Pippo Baudo, addio al re della televisione italiana. Una carriera lunga sessant’anni che ha plasmato la cultura popolare

Si è spento a 89 anni a Roma Pippo Baudo, volto e voce simbolo della tv italiana. Dai record a Sanremo ai grandi varietà, fino al ruolo di talent scout: il racconto di una vita che coincide con la storia della Rai e con quella del Paese

di redazione
Pippo Baudo
MediaTech

L’inizio: dalla Sicilia a Roma, il talento di un autodidatta

Giuseppe Raimondo Vittorio Baudo nasce a Militello in Val di Catania il 7 giugno 1936. Cresce in una famiglia della media borghesia, studia con impegno e si laurea in giurisprudenza. Ma i codici e i tribunali non lo attraggono: il suo istinto lo spinge verso il palcoscenico. Si trasferisce a Roma, in un’Italia che sta vivendo il boom economico e in cui la televisione muove i suoi primi passi.

Baudo capisce subito che quello è il mezzo destinato a cambiare tutto: i consumi, i costumi, il linguaggio. Inizia come pianista e presentatore di piccole trasmissioni musicali, si fa notare per la voce impostata, per il modo diretto di rivolgersi al pubblico, per la capacità di riempire lo schermo anche con pochi gesti. Non è un attore, non è un cantante, non è un comico: è un conduttore nel senso più pieno del termine, qualcuno capace di tenere le fila dello spettacolo.

L’ascesa: Settevoci e i primi successi

Il vero trampolino arriva a metà degli anni Sessanta con Settevoci, programma musicale che diventa un fenomeno di costume. Lì Baudo mostra il suo stile: dialogo serrato con il pubblico in studio, ritmo sostenuto, improvvisazioni calibrate, mai fuori posto. La sua presenza dà autorevolezza al varietà, mentre il suo modo di fare crea una sorta di “patto” con gli spettatori: Pippo garantisce che ciò che va in onda merita di essere visto.

Da lì in poi, la sua carriera decolla. Negli anni Settanta conduce Canzonissima e poi approda a Domenica In, programma che segnerà per decenni i pomeriggi degli italiani. La domenica diventa sinonimo di intrattenimento familiare, di varietà lungo, fatto di musica, interviste, giochi. Baudo tiene insieme il tutto con un equilibrio che nessun altro, dopo di lui, riuscirà a replicare.

Il regno a Sanremo

Se c’è un luogo che più di ogni altro identifica Pippo Baudo, quello è il palco dell’Ariston. Tredici Festival di Sanremo condotti: un record che nessuno ha mai avvicinato. Baudo trasforma il Festival da kermesse musicale a evento nazionale, un appuntamento che scandisce il calendario italiano.

Durante le sue edizioni passano sul palco artisti che diventeranno icone: da Giorgia a Laura Pausini, da Andrea Bocelli a Eros Ramazzotti. Baudo sa valorizzare i giovani, ma sa anche difendere la tradizione, offrendo spazi a voci consolidate. È il cerimoniere che presenta, ma anche il regista invisibile che controlla tempi, inquadrature, perfino i retroscena.

Celebri alcuni episodi che testimoniano la sua centralità: nel 1995, quando un uomo minaccia di gettarsi dalla balconata dell’Ariston, Baudo interviene in diretta, lo convince a desistere e salva la situazione con sangue freddo. Quel momento diventa il simbolo della sua capacità di governare non solo lo spettacolo, ma l’imprevisto della vita.

L’arte di scoprire talenti

Pippo Baudo non è stato solo presentatore, ma anche talent scout. A lui devono l’inizio della carriera Heather Parisi, Lorella Cuccarini, Giorgia, Andrea Bocelli e molti altri. Aveva l’occhio e l’orecchio per capire chi poteva “bucare lo schermo”. In questo senso è stato un vero costruttore della televisione, non un semplice conduttore.

Le sue scoperte non si limitano ai volti femminili o ai cantanti. Ha contribuito a lanciare comici, ballerini, personaggi che hanno animato la tv italiana per decenni. Il suo fiuto gli permetteva di intercettare il talento quando era ancora acerbo e di plasmarlo per il grande pubblico.

Popolare ma non banale

Baudo incarnava la tv generalista in un’epoca in cui la televisione aveva una missione: unire, intrattenere, educare. Nei suoi programmi non c’era spazio per la volgarità o per la spettacolarizzazione fine a se stessa. Certo, non mancavano momenti leggeri o episodi sopra le righe, ma sempre dentro una cornice di rispetto.

Era esigente con i collaboratori, spesso autoritario, ma la sua severità era dettata dal rispetto per il pubblico. Non ammetteva improvvisazioni sciatte o contenuti raffazzonati. La televisione, diceva, è un servizio che deve arrivare in tutte le case: «Non puoi permetterti di prenderla alla leggera».

Gli anni difficili e i ritorni

Naturalmente, in una carriera così lunga non sono mancati momenti bui. Qualche trasmissione fallita, qualche rapporto incrinato con la Rai, alcuni tentativi con Mediaset meno fortunati. Ma Baudo ha sempre saputo rialzarsi. Il suo nome, la sua immagine, la sua professionalità lo hanno riportato al centro della scena più volte.

Il pubblico, in fondo, gli perdonava tutto. Perché Pippo era Pippo: poteva sbagliare, ma restava un punto di riferimento. Ogni suo ritorno era accolto come un ricongiungimento naturale con il pubblico.

Un’epoca che si chiude

La morte di Pippo Baudo non è solo la scomparsa di un uomo di spettacolo. È la fine di un’epoca. Con lui se ne va l’ultimo grande cerimoniere della Rai, colui che ha incarnato l’idea stessa di televisione pubblica. Non era un semplice conduttore, ma un’istituzione.

La Rai lo ha ricordato come «un pezzo di cuore della tv italiana». Giorgia Meloni ha sottolineato come «il suo volto e la sua voce hanno accompagnato intere generazioni». Da Fiorello a Carlo Conti, da Amadeus a Maria De Filippi, il mondo della tv ha reso omaggio al maestro.

Un’eredità che resta

Baudo lascia un patrimonio fatto di canzoni lanciate, artisti scoperti, generazioni educate a un certo modo di fare tv. «Lunga vita a Pippo Baudo» era diventata una battuta popolare, quasi un mantra. Oggi quella frase suona come un saluto affettuoso, un ringraziamento collettivo. Perché se la televisione italiana ha avuto un volto, quel volto è stato il suo.

Tags: