Sudan, l’allarme del Parlamento Europeo: "La guerra non è solo umanitaria, è geopolitica"
Alla conferenza del Parlamento Europeo esperti e attivisti denunciano la crisi umanitaria senza precedenti e chiedono a Bruxelles di isolare gli attori estremisti e sostenere una transizione democratica reale
Sudan, dall’emergenza alla pace: l’Europa chiamata a una scelta politica
Una pace duratura, non soltanto aiuti d’emergenza. È questo l’appello lanciato ieri dal Parlamento Europeo durante la conferenza “Il Sudan in crisi: trasformare l’azione umanitaria in una pace duratura”, a due anni e mezzo dall’inizio dello scontro armato tra Forze Armate Sudanesi (SAF) e Forze di Supporto Rapido (RSF), scoppiato il 15 aprile 2023. Davanti a una platea di eurodeputati, analisti e reporter, moderati da Manel Msalmi (advisor per i diritti umani del Milton Friedman Institute), i relatori hanno dipinto un quadro drammatico: la più grande crisi umanitaria del pianeta, con milioni di sfollati, carestia dichiarata e accuse di crimini di guerra da entrambe le parti.
Claude Moniquet, ex agente dei servizi belgi oggi giornalista, ha puntato il dito contro l’asse Iran–Fratellanza Musulmana, denunciando flussi di armi iraniane verso Khartoum attraverso il Mar Rosso e definendo l’eventuale radicamento di Teheran nel Corno d’Africa "una minaccia diretta alla sicurezza europea". Paulo Casaca, già europarlamentare portoghese, ha accusato il Qatar e altri Stati del Golfo di aver sostenuto per anni le fazioni islamiste sudanesi, mentre il regime ha chiuso una dopo l’altra le missioni di monitoraggio Onu, ultima delle quali UNITAMS.
Heath Sloane, analista di B&K Agency, ha avvertito che la guerra sudanese non è un conflitto locale: genera migrazioni di massa, rischia di esportare jihadismo e potrebbe consegnare il Paese a potenze ostili. Per questo, ha detto, l’Europa deve scegliere da che parte stare: con le donne, le minoranze, i giornalisti e la società civile che difendono il pluralismo.
Khalid Omer Yousif, ex ministro e leader dell’opposizione democratica sudanese, è stato netto: non esiste una soluzione militare. Le radici del disastro stanno in sessant’anni di dominio militare che hanno schiacciato la diversità del Sudan. Ha chiesto all’Europa di appoggiare la roadmap del Quad del 12 settembre, di moltiplicare gli aiuti e di sostenere la missione internazionale che indaga sui crimini di guerra, definendo il Movimento Islamico Sudanese "il vero regista del prolungamento del conflitto" e chiedendone la messa al bando come organizzazione terroristica.
Il giornalista e attivista Andy Vermaut ha ripercorso il tradimento della rivoluzione del 2019, soffocata nel sangue dai generali e dagli islamisti. Ha elencato orrori quotidiani – stupri di massa, carestia, uso di armi chimiche – e ha lanciato accuse precise: Egitto che arma apertamente le SAF; Arabia Saudita e Qatar che, attraverso canali opachi, finanziano l’acquisto di caccia cinesi e russi usati per bombardare civili, chiese e moschee; Khartoum che offre Port Sudan a Mosca come testa di ponte africana per rifornire milizie in tutto il continente. Al termine dei lavori è stato proiettato il recente reportage di France 24 che documenta l’impiego di gas tossici contro la popolazione civile da parte dell’esercito regolare.
Il messaggio finale rivolto a Bruxelles è stato univoco: l’Europa non può limitarsi a inviare cibo e tende. Deve isolare gli attori estremisti, vietare la Fratellanza Musulmana, garantire corridoi umanitari sicuri e investire politicamente su chi, in Sudan, vuole ancora una democrazia plurale. Altrimenti, hanno avvertito i relatori, le conseguenze arriveranno presto anche sulle coste del Mediterraneo.