Moda, Marina Acconci: la rivoluzione gentile del "no size"
Dopo trent’anni da avvocato penalista, Marina Acconci ha scelto di trasformare la propria esperienza di vita in un linguaggio di moda come AD e Creative Designer di Amélie
Moda, Marina Acconci: la rivoluzione gentile del "no size"
Dopo trent’anni da avvocato penalista, Marina Acconci ha scelto di trasformare la propria esperienza di vita in un linguaggio di moda come AD e Creative Designer di Amélie, ha costruito un brand fondato su libertà, consapevolezza e inclusione, dove ogni donna può riconoscersi senza taglie, ma con stile. L'intervista
Cosa l’ha spinta a questo cambiamento così netto e quali competenze del “vecchio mestiere” ha ritrovato utili nella costruzione del progetto Amélie?
Dopo circa trent’anni di attività come avvocato penalista, ho sentito la necessità di dedicarmi ad alcune attività familiari. Mio padre, con l’avanzare dell’età, aveva bisogno di un supporto per garantire un corretto passaggio generazionale, e inizialmente pensavo si trattasse di un impegno temporaneo. In realtà, in quel periodo si è presentata l’occasione di realizzare alcuni investimenti importanti: abbiamo costruito un villaggio outlet sull’autostrada Genova–Livorno, il 5 Terre Outlet Village, che tuttora gestisco, oltre a diversi piccoli centri commerciali. Questo nuovo percorso mi ha portato naturalmente a rinunciare alla professione forense per dedicarmi completamente a queste iniziative.
Contestualmente all’apertura dell’outlet, ho voluto sperimentare le dinamiche operative e gestionali dal punto di vista del retailer. Perciò ho aperto, proprio all’interno del villaggio outlet, un negozio: è così che è nata Amélie. Inizialmente pensata come un progetto temporaneo, grazie all’impegno, alla dedizione e alla passione si è trasformata in un percorso di lunga durata.
Il concetto di “taglia unica” alla base di Amélie è molto innovativo.Quanto è stato difficile tradurre questa filosofia in capi realmente adatti a tutte le fisicità?
Il concetto di no size — o meglio, come preferiamo dire noi, l’idea di dimenticare del tutto l’esistenza delle taglie — è nato quasi per caso. Quando abbiamo aperto il primo negozio, senza grandi aspettative e con l’idea che fosse un progetto temporaneo, avevamo iniziato a produrre capi semplici e quotidiani: jeans, t-shirt, abiti facili da indossare. Inaspettatamente, le vendite andarono benissimo e, nel giro di poco tempo, ci ritrovammo con gli scaffali completamente vuoti. Per rifornirci in fretta, ci siamo rivolti a un artigiano che realizzava abiti in taglia unica. All’inizio fu una scelta puramente pratica, ma si è rivelata un’occasione preziosa per scoprire e approfondire un approccio che, fino a quel momento, non conoscevamo. Con il tempo, e soprattutto con l’evoluzione del progetto Amélie, abbiamo capito che quel principio poteva diventare un vero e proprio linguaggio: qualcosa su cui lavorare con metodo, ricerca e creatività. Dopo oltre dieci anni di sperimentazione, la nostra idea di superare il concetto di taglia ha preso forma in modo molto preciso: è il risultato di un equilibrio costante tra tessuti, volumi e modellistica.
Tutti i nostri capi nascono tenendo conto delle diverse fisicità delle donne che li indosseranno. Non partiamo da una silhouette standard da replicare in più taglie, ma disegniamo modelli diversi, ognuno pensato per adattarsi in modo armonioso a corpi differenti. Per ottenere questo risultato utilizziamo tessuti morbidi ed elastici, spesso con tessiture specifiche e percentuali più alte di elastan, capaci di offrire maggiore adattabilità. Studiamo con attenzione i tagli, posizionando elementi elastici solo dove servono davvero, analizzando il comportamento dei materiali in base alle diverse esigenze fisiche. Non crediamo che un tubino taglia 38 possa semplicemente essere ingrandito fino a una 50 senza perdere proporzione e grazia. Preferiamo creare un abito che conservi lo stesso appeal e la stessa funzione, ma che — grazie a un design studiato — valorizzi ogni corpo con equilibrio e rispetto. Abbiamo scelto di abbandonare il bisogno di misurare le donne in centimetri, concentrandoci invece sul rispetto delle differenze.
Ogni giorno constatiamo quanto questo approccio renda l’esperienza di shopping più leggera, più piacevole e più libera. In definitiva, il no size per noi non è solo una questione tecnica o estetica: è un cambio di prospettiva. Significa costruire un rapporto più autentico tra abito e corpo, superando schemi rigidi e promuovendo una moda che sia davvero inclusiva, comoda, sostenibile e rispettosa della bellezza nella sua infinita varietà.
Nella collezione autunno-inverno 2025-26 si percepisce un forte legame tra moda, femminilità e cultura. Quanto contano le storie delle donne nel suo processo creativo?
Inevitabilmente, le storie delle donne che ho incontrato nel mio percorso professionale hanno avuto un impatto profondo sulla mia formazione e, più in generale, sul mio cammino umano. Molte di queste storie — spesso legate a esperienze di violenza o maltrattamenti — restano con te, si legano alla tua vita e ne diventano parte. Sono vicende intense e delicate, che richiedono un coinvolgimento profondo, ben oltre l’ambito processuale, dando vita a percorsi condivisi, umani prima ancora che professionali. Per questo, la mia conoscenza del mondo femminile non si è mai limitata a un piano sociale o culturale: è diventata una conoscenza ravvicinata, autentica, personale. Da qui nasce la mia idea di moda: non solo espressione della creatività dello stilista — aspetto che rispetto profondamente e che ha contribuito alla fortuna del Made in Italy — ma anche strumento di riflessione sull’identità femminile. Penso alla moda come a un mezzo attraverso cui ogni donna possa affermare la propria individualità e scegliere come presentarsi al mondo.
Credo che ogni donna debba avere la possibilità di indossare un abito che la rappresenti davvero, nel quale possa riconoscere qualcosa di sé, una storia che le appartiene. L’ascolto di tante storie femminili — spesso segnate dal dolore, ma anche da straordinarie rinascite — ha influenzato profondamente il mio modo di pensare e creare. Le mie collezioni nascono da queste esperienze, dal mio vissuto e dal desiderio di fare della moda un mezzo di espressione autentica e di racconto di sé. Ritengo che la moda sia, prima di tutto, un linguaggio visivo: un modo per comunicare la propria individualità, il proprio ruolo nella società, il proprio sentire. È un tema affascinante e complesso, che si intreccia con la libertà personale, culturale e religiosa, con l’espressione del dissenso, con il concetto di empowerment e con molte altre dimensioni che toccano l’ambito antropologico e sociale. Temi ampi e profondi, che rappresentano la base del mio modo di pensare la moda: non come superficie, ma come strumento di consapevolezza e libertà.
Lei parla spesso di ironia, libertà e consapevolezza come elementi centrali nel vestire una donna. In che modo questi valori si traducono concretamente nei capi firmati Amélie?
Sì, si parla di ironia, di libertà e di consapevolezza perché credo che questi siano elementi centrali non solo nell’abbigliamento, ma anche nella quotidianità di una donna. Una donna che abbia avuto la possibilità di intraprendere un percorso di conoscenza di sé, che le consente di riconoscere le proprie emozioni e di essere quindi ben strutturata sotto il profilo di una completa educazione sentimentale, saprà coltivare — nella vita e nel vestire — quel pizzico di leggerezza unito a una buona quantità di ironia (ed autoironia) che, come diceva Conrad, è una forma di eleganza.