Trump e il realismo della forza: Gaza come modello (scomodo) per l’Ucraina

Imporre la realtà è più utile che continuare a immaginarla...

di Simone Rosti 

Donald Trump e Benjamin Netanyahu

Esteri

Trump e il realismo della forza: Gaza come modello (scomodo) per l’Ucraina

Non siamo mai stati teneri con Donald Trump, il bislacco presidente americano che ha scartavetrato la più antica democrazia del mondo come fosse un vecchio mobile di campagna. Eppure, va detto, sul dossier Gaza il tycoon ha fatto l’unica mossa possibile, quella che gli altri non hanno avuto il coraggio di fare: ha scelto la via della forzatura.

Non ha inventato la pace, ha semplicemente imposto la resa a un nemico — Hamas — già sconfitto militarmente da Israele, costringendo entrambe le parti a chiudere un conflitto divenuto assurdo e autolesionista. Non un colpo di genio, ma un gesto di realismo brutale, l’unica lingua che Trump conosce. Il Nobel per la pace è forse un’esagerazione, ma il risultato concreto resta: una Palestina che, privata del controllo di un’organizzazione terroristica, può almeno sperare in un futuro politico diverso.

Questo, che piaccia o no, è un fatto. La vera lezione di Gaza però non riguarda solo il Medio Oriente. È una lezione per l’Europa e per l’Occidente intero: le guerre purtroppo non si chiudono con gli appelli, ma spesso serve la forza, ancora maggiore di quella usata da chi ha provocato la guerra stessa. I pacifisti da talk show potranno indignarsi, ma la storia – anche quella recente – è impietosa: la pace arriva quando uno dei due contendenti è costretto a riconoscere di aver perso.

È una lezione che vale oggi più che mai per Mosca. La conquista dell’Ucraina da parte della Russia è, nei fatti, fallita. Putin non è riuscito a rovesciare Zelensky, non ha piegato la resistenza ucraina, e per completare la sua impresa dovrebbe sacrificare milioni di uomini, fino al collasso economico e sociale della Russia. Ma Putin non cederà mai di fronte a parole, sanzioni o “inviti al dialogo”, solo la pressione militare può spingerlo al tavolo delle trattative.

Trump sembra averlo capito e, dopo mesi di ambiguità, di tappeti rossi stesi a Putin e di illusioni di grande intesa tra “uomini forti”, pare finalmente aver compreso di essere stato usato. Ora promette nuove forniture di missili a lunga gittata e un atteggiamento più duro verso Mosca. È il ritorno del Trump realista, quello che non si ferma davanti alla forma se intravede la sostanza. L’Europa, invece, continua a cincischiare.

Predica la prudenza, confonde la neutralità con la responsabilità, lasciando che sia Washington a dettare la linea. Trump non è un santo, né un illuminato. È un uomo che conosce solo due strumenti: la minaccia e la pressione. Ma forse, nel mondo di oggi, sono proprio quelli gli unici che funzionano. Perché la pace, lo si voglia o no, nasce dalla consapevolezza che imporre la realtà è più utile che continuare a immaginarla.

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