Daniele Mencarelli: "La bellezza è una promessa, apriamoci al diverso"

Intervista a Daniele Mencarelli, Premio Strega Giovani 2020: “Sempre tornare” è il suo ultimo romanzo edito da Mondadori

di Chiara Giacobelli
Libri & Editori
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Sempre tornare: intervista a Daniele Mencarelli, Premio Strega Giovani 2020

Una trilogia al contrario, che parte dalla fine per tornare all’inizio. È quella nata dalla penna di Daniele Mencarelli, poeta e scrittore salito alla ribalta quando, lo scorso anno, si è aggiudicato il Premio Strega Giovani con il romanzo Tutto chiede salvezza.

In precedenza, nel 2018, aveva pubblicato il suo primo libro La casa degli sguardi, mentre questo percorso a tappe non cronologiche si conclude con Sempre tornare, la sua ultima opera da poco arrivata in libreria per Mondadori

Protagonista di questa nuova storia è ancora una volta Daniele, l’alter ego di sé stesso; qui, però, appena diciassettenne. Dopo una serata andata male al Cocoricò di Riccione, il nostro adolescente un po’ fuori dagli schemi e sempre alla ricerca di risposte decide di abbandonare il gruppetto di amici per tornare a casa in autostop. È convinto, così, di trovare un senso alla sua esistenza e di mettere a tacere quell’inquietudine che lo tormenta da quando è nato; invece, il viaggio si rivelerà una porta aperta su altri mondi, nuove consapevolezze, diverse ma non meno importanti rispetto a quelle che cercava. 

Affaritaliani.it ha intervistato Daniele Mencarelli per parlare insieme a lui di Sempre tornare, una bellissima storia in cui il viaggio diventa protagonista non soltanto attraverso ciò che svela, ma anche nella bellezza dei luoghi raccontati e nella molteplice complessità umana, che popola il mondo fuori dai confini conosciuti. 


 

Daniele, dovrai scusare una deformazione professionale, ma da scrittrice e giornalista di viaggio, per di più marchigiana, sono rimasta subito colpita dai paesini delle Marche e dell’Umbria che racconti con grande affetto. Come hai scelto i luoghi visitati durante questo viaggio?

Quasi tutti i borghi qui narrati, soprattutto quelli marchigiani e umbri, sono gli stessi che ebbi modo di conoscere durante il mio viaggio in autostop all’età di diciassette anni. Li ho accolti nella mia vita in quella occasione e non se ne sono più andati: Sassocorvaro, Urbino, Urbania, il fiume Metauro e poi Città di Castello, o la frazione di Casa del Diavolo; la bellezza dell’Italia centrale regala degli squarci unici al mondo. Questo libro mi ha permesso di rifare quel viaggio nella mia memoria, rivisitando luoghi che non ho mai dimenticato. 

In Sempre tornare sono tre i grandi temi che emergono: la bellezza, la nostalgia e la solitudine, intesa come incomprensione. Partiamo dal primo: che cos’è per te la bellezza? 

Esiste una bellezza della natura e storico-artistica, che si connota per essere assoluta e per generare nell’uomo una dimensione di grande nostalgia. Come scrivo nel libro, la bellezza è una promessa: tema, questo, che attraversa in realtà tutti e tre i miei romanzi. Si tratta della capacità dell’essere umano di entrare in comunione con il bello, il quale – come sostengono i principali culti religiosi – è un giardino messo a disposizione per noi; dunque, una prima bellezza di arte e natura che si esprime in termini concettuali e filosofici. 

Poi c’è una seconda bellezza, piuttosto diversa: è quella dell’umanità, che cammina nel mondo ma per sua stessa natura non è mai eterna, bensì destinata a vivere una breve stagione, spesso costellata di sofferenze. Si tratta di una bellezza ferita, che il protagonista conosce attraverso le vite e le storie degli uomini che incontra: sono loro a consentirgli di interrogarsi sul senso dell’esistenza. In definitiva, la bellezza assoluta costituisce un compimento che non è di questa terra.

L’altro grande tema è quello della nostalgia, quasi paradossale se pensiamo che il protagonista è un ragazzo di appena diciassette anni. Questa, però, non è nostalgia per il passato, ma da una parte per il presente che sfugge non appena si realizza, dall’altra per tutto ciò che non riusciamo e non riusciremo mai a cogliere. 

Esattamente. La nostalgia nasce dalla consapevolezza che alcuni momenti sono irripetibili, destinati per forza di cose a finire. Quindi, come hai detto tu, c’è una nostalgia del presente, una del futuro e anche una terza più elevata che riguarda qualcosa di grande e ha a che fare con il sentirsi soli non tanto rispetto agli altri esseri umani, ma in relazione all’universo. Quest’ultimo tipo di nostalgia rimanda alla dimensione spirituale/filosofica e ci porta alla necessaria conclusione che la vita vada vissuta per cercare un significato metafisico.

Infine il tema della solitudine, che percorre in maniera forte ed evidente tutti e tre i romanzi da te scritti finora. 

Sì, nei tre libri – che possono comunque essere letti in totale autonomia – viene raccontata l’educazione sentimentale di un ragazzo, che scopre il grande interrogativo legato alla presenza o meno di un dio; non solo: realizza anche che queste domande non se le pone soltanto lui, ma appartengono in realtà a tutti gli individui, soltanto che nella nostra epoca si tende ad esiliarle e a dimenticarle.

La salvezza sta invece nel poterle condividere, poiché l’uomo soccombe davvero non quando non trova le risposte, ma quando i grandi temi del tempo, del destino e della morte diventano singolari e individuali. L’umanità può ritrovare la propria unità soltanto attorno a questi quesiti, grazie ai quali è riuscita a compiere un percorso filosofico, sociale e scientifico, evolvendosi. 

Fino a che punto questa trilogia è autobiografica?

È un viaggio a ritroso che racconta tre momenti fondamentali della mia vita, tutti realmente accaduti e narrati abbastanza fedelmente. Il primo libro, La casa degli sguardi, riguarda l’anno di lavoro che feci come operaio nel 1999 all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, dove ero entrato a causa di un forte problema di alcolismo. È quindi un romanzo di rinascita.

Tutto chiede salvezza risale invece al 1994 e si concentra sulla vicenda biografica di una settimana di TSO, la quale mi ha insegnato tante cose. Infine, anche il viaggio in autostop di Sempre tornare è successo davvero e dimenticai effettivamente soldi e documenti nel marsupio di un amico come affermo nel libro. Detto tutto ciò, ovvio che poi una parte di narrativa e invenzione c’è sempre.

Tutto chiede salvezza, vincendo il Premio Strega Giovani 2020, ti ha permesso di entrare in contatto con moltissimi ragazzi. Che cosa hai scoperto e che idea ti sei fatto delle nuove generazioni? 

In questi ultimi due anni ho incontrato quasi 40.000 ragazzi, purtroppo per lo più a distanza a causa del Covid. Ciò che ho scoperto è l’assoluta verità di quanto afferma il mio protagonista Daniele in Tutto chiede salvezza: alcuni interrogativi fanno parte della natura stessa dell’essere umano, incuriosiscono sin da adolescenti, solo che poi ci insegnano a metterli da parte.

In realtà, gli individui nascono inquieti, perciò è folle chiedere loro di non essere drammatici, di non contemplare la morte e l’insoddisfazione. Sono proprio queste forze innate ad aver generato il progresso. La pazzia è, piuttosto, il vivere addormentati e sedati, come sempre più spesso accade o si vorrebbe che accadesse ai giovani, trasformandoli in meri consumatori. 


 

Tu sei anche un poeta. Che stagione sta vivendo la poesia oggi? 

Posso dirti che quasi quotidianamente tocco con mano un dato di fatto per me bellissimo: le nuove generazioni continuano ad avere bisogno di fermare il gesto dentro la parola, utilizzando una forma in grado di contenere i nostri sentimenti. La scrittura è allora ancora oggi il luogo in cui rifugiarsi ed esplorare il proprio mondo interiore. Questo è un aspetto meraviglioso. 

Se parliamo invece di poesia come genere letterario, in Italia stiamo vivendo un momento di crisi, che è un controsenso se pensiamo agli illustri poeti a cui abbiamo dato i natali. Sono però convinto che esista una natura ciclica anche in queste cose, perciò se oggi abbiamo perso la poesia, un domani la ritroveremo e tornerà a popolare gli scaffali delle librerie. 

Un’ultima domanda: questa pandemia ci ha resi migliori o peggiori? 

Credo che il Covid, a differenza delle grandi guerre mondiali e di fatti realmente tragici come la Shoah, sia fatto per essere presto dimenticato, anzi lo abbiamo già metabolizzato. C’è però un aspetto negativo che la pandemia non ha creato, ma ha contribuito a incrementare, insieme a tanta cattiva politica: la visione del diverso, dello sconosciuto e dell’estraneo come qualcuno che costituisce un pericolo, o che in ogni caso è lì per rubare ciò che ti appartiene. 

Questa idea è del tutto sbagliata e mi mette un’enorme tristezza: come racconto in Sempre tornare, gli sconosciuti – a cui non a caso dedico il libro – arrivano nelle nostre vite da una parte per offrirci qualcosa anche in termini conoscitivi, dall’altra per stimolarci a dare. Solo attraverso l’altro si può ritrovare la dimensione di ciò che arriva da fuori e il valore dell’offrire o del ricevere aiuto.