Il flop dei referendum 2025: la vittoria silenziosa della responsabilità

L'invito all'astensione non è stato fuga dal confronto democratico: quando lo strumento referendario viene piegato a logiche ideologiche, astenersi diventa un atto di responsabilità

di Ruggero Invernizzi

Ruggero Invernizzi

Forza Italia Regione Lombardia

Il flop dei referendum 2025: la vittoria silenziosa della responsabilità

L’esito dei recenti referendum abrogativi rappresenta una conferma importante per chi, come noi di Forza Italia, ha deciso di difendere il Paese attraverso una campagna con un invito chiaro e coerente: l’astensione. Non si è trattato, come alcuni hanno tentato di insinuare, di una fuga dal confronto democratico. Tutt’altro. Astenersi è stata una precisa e legittima scelta politica: abbiamo esercitato un nostro diritto. A mio giudizio, quando lo strumento referendario viene piegato a logiche ideologiche e rischia di generare danni irreparabili, astenersi diventa un atto di responsabilità.

I quattro quesiti sui temi del lavoro e degli appalti, presentati con toni populisti, avrebbero colpito al cuore la competitività del sistema economico. Tornare indietro rispetto alla riforma dei contratti di lavoro, reintrodurre l’automatismo del reintegro per i licenziamenti, smantellare i tetti di indennizzo per le piccole imprese: tutto questo avrebbe prodotto un clima di incertezza giuridica e scoraggiato gli investimenti, danneggiando i giovani e le imprese che vogliono creare opportunità di lavoro.

Non possiamo permetterci di tornare a un mercato del lavoro rigido e ideologizzato, dove chi crea occupazione viene visto come un nemico. Chi ha proposto quei quesiti, nella sbandierata convinzione di tutelare i diritti, avrebbe finito per fare il contrario: aumentare la disoccupazione, frenare la crescita e scoraggiare l’innovazione.

Ancora più delicato è il tema della cittadinanza. Il quesito che chiedeva di dimezzare da dieci a cinque anni il periodo necessario agli stranieri adulti residenti per ottenere la cittadinanza italiana è apparso, fin dal principio, sbilanciato e pericolosamente superficiale. La cittadinanza non può e non deve essere un automatismo burocratico. Ma deve, al contrario, essere un riconoscimento profondo di appartenenza alla nostra comunità, ai nostri valori e alla nostra storia.

Sappiamo tutti che in molti casi, anche dopo cinque anni, non esistono le condizioni minime di integrazione: conoscenza della lingua, rispetto delle regole, partecipazione alla vita civile. Concedere la cittadinanza a chi non ha dimostrato alcun radicamento reale rischia di indebolire la coesione sociale e generare tensioni difficili da gestire.

Il fallimento del referendum (con un’affluenza ferma al 30,6%, quindi ben lontana dal quorum) non è stato un segno di disaffezione o disinteresse, ma una risposta chiara e convinta. La maggioranza silenziosa degli italiani ha scelto di non legittimare quesiti mal posti scritti male e mossi da una visione ideologica che nulla ha a che fare con l’interesse del Paese.


Questa non è una sconfitta della democrazia, ma una vittoria della maturità civica. L’astensione, in questo caso, è stata una forma consapevole di partecipazione: un messaggio forte, lanciato senza slogan né comizi, ma con la forza del buon senso e della responsabilità.

Ruggero Invernizzi, consigliere regionale e Sottosegretario Controlli, Patrimonio e Digitalizzazione 

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