La legge 114 ha abrogato l'abuso di ufficio: un nuovo scenario normativo con cui fare i conti

La legge 9 agosto 2024 n. 114 abroga il reato di abuso d'ufficio: l'articolo 323 del codice penale non esiste più. L'auspicio è che che la giustizia si concentri su ipotesi di reato davvero fondate e che siano evitate molte indagini destinate al nulla

di Gustavo Cioppa
Milano

La legge 114 ha abrogato l'abuso di ufficio: un nuovo scenario normativo con cui fare i conti

La l. 9 agosto 2024 n. 114 ha abrogato il reato di abuso d'ufficio: l'art. 323 del codice penale non esiste più. Questa notizia ha suscitato grande dibattito nell'opinione pubblica e non pochi Tribunali (Tribunale di Firenze, Tribunale di Busto Arsizio, G.U.P. di Locri, Tribunale di Bolzano, Tribunale di Teramo e Tribunale di Catania) hanno sollevato questione di legittimità costituzionale, oltre, di recente, alla rimessione alla Corte Costituzionale da parte della stessa Corte di Cassazione. In disparte al fatto che comunque alcuni tribunali, come quello di Reggio Emilia e la Corte d'appello di Cagliari, hanno invece ritenuto non fondato alcun preteso contrasto dell'abrogazione dell'art. 323 c.p. con la Costituzione, giova evidenziare che la scelta di abrogare una norma peraltro assai discussa e già sospettata di incostituzionalità come l'abuso d'ufficio, attiene alle scelte insindacabili del Legislatore. 

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 95/2025, si è peraltro pronunciata sulle ordinanze di rimessione fatte dai predetti molteplici tribunali, concludendo per l’inammissibilità delle questioni e comunque per la dichiarazione di piena legittimità della l. n. 114/2024, perché non in contrasto con le Convenzioni internazionali in tema di contrasto alla corruzione. 

Come non è sindacabile dibattere sul perché per un reato sia prevista una determinata pena o perché la legge abbia previsto un determinato istituto, così non dovrebbe essere sindacabile nemmeno la scelta legislativa di abrogare un reato, come nel caso in esame. Stante il principio di precisione nella descrizione del contenuto della norma penale, ai fini di un’esatta incriminazione, ne risulta come non sia auspicabile la genericità nella descrizione del medesimo precetto, siccome fatto dall’art. 323 c.p. -peraltro, sotto tale profilo, era stata sospettata la conformità alla Costituzione anche di altri reati, assai gravi, come l'incesto e lo stalking-. 

Ma non è tutto: l'abuso d'ufficio ha vissuto alterne vicende, che testimoniano l'estremo tentativo di salvarne il carattere generico nella propria formulazione-il riferimento è all'inciso, introdotto dalla riforma del 2020 (d.l. 16 luglio 2020 n.76, convertito, con modificazioni, nella l. 11 settembre 2020 n.120), relativo alla "violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità", inciso volto a supplire il generico riferimento alla "violazione di norme di legge o di regolamento", nella versione antecedente-.

È evidente però che norme che non racchiudano margini di discrezionalità e che impongano al tempo stesso determinati precetti al pubblico funzionario non esistono, sia perché una legge per definizione contiene sempre un residuo margine di discrezionalità sia perché le norme di diritto pubblico che regolano concorsi, assunzioni e procedure a evidenza pubblica contengono quasi sempre precetti generali. Così, all'obiezione secondo cui ora, con l'abrogazione dell'abuso d'ufficio si consentirebbe di favorire determinati candidati in un concorso pubblico senza il rischio di incorrere in sanzioni penali (il noto tema delle "raccomandazioni"), si può agevolmente far notare come già esistano norme, nell'ordinamento, che reprimono duramente tali fenomeni (il reato di corruzione in primis). 

Quanto poi al pericolo di una procedura di infrazione europea derivante dalla volontà dell'Unione di prevedere sanzioni penali contro l'abuso d'ufficio (il riferimento è all'art. 11 della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla lotta contro la corruzione, che sostituisce la decisione quadro n. 2003/568/GAI del Consiglio), tale profilo di potenziale attrito giuridico è stato destituito di fondamento da parte della Corte Costituzionale, con la sentenza di cui sopra. È senza dubbio un dato lampante, ad ogni buon conto, che l'85 per cento dei processi per abuso d'ufficio già si arresta al momento delle indagini, concludendosi con l'archiviazione. Sono dati ufficiali quelli che raccontano di un reato che certamente meritava abrogazione: nel 2021 su 5.418 procedimenti definiti dall'ufficio Gip/Gup, le archiviazioni sono state 4.613, oltre appunto l'85 per cento, quota ben superiore al dato medio dei procedimenti penali (il 62 per cento). 

È evidente allora che il reato di abuso d'ufficio da un lato impegnava cospicue energie processuali, mettendo in moto la macchina giudiziaria, dall'altro che ciò si rivelava il più delle volte una perdita di energie (con conseguente dispendio di denaro pubblico nella ricerca dei mezzi di prova, in primis le intercettazioni) e con l'attribuzione, spesso ingiusta, della qualifica di "indagato". Sarebbe più opportuno, invece, procedere con maggiore celerità con reati con maggiori possibilità in termini di imputazione che porti a una sentenza di condanna. L' auspicio resta allora questo: che, nonostante le critiche, abbiano a celebrarsi meno processi destinati a rivelarsi infondati, che le energie della complessa macchina burocratica della giustizia abbiano a concentrarsi su ipotesi di reato davvero fondate e che a molte persone possa essere evitata l'infamia di subire indagini poi destinate all'archiviazione.

di Gustavo Cioppa
Magistrato, già Procuratore Capo a Pavia e già Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia

 

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