Sicurezza, dalla mancata operazione Snam-OGE alla questione Huawei-5G: quando l'Europa diventa vittima dei suoi stessi veti 

Il commento

di Raffaele Volpi

Ursula Von Der Leyen 

Home

Europa, veti, diffidenze e sovranità: la sicurezza che divide invece di unire

La storia della mancata operazione Snam–OGE non è soltanto una vicenda finanziaria sfumata. È la fotografia nitida di un continente che, pur vivendo sotto lo stesso tetto istituzionale, continua a guardarsi con sospetto. Un continente dove la parola “autonomia strategica” viene ripetuta nei summit, nei documenti ufficiali, nei dibattiti europei; ma che, di fronte alle decisioni concrete, torna a essere una galassia di Stati che difendono le proprie infrastrutture come se non avessero vicini, solo potenziali concorrenti.

La Germania ha lasciato intendere di voler bloccare l’ingresso di Snam nella rete OGE per la possibile, lontana, ma evocata presenza cinese nella catena societaria attraverso la quota di SGCC in CDP Reti. Non un dettaglio tecnico: un segnale politico. Berlino manda il messaggio che ogni ombra considerata “non europea” è sufficiente a riaprire il dibattito sulla sicurezza nazionale. Il fatto che l’operazione coinvolga due Paesi dell’Unione – due partner, due economie integrate – non fa differenza: ciò che conta è la percezione del rischio.

Ed è qui che la vicenda diventa simbolica. Perché ormai non è solo una questione di capitali esteri: è una questione di sfere di influenza. La Cina non è più vista come un semplice attore commerciale; è percepita come una presenza sistemica, che unisce investimenti, tecnologia, logistica, finanziamento, ricerca e produzione in un unico disegno È per questo che la questione cinese torna dappertutto, anche dove non era direttamente chiamata in causa. Lo abbiamo visto nel caso Pirelli, quando l’intervento cinese nella governance e nella tecnologia dei pneumatici – soprattutto sulla parte sensoriale e di raccolta dati – ha richiesto un chiarimento politico e regolatorio. Lo vediamo nella crescente attenzione alle tecnologie dual-use: droni, semiconduttori, cyber-security, infrastrutture energetiche. Lo vediamo, soprattutto, nel capitolo più sensibile del decennio: il 5G.

Qui la narrativa si fa ancora più chiara. La corsa globale alle infrastrutture 5G ha rappresentato la prima vera guerra tecnologica del XXI secolo, dove la scelta del fornitore non era più un tema industriale, ma un tema di sicurezza nazionale. Huawei è diventata, per molti Paesi europei, il simbolo di un dilemma: innovazione a basso costo o protezione delle reti strategiche? E la risposta non è stata uniforme: alcuni Stati hanno limitato, altri escluso, altri ancora hanno mantenuto aperture parziali. La stessa Unione Europea ha faticato a costruire un quadro omogeneo, e ancora oggi non esiste una regola continentale pienamente coerente. È esattamente qui che si incrocia la questione più profonda dell’Europa contemporanea: la sicurezza non è più separabile dall’economia, e l’economia non è più separabile dalla geopolitica. Le operazioni finanziarie tra Stati membri non sono più un tema di mercato; sono un tema di fiducia Le partecipazioni industriali non sono più solo investimenti; sono posizionamenti strategici. Le tecnologie critiche – dall’energia ai dati, dal cloud all’intelligenza artificiale – sono diventate confini geopolitici invisibili. Ma la vera domanda è un’altra: se tutto questo è sicurezza, di chi è la sicurezza?

Perché mentre i Paesi europei rafforzano i propri meccanismi di tutela – Golden Power, controlli sugli investimenti esteri, limiti alla partecipazione in infrastrutture critiche – manca ancora un livello superiore: una sicurezza continentale, realmente condivisa. Oggi, ogni Stato difende il proprio perimetro come se fosse un fortino. L’Italia interviene sulle telecomunicazioni, sulla tecnologia dei sensori, sulle banche considerate strategiche. La Germania difende i propri nodi energetici e industriali con la stessa intensità. La Francia protegge i “campioni nazionali” con la consueta rigidità. E tutti, senza ammetterlo, trattano l’Unione come una cornice formale: utile per i principi, meno per le decisioni. Il risultato è un’Europa che si protegge, ma si protegge male: ognuno protegge se stesso, non il continente nel suo insieme. Le nazioni mantengono gelosamente la propria sovranità economica e la propria sovranità nella sicurezza, ma senza una vera cooperazione continentale questa doppia sovranità diventa una doppia vulnerabilità.

La vicenda Snam–OGE, il caso Pirelli, la questione Huawei 5G, i veti incrociati sul Golden Power, la frammentazione degli interventi su banche e tecnologie critiche, ci dicono tutti la stessa cosa: l’Europa sta difendendo i perimetri, ma sta perdendo la strategia. Continua a vedere la sicurezza come un insieme di confini nazionali, non come un bene comune. E in un mondo che si muove per blocchi – Stati Uniti, Cina, India, Medio Oriente, Africa, Indo-Pacifico – un continente diviso tra 27 sovranità difensive rischia di diventare un’arena di vulnerabilità, non un attore geopolitico indipendente.

Forse l’Europa dovrebbe smettere di parlare di autonomia strategica e cominciare davvero a costruirla. Perché finché difenderemo l’energia in un modo, la finanza in un altro, le telecomunicazioni in un altro ancora, e la tecnologia con regole diverse da Stato a Stato, resteremo prigionieri dei nostri stessi veti. E continueremo ad assistere a operazioni che saltano non per ragioni industriali, ma per ragioni di sfiducia reciproca. E in geopolitica, la sfiducia è l’esatto contrario della sicurezza.

 

Tags: