L’Italia che immagina, l’America che fa. Così si costruisce ancora il progresso

Federico Faggin, padre del microprocessore, al Festival Italia-USA di Vicenza: "Negli Stati Uniti dicono sì prima di dire no, da noi è il contrario"

di Mario Marchi

Federico Faggin

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L’Italia che immagina, l’America che fa. Così si costruisce ancora il progresso

C'è un filo invisibile che collega l'antenna con la quale Guglielmo Marconi creò la prima comunicazione radio transoceanica, al microprocessore, inventato da Federico Faggin. Un filo che attraversa l'Atlantico e unisce due epoche, due rivoluzioni tecnologiche, ma soprattutto due modi di fare innovazione. 

Al Festival Italia-America di Vicenza, organizzato dalla Fondazione Teatro Comunale  di Vicenza con le rappresentanze USA in Italia, questo filo si è materializzato grazie a Polomarconi, che ha portato sia l'inventore del chip che l'antenna originale di Marconi, come simboli della cultura e del progresso comune. Federico Faggin, 83 anni, vicentino trapiantato in Silicon Valley, resta l'esempio perfetto di brain drain produttivo. Nel 1971 alla Intel creò il microprocessore 4004, cambiando per sempre la storia dell'informatica. Ma la sua lezione va oltre va ben oltre.

"Gli USA? Ancora oggi consiglio ai giovani di andarci"

"Sì, lo consiglierei perché gli Stati Uniti a livello di organizzazione aziendale di come fare le cose. L'energia che hanno, la capacità innovativa di chi dice sì prima di dire no - qui si dice no prima di dire sì - quindi c'è una differenza non indifferente", spiega Faggin durante l'incontro vicentino. Una differenza culturale che per lui è stata decisiva: "Ragazzi sono andati in California per qualche tempo, poi sono tornati e hanno avuto delle carriere eccezionali proprio perché questo cambiamento di cultura, di modo di pensare, aiuta molto ed è complementare al nostro".

La rivincita del "pensiero orizzontale" italiano

Ma attenzione: non è tutto oro quello che luccica oltreoceano. Faggin rivendica con orgoglio il valore aggiunto italiano: "Io ho portato una fantasia, una capacità innovativa orizzontale che lì non c'era, e questo mi ha portato a risolvere un problema che c'era lì molto importante ma nessuno era mai riuscito a risolvere". Grazie a questa visione "laterale", tipicamente italiana, riuscì nell'impresa impossibile: "Si potevano fare tutti i pezzi di un computer con la stessa tecnologia quindi un computer poteva finire in un pezzettino di silicio mentre prima le memorie erano magnetiche, la unità centrale del computer richiedeva centinaia e centinaia di circuiti".

Le grandi aziende che non capirono il futuro

La storia di Faggin è anche una lezione sull'ottusità delle grandi corporation. Quando inventò il touch screen, racconta, "andavo dalla Nokia, dalla Motorola, dalla Rim facevo vedere come con i touch screen si potevano fare dei telefoni molto più intelligenti usando i gesti. L'unica ditta che ha capito era l'Apple, ma questo cinque anni dopo". Perfino Intel, dove aveva creato il microprocessore, non capì: "L'Intel non ha mai capito che il microprocessore era il futuro, si sono fermati. Anzi: erano più avanzati degli altri, però non avanzati abbastanza per capire la trasformazione che era in atto".

L'allarme sull'intelligenza artificiale

Oggi Faggin guarda con preoccupazione all'hype dell'AI. "L'intelligenza artificiale non è cosciente, quindi sono simboli in movimento. Siamo noi che diamo significato ai simboli", avverte. Il rischio? Delegare troppo alle macchine dimenticando che "l'elemento fondamentale è la coscienza: quella cosa che abbiamo e che non sappiamo neanche di avere". Per Faggin la differenza è netta: "Le probabilità giuste dipendono dal contesto e siamo noi che possiamo fare questo giudizio più profondo ed è lì la nostra grandezza. Noi capiamo, noi comprendiamo, noi sappiamo cos'è il significato delle cose, non solo l'aspetto formale, l'aspetto simbolico".

Il Made in Italy? "Unire utilità e bellezza"

Quando gli si chiede del Made in Italy, la risposta è filosofica: "Il mio concetto di Made in Italy è eccellenza in quello che uno fa, eccellenza in come non solo funziona, ma anche come si presenta, quindi l'unione sia della utilità con la bellezza, che è l'aspetto più spirituale delle cose".

Il Festival di Vicenza ed il legame con la comunità americana

Domenico Zanini, CEO di Polomarconi, organizzatore dell'evento, traccia il parallelo storico: "Mettere persone in comunicazione, parlare fra di loro, creare cultura comune e futura, attraverso la tecnologia e la visione che la produce". Un messaggio che vale per l'antenna di Marconi come per i chip di Faggin. Il Festival di Vicenza, città che ospita da 70 anni la più grande comunità americana d'Italia, diventa così  racconto e al tempo stesso laboratorio di un'alleanza. Oltre 30 appuntamenti tra incontri, lezioni, spettacoli, concerti, e masterclass che hanno esplorato il legame storico e sempre vivo. Con un focus particolare sull’eredità italo-americana.  “Nella convinzione - spiega Jacopo Bulgarini d’Elci, ideatore e direttore del Festival - che proprio in momenti di tensione internazionale sia la cultura ad avere il compito, costruendo ponti, di tenere vivi il dialogo, il confronto e la conoscenza tra i popoli”.

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