“Istella mea” di Ciriaco Offeddu: la Sardegna magica tra amore, perdita e redenzione
L’imprenditore, scrittore e giornalista ha pubblicato con Giunti una storia di emigrazione, amori interrotti e vendette, intrisa di sovrannaturale e candidata al Premio Strega 2025
Pubblicato da Giunti nei primi mesi del 2025 e proposto al Premio Strega da Giuseppe Conte, Istella mea ha rapidamente conquistato lettori e critica, affermandosi come caso letterario dell’anno. Un romanzo d’esordio solo nominalmente, poiché la maturità della scrittura di Ciriaco Offeddu — già manager e documentarista, con un passato internazionale e una profonda connessione con le sue radici nuoresi — rivela una voce pienamente compiuta e singolare. Ambientato in una Sardegna arcaica e mitologica e in una Buenos Aires carica di nostalgia, il libro intreccia il destino di due figure femminili magnetiche ma opposte: Rechella e Jaja.
La protagonista, Rechella, attraversa l’intera esistenza in bilico tra due estremi: l’amore assoluto e la vendetta inesorabile. Tutto ha inizio a Nuoro, nei primi anni Sessanta. Martino, suo vicino di casa, è un ragazzo visionario, capace — letteralmente — di elevarsi al di sopra del suolo e della realtà. «Ti ho aspettato una vita intera, Martino. Ti ho ritrovato sulla soglia della vendetta» scrive Rechella, riassumendo in poche parole il cuore tragico della vicenda.
Martino vive con la nonna Jaja, una donna dalla presenza irresistibile, narratrice di storie che sembrano fiabe e incubi insieme. È lei la depositaria di un’oscura eredità: nelle sue mani risiedono poteri che sfuggono alla razionalità, mentre nella cantina della sua casa si cela qualcosa di terribile e potente. L’influenza su Rechella sarà profonda, fino a diventare quasi fatale.
Jaja incarna la figura della sùrbile, antica creatura del folclore sardo, simile a una vampira, capa
Pubblicato da Giunti nei primi mesi del 2025 e proposto al Premio Strega da Giuseppe Conte, Istella mea ha rapidamente conquistato lettori e critica, affermandosi come caso letterario dell’anno. Un romanzo d’esordio solo nominalmente, poiché la maturità della scrittura di Ciriaco Offeddu — già manager e documentarista, con un passato internazionale e una profonda connessione con le sue radici nuoresi — rivela una voce pienamente compiuta e singolare. Ambientato in una Sardegna arcaica e mitologica e in una Buenos Aires carica di nostalgia, il libro intreccia il destino di due figure femminili magnetiche ma opposte: Rechella e Jaja.
La protagonista, Rechella, attraversa l’intera esistenza in bilico tra due estremi: l’amore assoluto e la vendetta inesorabile. Tutto ha inizio a Nuoro, nei primi anni Sessanta. Martino, suo vicino di casa, è un ragazzo visionario, capace — letteralmente — di elevarsi al di sopra del suolo e della realtà. «Ti ho aspettato una vita intera, Martino. Ti ho ritrovato sulla soglia della vendetta» scrive Rechella, riassumendo in poche parole il cuore tragico della vicenda.
Martino vive con la nonna Jaja, una donna dalla presenza irresistibile, narratrice di storie che sembrano fiabe e incubi insieme. È lei la depositaria di un’oscura eredità: nelle sue mani risiedono poteri che sfuggono alla razionalità, mentre nella cantina della sua casa si cela qualcosa di terribile e potente. L’influenza su Rechella sarà profonda, fino a diventare quasi fatale.
Jaja incarna la figura della sùrbile, antica creatura del folclore sardo, simile a una vampira, capace di sottrarre energia vitale a chi la circonda. Questi personaggi della tradizione antica si rifanno a credenze radicate nei villaggi dell’entroterra: donne che si muovevano tra bene e male, in grado di esercitare un potere metafisico attraverso sussurri, gesti, pietre e preghiere.
“Ho voluto raccontare il soprannaturale che è parte fondante della mia terra e della mia cultura – ha dichiarato Offeddu in un’intervista a Sardegna Live – scrivere una storia sarda senza considerare questo aspetto è un esercizio che toglie spessore, voci, prospettive spirituali, psicologiche e religiose”.
Quella tra Rechella e Jaja è una battaglia sotterranea che dura decenni. Due modelli opposti di femminilità si confrontano: da un lato la donna innamorata e solare, dall’altro la matriarca oscura, manipolatrice e ambigua. Rechella, dopo la tragica scomparsa di Martino, intraprende un cammino di riconciliazione e giustizia che la porterà fino all’Argentina, terra lontana ma, per molti sardi, seconda patria forzata. “L’emigrazione attraversa come un coltello le vicende storiche, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento sino a oggi” osserva Offeddu. E aggiunge: «Disterru è uno strappo che crea dolore, un dolore che con il tempo si tramuta in sentimenti di malinconia, di mancanza e di senso di provvisorietà”.
L’Argentina malinconica e ventosa è specchio della Sardegna arcaica: entrambe terre di partenze, di sradicamenti e di nostalgia. I personaggi di Istella mea portano nel corpo e nella psiche le cicatrici di un’identità sospesa, costretta a ridefinirsi tra esilio e ritorno. «La vera casa non è mai solo un luogo fisico» scrive l’autore «è fatta di voci, di ricordi, di assenze».
Lo stile di Offeddu, densamente immaginifico e sorvegliato, accoglie suggestioni poetiche, rimandi simbolici, echi di una lingua orale fatta di memorie familiari e gesti secolari. Se l’ombra di Marquez aleggia su queste pagine, si tratta però di una filiazione culturale vissuta con originalità. “Il realismo magico per me non esiste – ha affermato l’autore in un’intervista a Moro Seduto – sono nato e cresciuto in mezzo al sovrannaturale, quindi non c’è niente di artificioso o studiato a tavolino nella mia scrittura”.
Numerose sono le immagini che restano incise: la corsa dei cavalli nel giorno di San Simplicio, le notti bianche dal ritmo frenetico di Rechella in qualità di chef, la cantina dove si condensano le ombre del male, fino all’epilogo tanto atteso che non delude il lettore nella sua teatralità. Ma restano vive nella mente anche le parole incantatorie di Jaja: «Salvatore era secco come il ramo di un ginepro, nervoso, intelligente. Aveva ventitré anni… Avevo sedici anni – capite? – sedici anni. Il sorriso di quel cavaliere straniero mi strappò il cuore dal petto».
La scrittura si carica di pathos, senza tuttavia cedere mai all’enfasi eccessiva. La tensione narrativa è costante, sostenuta da un intreccio che mescola memoria e visione, vendetta e redenzione, affetto e crudeltà. L’elemento magico non è mai fine a sé stesso, ma veicolo per esplorare le profondità dell’animo umano, le zone d’ombra in cui si annidano i conflitti interiori. La sùrbile, più che entità folklorica, diventa così simbolo universale: “La sùrbile era una donna che diffondeva il male. Ma persone capaci di assorbire l’energia intorno a sé e bruciare tutto ciò che le circondava esistevano, ed esistono tuttora” (di nuovo dall’intervista a Sardegna Live).
Il libro è ovviamente anche un atto d’amore verso la Sardegna: “Ho dato tanto per questa storia. L’amore per la mia terra è stato il sentimento propulsivo che ha contribuito a generare il romanzo” ha dichiarato l’autore. La narrazione è generosa, stratificata, lontana dai cliché del regionalismo o dalle mode dell’autofiction; è un racconto universale che parla al lettore di ogni luogo: perché tutti conosciamo il senso del distacco, l’eco di una perdita, il bisogno di dare un nome al male che ci ha sfiorati.
Ciriaco Offeddu, nato a Nuoro nel 1948, ingegnere elettronico, ha vissuto e lavorato in vari continenti. Dopo aver conseguito un master in Creative Writing a Hong Kong, ha deciso di dedicarsi alla letteratura con l’ambizione di restituire dignità e profondità a un’arte spesso svuotata. “Io cerco di non fare narrativa, ma di fare letteratura” afferma. E Istella mea, con la sua scrittura intensa e la sua visione ampia, è il manifesto di questa ambizione. Un romanzo che incanta e inquieta, sollevando interrogativi eterni: “Esiste un amore tanto grande da farsi stella che ci guidi lungo il cammino?”. Offeddu ci invita a cercarlo, pagina dopo pagina.
“Ho voluto raccontare il soprannaturale che è parte fondante della mia terra e della mia cultura – ha dichiarato Offeddu in un’intervista a Sardegna Live – scrivere una storia sarda senza considerare questo aspetto è un esercizio che toglie spessore, voci, prospettive spirituali, psicologiche e religiose”.
Quella tra Rechella e Jaja è una battaglia sotterranea che dura decenni. Due modelli opposti di femminilità si confrontano: da un lato la donna innamorata e solare, dall’altro la matriarca oscura, manipolatrice e ambigua. Rechella, dopo la tragica scomparsa di Martino, intraprende un cammino di riconciliazione e giustizia che la porterà fino all’Argentina, terra lontana ma, per molti sardi, seconda patria forzata. “L’emigrazione attraversa come un coltello le vicende storiche, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento sino a oggi” osserva Offeddu. E aggiunge: «Disterru è uno strappo che crea dolore, un dolore che con il tempo si tramuta in sentimenti di malinconia, di mancanza e di senso di provvisorietà”.
L’Argentina malinconica e ventosa è specchio della Sardegna arcaica: entrambe terre di partenze, di sradicamenti e di nostalgia. I personaggi di Istella mea portano nel corpo e nella psiche le cicatrici di un’identità sospesa, costretta a ridefinirsi tra esilio e ritorno. «La vera casa non è mai solo un luogo fisico» scrive l’autore «è fatta di voci, di ricordi, di assenze».
Lo stile di Offeddu, densamente immaginifico e sorvegliato, accoglie suggestioni poetiche, rimandi simbolici, echi di una lingua orale fatta di memorie familiari e gesti secolari. Se l’ombra di Marquez aleggia su queste pagine, si tratta però di una filiazione culturale vissuta con originalità. “Il realismo magico per me non esiste – ha affermato l’autore in un’intervista a Moro Seduto – sono nato e cresciuto in mezzo al sovrannaturale, quindi non c’è niente di artificioso o studiato a tavolino nella mia scrittura”.
Numerose sono le immagini che restano incise: la corsa dei cavalli nel giorno di San Simplicio, le notti bianche dal ritmo frenetico di Rechella in qualità di chef, la cantina dove si condensano le ombre del male, fino all’epilogo tanto atteso che non delude il lettore nella sua teatralità. Ma restano vive nella mente anche le parole incantatorie di Jaja: «Salvatore era secco come il ramo di un ginepro, nervoso, intelligente. Aveva ventitré anni… Avevo sedici anni – capite? – sedici anni. Il sorriso di quel cavaliere straniero mi strappò il cuore dal petto».
La scrittura si carica di pathos, senza tuttavia cedere mai all’enfasi eccessiva. La tensione narrativa è costante, sostenuta da un intreccio che mescola memoria e visione, vendetta e redenzione, affetto e crudeltà. L’elemento magico non è mai fine a sé stesso, ma veicolo per esplorare le profondità dell’animo umano, le zone d’ombra in cui si annidano i conflitti interiori. La sùrbile, più che entità folklorica, diventa così simbolo universale: “La sùrbile era una donna che diffondeva il male. Ma persone capaci di assorbire l’energia intorno a sé e bruciare tutto ciò che le circondava esistevano, ed esistono tuttora” (di nuovo dall’intervista a Sardegna Live).
Il libro è ovviamente anche un atto d’amore verso la Sardegna: “Ho dato tanto per questa storia. L’amore per la mia terra è stato il sentimento propulsivo che ha contribuito a generare il romanzo” ha dichiarato l’autore. La narrazione è generosa, stratificata, lontana dai cliché del regionalismo o dalle mode dell’autofiction; è un racconto universale che parla al lettore di ogni luogo: perché tutti conosciamo il senso del distacco, l’eco di una perdita, il bisogno di dare un nome al male che ci ha sfiorati.
Ciriaco Offeddu, nato a Nuoro nel 1948, ingegnere elettronico, ha vissuto e lavorato in vari continenti. Dopo aver conseguito un master in Creative Writing a Hong Kong, ha deciso di dedicarsi alla letteratura con l’ambizione di restituire dignità e profondità a un’arte spesso svuotata. “Io cerco di non fare narrativa, ma di fare letteratura” afferma. E Istella mea, con la sua scrittura intensa e la sua visione ampia, è il manifesto di questa ambizione. Un romanzo che incanta e inquieta, sollevando interrogativi eterni: “Esiste un amore tanto grande da farsi stella che ci guidi lungo il cammino?”. Offeddu ci invita a cercarlo, pagina dopo pagina.