"Aqua Vitae", perché leggere il libro di Tiziano Mancini

Due vecchi amici Carlo e Alberto e l’Adriatico, il mare di Senigallia. D’improvviso un temporale e un'acqua miracolosa

di Alessandra Peluso
Libri & Editori
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La criticità della vecchiaia non appartiene solo a un genere, anche i maschi hanno paura di smarrire la propria giovinezza e così che Tiziano Mancini trama in un’atmosfera narrativa da fiaba una storia avvincente riuscendo a far trovare al protagonista una soluzione: “Aqua vitae”. Il suo recente libro per i tipi di Pegasus Edition.

Due vecchi amici Carlo e Alberto, l’Adriatico: il mare di Senigallia. D’improvviso un temporale, un cambio di nuances nel cielo attorno ad Alberto. L’ incontro con l’elemento più prezioso del pianeta che è l’acqua muta il corso degli eventi. Fiabescamente quest’acqua appare miracolosa e gli amici di Carlo e Alberto ne usufruiscono persuasi dell’eterna giovinezza. Stile libero, dialoghi serrati. Descrizioni attente e curate. “Il segreto del pozzo” è invero un’inoppugnabile amicizia.

Si tratta di un racconto avvincente a tratti ironico che nasconde una grande verità: l’incapacità di accettare un limite che è quello della morte. “Noi siamo limite”: ed è questo che configura la vita dell’umano. Se non ci fosse la morte non ci sarebbe nemmeno la vita, sebbene il mito ci prospetta l’immortalità ma solo come signum di una presa di coscienza di una forza imbattibile.

Occorrerebbe ri-leggere il De Senectute di Cicerone per comprendere la necessità della vecchiaia, la sua bellezza e saggezza della vita. Con l’avvento delle moderne tecnologie e della chirurgia estetica sembra che tutto sia possibile: l’eterna giovinezza, ma è solo un’illusione. Al riguardo un classico della letteratura, tra gli altri, basti pensare a “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde. Il desiderio impellente di permanere in una condizione perenne di giovinezza. Per sempre. Sicché l’“Aqua vitae” è forse per l’autore, Tiziano Mancini, quell’acqua che dà la vita, che nutre, protegge, conforta, culla come il liquido amniotico della pancia di una madre. Regala forza, energia, ma non l’immortalità. Si legge: "Una cosa indefinibile, una sensazione interiore, che in un primo momento sembrava più fiducia in se stessi che reale energia, una specie di effetto cocaina, che ti dà un senso di forza e di invulnerabilità anche se il tuo corpo è sempre quello. Ma era meglio di quanto pensassi. Con la droga è un’illusione, una sensazione che ti porta ad abusare delle tue reali energie, mentre quest’acqua straordinaria ti rigenera completamente, corpo e spirito" (p. 21).

Con creatività e con suspense il racconto esplicita al lettore che occorre prendere coscienza a un certo momento della vita del proprio “esserci” in questo mondo e abitarlo nel miglior modo possibile, avendo per l’appunto la consapevolezza che c’è una fine: la morte. D’altronde non è casuale che su tale argomento ne abbiano discusso a lungo e continuano a farlo filosofi dall’antichità alla nostra contemporaneità quali ad esempio Simmel, Jankélevitch, Arendt, Severino, il quale puntualizza che oltre la morte non c’è il nulla à la Heidegger ma l’eternità e forse quella scintilla di eterno che l’autore brama: comprenderlo è vitale, non di certo per intervenire in modo effimero alla ricerca affannosa della immortalità ma per nutrire la vita in modo differente e accettare gli imprevisti, le imperfezioni, le mancanze come un telos per abbracciarla nella sua totalità, interezza e viverla nella complessità: accogliendo il passato, il presente, il futuro, l’eterno.

L’acqua peraltro è un elemento vitale nel pensiero filosofico di Anassimandro ed è da questo elemento che Tiziano Mancini con il suo racconto “Aqua vitae” che intende con la propria “plume” d’autore contribuire a dare significato all’esistenza individuale e senso all’universale vita. Con il pudore dell’umano e il significato fondamentale che “non l’Uomo, ma uomini abitano questo pianeta” (Arendt).