioni obnubilate dall'odio, sia esso religioso o politico, oppure anche etnico, viene almeno ridimensionato per il bene comune, che non ha connotazioni di destra o di sinistra, né è prerogativa religiosa o etnica, quanto applicazione del buon senso per una finalità nobile e giusta, che entra nella storia e la penetra come esempio per le future generazioni.

«Libertà è dovunque vive un uomo che si sente libero» scriveva il grande autore romagnolo. Aggiungendo che «ho dovuto fare di tutto per sopravvivere, tuttavia, tutto è accaduto perché mi sono dedicato ad un preciso programma che si può sintetizzare con uno slogan: “non muoio neanche se mi ammazzano”».

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