Sudan, la partita a scacchi di Iran e Turchia nel cuore dell’Africa

Bertoldi (Milton Friedman Institute): "Il dramma sudanese non è più solo una questione interna: è diventato il terreno di scontro di ambizioni regionali e globali"

di Redazione
Esteri

Sudan, la partita a scacchi di Iran e Turchia nel cuore dell’Africa: l'analisi di Alessandro Bertoldi, direttore esecutivo del Milton Friedman Institute

Dal 15 aprile 2023, il Sudan è sprofondato in una guerra civile che non accenna a placarsi e molti pochi ne parlano, i morti sopratutto civili si contano in decine forse centinaia di migliaia, ma l’occidente sembra indifferente. L’attenzione é rivolta solo alle guerre mainstream. L’esercito regolare, guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan, si scontra con le Forze di Supporto Rapido (RSF) di Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemedti. Il conflitto, nato da anni di tensioni politiche e militari, affonda le sue radici nel colpo di Stato dell’ottobre 2021, quando Burhan ha soffocato la transizione democratica cacciando il governo civile. Da allora, il paese è precipitato in un vortice di violenza che ha trasformato rivalità interne in una guerra aperta, devastante e sempre più internazionalizzata".

"I combattimenti, inizialmente concentrati a Khartoum, si sono allargati come un incendio, inghiottendo regioni chiave come il Darfur e il Kordofan. Il bilancio è tragico: decine di migliaia di morti, milioni di sfollati e intere comunità allo stremo. Il vuoto di potere ha spalancato le porte a gruppi estremisti e, soprattutto, a potenze straniere che vedono nel Sudan un’arena per i loro giochi geopolitici. Iran e Turchia, in particolare, stanno alimentando una guerra per procura che rischia di frantumare ulteriormente il paese".

"Secondo un’inchiesta del Washington Post pubblicata a marzo 2025, la Turchia sta sostenendo l’esercito sudanese con droni Bayraktar TB2, forniti dall’azienda Baykar in un contratto da circa 120 milioni di dollari. L’accordo comprende sei droni armati, centinaia di munizioni guidate e l’assistenza di tecnici turchi sul campo. Grazie a questi strumenti, le forze di Burhan hanno riconquistato posizioni strategiche a Khartoum e Omdurman, consolidando il controllo su alcune aree chiave. In cambio, Ankara sembra aver ottenuto privilegi nei porti sudanesi, un tassello cruciale per espandere la sua influenza commerciale e militare nel Corno d’Africa. Per la Turchia, il Sudan non è solo un teatro di guerra, ma un’occasione per riaffermare il suo ruolo di potenza regionale, costruendo alleanze con gruppi locali, inclusi alcuni movimenti islamisti, e riprendendo le fila di un’influenza che richiama, in chiave moderna, i fasti dell’Impero Ottomano".

"Anche l’Iran non resta a guardare. Fonti credibili rivelano che Teheran sta rifornendo l’esercito sudanese con droni Mohajer-6, sistemi di comunicazione avanzati e attrezzature elettroniche, trasportati attraverso aerei legati ai Guardiani della Rivoluzione. L’obiettivo è chiaro: rafforzare la presenza iraniana nelle regioni orientali del Sudan, in particolare a Port Sudan, snodo cruciale sul Mar Rosso. Controllare queste rotte marittime significa sfidare le monarchie del Golfo e guadagnare un punto d’appoggio strategico per contrastare gli Stati Uniti e i loro alleati. Per Teheran, il Sudan è un altro pezzo del puzzle dell’asse della 'resistenza', la rete di alleanze che l’Iran coltiva da anni per espandere la sua influenza in Medio Oriente e oltre".

"Mentre Iran e Turchia muovono le loro pedine, i civili sudanesi pagano il prezzo più alto. L’introduzione di droni e armi di precisione ha reso il conflitto più letale e chirurgico, ma anche più devastante per le comunità locali. Organizzazioni come Human Rights Watch hanno documentato atrocità commesse soprattutto dalle RSF e dalle milizie alleate, in particolare nel Darfur: massacri, stupri, sfollamenti forzati e persino accuse di pulizia etnica. A Khartoum e Bahri, i droni turchi sarebbero stati usati per colpire aree abitate, causando vittime tra donne e bambini, in chiara violazione del diritto internazionale umanitario. A complicare il quadro, si registra la ricomparsa di gruppi armati a ispirazione islamista radicale, che combattono al fianco dell’esercito sudanese. Questi gruppi, spesso sostenuti da una retorica religiosa, usano i droni turchi per amplificare la loro capacità distruttiva, evocando scenari già visti in altri conflitti della regione".

"Il dramma sudanese non è più solo una questione interna: è diventato il terreno di scontro di ambizioni regionali e globali. Turchia e Iran, pur con obiettivi diversi, condividono un approccio spregiudicato: sfruttare il caos per consolidare la propria influenza. Ankara cerca di ritagliarsi un ruolo di primo piano nel Corno d’Africa; Teheran punta a ridisegnare gli equilibri del Mar Rosso. Nel frattempo, il Sudan rischia di trasformarsi in un campo di battaglia per procura, dove le potenze straniere dettano l’agenda e le speranze di pace si allontanano. Mentre le violenze si intensificano e le fratture etniche si approfondiscono, il destino del Sudan appare sempre più incerto. La popolazione, stretta tra il fuoco dei belligeranti e gli interessi delle potenze straniere, continua a soffrire. Senza un intervento internazionale deciso e un impegno reale per la pace, il paese rischia di sprofondare in un baratro da cui sarà sempre più difficile risalire”, così Alessandro Bertoldi, direttore esecutivo dell’Istituto Milton Friedman Institute in una sua analisi.

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