“Il principe azzurro” di Diego Cugia: l’epopea di un eroe adolescente che sfidò il mondo
Il romanzo storico edito da Giunti racconta gli amori, le battaglie, i sogni di Corradino di Svevia
Il principe azzurro. Gli amori, le battaglie, i sogni di Corradino di Svevia, che a sedici anni osò sfidare il mondo (Giunti, 2025) è l’ultimo romanzo di Diego Cugia, un’opera di una certa intensità narrativa che fonde con naturalezza il rigore della ricostruzione storica alla potenza visionaria del mito. Pubblicato nella collana H, è già alla seconda ristampa e ha incontrato il favore di pubblico e critica, confermandosi come un titolo molto apprezzato della stagione editoriale 2025. Non un saggio né una biografia, bensì un inno alla giovinezza che non si piega, all’ideale che resiste persino alla morte.
Al centro del racconto troviamo Corradino di Svevia, erede degli Hohenstaufen, ultimo discendente della stirpe imperiale sveva. A sedici anni, nel 1268, dopo essere cresciuto in esilio in un castello in Baviera, scende in Italia con un piccolo esercito per reclamare il Regno di Sicilia, usurpato da Carlo d’Angiò. È un ragazzo col destino impresso nel sangue: figlio di Corrado IV, nipote di Federico II e del Barbarossa, privo però di guide vive, circondato soltanto da ritratti di antenati “né vivi né morti”. «Io mi sento italiano», confida al suo più caro amico, Federico d’Austria. Ed è proprio a lui che resterà legato sino alla fine, fratello d’armi e d’anima.
Accanto al giovane principe, un’altra figura memorabile: Yesuf, arabo-normanno e maestro d’armi, che lo istruisce all’arte del combattimento ma soprattutto lo educa al dominio di sé attraverso la meditazione e la pratica del Krya Yoga. «Un vero imperatore raduna il più invincibile esercito dentro di sé» gli insegna in uno dei passaggi più significativi del libro. La narrazione intreccia il cammino esteriore con quello interiore, facendo del romanzo un vero percorso iniziatico.
Il punto di forza del testo risiede proprio in questo: Corradino non è ritratto soltanto come un giovane condottiero, ma come simbolo di un’umanità luminosa, coraggiosa, animata da un senso di giustizia assoluto. È un’anima che «avvertiva in sé un destino tragico, una sorta di vocazione al martirio, qualcosa che aveva più a che fare con i santi che con gli imperatori».
Cugia costruisce attorno a lui un mondo vivido, popolato da personaggi intensi e reali: Fiammetta, l’unico amore di Corradino, con cui condivide momenti di struggente intimità; Elisabetta di Baviera, madre fredda e calcolatrice, che solo di fronte alla decapitazione del figlio rivela un dolore devastante; il traditore Frangipane, padre di Fiammetta, che venderà Corradino a Carlo d’Angiò. Sfilano sullo sfondo vescovi corrotti, uomini di potere avidi, soldati leali. E poi Napoli, Roma, Torre Astura, Tagliacozzo: luoghi resi vivi da una scrittura evocativa e cinematografica.
Il contesto storico è curato senza mai appesantire la narrazione. La battaglia di Tagliacozzo del 23 agosto 1268, la prigionia a Castel dell’Ovo, l’esecuzione pubblica a Napoli: ogni evento è restituito con fedeltà documentaria e con una forza emotiva che lascia il segno. Ma è nei dettagli, nei simboli – il mantello turchese, l’aquila sveva, i falchi, il mare – che Cugia affonda la sua penna poetica. Corradino non è solo un ragazzo che combatte per il proprio trono, è l’incarnazione di chi "è disposto a pagare un prezzo altissimo pur di difendere i propri valori", come ha dichiarato l’autore in un’intervista a La Nuova Sardegna.
La genesi del romanzo affonda le radici in un episodio scolastico: "In quinta elementare – racconta Cugia – chiesi al maestro di parlarmi di Corradino, ma mi rispose: “Non è nel programma”. Allora promisi che un giorno l’avrei scritto io, quel libro. Ci ho messo cinquant’anni, ma l’ho fatto". È un debito d’infanzia quello che ha spinto l’autore – noto per la creazione di Jack Folla – a dedicarsi con passione a questa figura dimenticata. «"Corradino è come Peppino Impastato o Ilaria Alpi: chiunque sfidi il mondo per un’idea è Corradino" spiega Cugia sempre a La Nuova Sardegna. E ancora: "Il principe azzurro l’ho scritto in due mesi. Tutti gli altri miei romanzi hanno avuto bisogno di un anno. Corradino è libero di entrare e uscire da me. Noi scrittori siamo solo stazioni".
L’amore per Corradino attraversa ogni pagina del libro, come uno sguardo paterno e protettivo che veglia su un figlio idealizzato. «La vita si dona, non si compra» dice Corradino poco prima di morire. «La chiave di volta era donarsi umilmente all’universo, accogliendo ogni evento, favorevole o sfavorevole, con impassibile distacco e un sorriso di ringraziamento». È una filosofia esistenziale che si riverbera nell’intero romanzo, rendendolo molto più di una narrazione storica: un libro che parla all’anima.
Diego Cugia (Roma, 1953) è giornalista, autore radiofonico e televisivo, romanziere e regista, conosciuto soprattutto per il personaggio di Jack Folla, icona radiofonica capace di entrare nel cuore degli italiani. Ma con Il principe azzurro sembra aver toccato un’altra vetta: un romanzo d’amore, d’onore, di lotta e di sacrificio, che si staglia come una fiaccola nel panorama letterario italiano contemporaneo. In un’epoca confusa e priva di riferimenti, Corradino diventa una bussola morale, un faro di purezza e coraggio. «Se si vive in un Paese di ombre – scrive Cugia – si è affamati di luce». Ed è proprio la luce, quella dei sedicenni che osano sognare, che splende in queste pagine.