Preservativi ai detenuti: il Carcere di Pavia affronta il tabù (e scatena un putiferio)
Il provvedimento criticato dal sindacato della Polizia penitenziaria e dal Dipartimento. Ma Antigone: "Ignorare il sesso in carcere è omertà"
Preservativi ai detenuti: il Carcere di Pavia affronta il tabù (e scatena un putiferio)
Il carcere di Pavia ha ordinato l’acquisto e la distribuzione di un totale di 720 preservativi ai suoi 704 detenuti. La direttrice del carcere, Stefania Musso, ha autorizzato la misura nel tentativo di limitare la diffusione di malattie sessualmente trasmissibili all’interno del carcere. Un provvedimento che ha scatenato forti reazioni perché affronta il tema della sessualità in carcere, un vero e proprio tabù, una verità esistente, ma spesso taciuta e ignorata.
In carcere i rapporti sessuali esistono e la Corte Costituzionale ha riadito lo scorso anno che i detenuti hanno diritto ad avere rapporti sessuali, tuttavia questi rapporti non sono sempre consensuali, anzi, spesso sono forme di punizione o sistemi attraverso i quali alcuni detenuti ribadiscono la propria autorità sugli altri. Combattere eventi di questo tipo risulta molto difficile e non è impossibile che durante questi rapporti vengano trasmesse malattie come l’AIDS.
In questo contesto, la distribuzione di preservativi risulta essere una semplice distribuzione di dispositivi medici per la prevenzione di malattie che colpiscono i detenuti più della media (circa il 5% dei detenuti nelle carceri italiane ha l’AIDS, contro una media dello 0,20-0,27% per la popolazione non detenuta, ai quali andrebbero sommate le percentuali per tutte le altre malattie sessualmente trasmissibili).
Il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria: "Possibili usi distorti dei profilattici"
La misura è stata contestata dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che in una nota ha criticato la decisione per essere stata adottata ”senza alcuna preventiva interlocuzione con i superiori uffici” e ha messo in evidenza anche alcune possibili problematiche relative al provvedimento, quali: “le modalità di controllo, la prevenzione di condotte violente tra i detenuti, fino ai possibili usi distorti dei profilattici, che potrebbero essere impiegati per occultare sostanze stupefacenti, anche tramite ingestione, eludendo così i normali controlli.”
Il sindacato: "Si certifica il fallimento complessivo del sistema carceri"
Anche il segretario generale del sindacato della polizia penitenziaria italiana, Gennarino De Fazio ha espresso perplessità: “l’ammissione di rapporti promiscui i cui effetti sono da arginare attraverso la distribuzione di profilattici per ‘motivi terapeutici’ certifica, se mai ve ne fosse bisogno, il fallimento complessivo del sistema carceri. [...] Se l’ordine di servizio fosse autentico, come ormai temiamo, si porrebbero peraltro problemi ulteriori anche in considerazione del pesante sovraffollamento della Casa Circondariale di Pavia, dove sono allocati 704 detenuti in 515 posti, sorvegliati da 237 agenti quando ne servirebbero 456. I ristretti sono sempre consenzienti? L’amministrazione penitenziaria è nelle condizioni di esserne certa? Soprattutto, atteso pure che i preservativi vengono (o sono stati) distribuiti per finalità terapeutiche, è stata fatta la valutazione del rischio per gli operatori? Sono stati informati? Sono state adottate le opportune misure per la salvaguardia della salute, della sicurezza e della salubrità dei luoghi di lavoro?”
Antigone: "Ignorare il sesso in carcere è omertà"
Il provvedimento è stato commentato anche dall’Associazione Antigone, un’associazione che si occupa di tutelare i diritti dei carcerati, il cui presidente, Patrizio Gonnella, ha affermato: “Il sesso in carcere è trattato come un tabù. Ignorarlo è essere omertosi e ciechi. In una comunità monosessuata è importante prevenire forme di sessualità forzata e violenta e malattie”