Affari Italiani, l'utopia riuscita di un giornale senza padroni. Grazie cari lettori, non perdiamoci di vista

Abbiamo affinato una sensibilità politica comune da non disperdere, non perdiamoci di vista

Di Angelo Maria Perrino
Angelo Maria Perrino
MediaTech

Affari Italiani, l'utopia riuscita di un giornale senza padroni

Dal primo maggio, festa del lavoro, non lavoro piu' ad Affaritaliani.it. Per motivi personali e professionali ho deciso di lasciare la direzione del giornale che ho fondato quasi 30 anni fa, all'inizio del 1996. Avevo poco più di 40 anni e già una lunga e importante carriera alle spalle, come giornalista e come autore di libri di successo.

Il mondo dell'informazione era entrato in quegli anni in una crisi profonda, snaturato dalla estinzione/soppressione degli editori puri, i Rizzoli e Mondadori, sostituiti nelle loro aziende di famiglia da esponenti rampanti dell'imprenditoria e della finanza alla De Benedetti o Berlusconi o Caltagirone prima, Angelucci, Elkann ecc. dopo.

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Personaggi in gessato, camicie Brooks Brothers e scarpe a pallini che avevano conquistato di forza le proprietà delle case editrici e si erano installati alla guida dei grandi giornali, trasformandoli da mezzi di informazione e cultura a strumenti di lobbing, lotte e scambi, di potere e col potere.

Molti giornalisti si erano accomodati a corte, pascendosene. Altri continuavano spaesati a lavoricchiare, tenendo famiglia. Altri ancora, una minoranza, amanti dell'indipendenza e della dignità professionale, cercarono disperatamente alternative e palingenesi possibili. Io ero tra questi.

Formato alla formidabile scuola di Panorama di Lamberto Sechi, di cui fui l'ultimo assunto, trovai nella nascente grande rete internet il luogo della possibile rifondazione giornalistica. Un mondo e un tool straordinario per produrre e distribuire in modo nuovo, più tempestivo, veloce ed economico i contenuti giornalistici.

Lanciai così, primo in Italia e tra i primi al mondo, un quotidiano digitale, anticipando e teorizzando (anche se mi davano del matto) la morte dei giornali cartacei, paralizzati dalle loro vetustà organizzative e produttive.

Nacque così, quasi per gioco e per scommessa, Affari Italiani, il cui nome mi ero portato dietro dall'omonima, mitica sezione Attualità di Panorama, dove avevo lavorato per nove lunghi anni nell'avveniristico palazzo Nemayer a Segrate, sede open-space della grande Mondadori.

Da allora sono passati trenta lunghi e faticosi anni. Affari Italiani (divenuto nel frattempo Affaritaliani.it) con la sua informazione senza filtri, indipendente e croccante, è diventato un giornale importante, riuscendo a guadagnarsi il suo spazio tra le grandi testate nazionali. E io ho realizzato il sogno di ogni vero giornalista: essere il padrone di me stesso. Garantendo la stessa indipendenza a tutti i miei collaboratori. Quasi un'utopia. Riuscita.

È stato entusiasmante sfidare con le sole armi del buon giornalismo, dell'intelligenza e della cultura controcorrente e della progettualità ardimentosa giganti ben più ricchi ed equipaggiati di noi, ma ciechi, pigri e sonnacchiosi. Abbiamo inventato nella mia bottega di via Eustachi a Milano format e linguaggi, modelli organizzativi e di business che si sono poi diffusi e consolidati, facendo la ricerca e sviluppo di tutta l'editoria nazionale.

Ma il tempo passa e tutti i cicli si chiudono. Anche perché non c'è più l'internet di una volta. Oggi, tra algoritmi e linguaggio seo, motori di ricerca e social onnicomprensivi, gli spazi temporanei di autonomia (Taz, come si chiamavano ai primordi della Rete) che si erano aperti, si sono richiusi. E forse bisognerà rimettersi in cerca di nuove utopie e nuove zone temporaneamente autonome, fuori da internet.

Grazie ai tanti giovani che mi hanno assecondato in questi anni "a bottega", imparando l'abc dell'online e andando poi a diffondere il verbo dell'informazione del terzo millennio in tanti giornali. E grazie ai lettori che hanno apprezzato e sostenuto noi piccoli artigiani "indie". Abbiamo affinato una sensibilità politica comune da non disperdere, non perdiamoci di vista. Potremo continuare a dialogare sui miei profili Facebook.

Chiudo con una frase di Paolo Coehlo che ben riassume il mio odierno, complicato stato d'animo: "Non mi pento dei momenti in cui ho sofferto. Porto su di me le cicatrici come fossero medaglie. So che la libertà ha un prezzo alto quanto quello della schiavitù. L'unica differenza è che si paga con piacere e con un sorriso, anche quando quel sorriso è bagnato dalle lacrime".

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