Citroën 2CV: la nascita del mito che ha cambiato l’auto
Dal capitolato di Pierre-Jules Boulanger al debutto del 1948: storia umana e tecnica della Citroën 2CV, l’auto che ha reso accessibile la mobilità.
Nel 1936, a Parigi, una frase divenne progetto industriale e poi destino collettivo.
«Fate studiare nel vostro reparto una vettura che possa trasportare due contadini con il cappello in testa e gli zoccoli, cinquanta chili di patate o un barilotto di vino…»: a scriverla fu Pierre-Jules Boulanger, numero uno della Casa del Double Chevron. Non era soltanto un capitolato: era la prima vera indagine di mercato applicata all’automobile, condotta in tutta la Francia per capire cosa desiderasse chi un’auto non poteva permettersela. Quel desiderio aveva parole semplici: economica, robusta, capace di andare ovunque.
Nacque così il progetto TPV Toute Petite Voiture, embrione di quella che diventerà la Citroën 2CV. Nessuno poteva immaginare che una piccola utilitaria pensata per la Francia contadina avrebbe incarnato, meglio di molte granturismo, la libertà su quattro ruote. Dal 1948 al 1990 restò fedele a sé stessa, figlia di un’idea più che di una moda.
La gestazione, complici la guerra e la scarsità di risorse, durò dodici anni. Nel 1939 erano pronti circa 250 prototipi. Boulanger si presentò alla pista prove con un cappello di paglia: provò a salire su ogni esemplare. Se il cappello cadeva, il prototipo veniva scartato. Era un test tanto ingenuo quanto lucidissimo: per il cliente vero, il contadino, quell’auto doveva essere comoda prima ancora che moderna. Con l’avanzata tedesca, quasi tutti i prototipi furono distrutti; ma almeno tre si salvarono, nascosti a La Ferté-Vidame, recuperati negli anni Novanta e oggi custoditi al Conservatoire Citroën.
Dal prototipo alla serie restò un segno distintivo: i finestrini anteriori a compasso, la cui metà inferiore si ribalta verso l’alto per permettere al conducente di segnalare la svolta con il braccio. Semplice, geniale, coerente con il mantra: «senza rompere nemmeno un uovo». L’anima formale arrivò dalle mani del designer italiano Flaminio Bertoni, che non disegnò la 2CV la scolpì, in legno e gesso, fino a trovare una linea utile prima che bella. Il cuore tecnico fu il bicilindrico raffreddato ad aria, inizialmente di 375 cm³, messo a punto da Walter Becchia e sviluppato dal team guidato dall’ingegnere André Lefebvre.
Il resto lo fecero scelte tanto spartane quanto intelligenti: telaio leggero, sospensioni interconnesse dalla corsa lunghissima per assorbire le buche dei campi, tetto in tela arrotolabile per caricare scale, travi, biciclette. La panca posteriore si smontava in un attimo e diventava una seduta da picnic. Con poco carburante l’ideale sognato erano tre litri per 100 km e manutenzione minima, la piccola Citroën trasformò la fatica degli spostamenti in un gesto quotidiano.
Il 7 ottobre 1948, al Salone di Parigi, molti addetti ai lavori sorrisero con sufficienza davanti a quella scocca essenziale. Intanto fuori dai padiglioni i concessionari si riempivano di ordini. La Francia la battezzò «Lumaca di latta» e presto la lista d’attesa si misurava in anni. Perché la 2CV non prometteva status: prometteva di liberare il quotidiano, di portare le persone, i loro cappelli e le loro patate da A a B senza paura delle strade bianche.
Fu anche l’auto dei grandi viaggi. Attraversò il Sahara, spinse fino alla Persia, arrivò in India e nelle Americhe, conquistò il cinema perfino James Bond e una pista nel fuoristrada popolare con il Pop Cross. Le serie speciali ne consolidarono il mito: su tutte la Charleston, che con la sua livrea bicolore e un fascino senza tempo tenne viva la domanda fino al tramonto del modello.
Quando l’Europa chiese più sicurezza passiva ed emissioni più pulite, la 2CV dovette arrendersi. Jacques Wolgensinger, storico capo della comunicazione, lo spiegò con ironia tagliente: catalizzarla avrebbe stravolto l’auto e, comunque, quei crash test non erano nel suo DNA. «La 2CV è fatta per schivare gli ostacoli, non per sbatterci contro», disse. Una frase che racconta il tempo e la cultura tecnica da cui nasceva quell’oggetto semplice e geniale.
L’ultima 2CV uscì dalla fabbrica di Mangualde, in Portogallo, il 27 luglio 1990. In totale: 3.868.634 esemplari; con le derivate oltre cinque milioni. Ma i numeri servono solo a fissare una sensazione: la 2CV che lascia la linea di montaggio entra subito in un’altra dimensione. Non è nostalgia: è memoria condivisa. È l’idea che la mobilità possa essere democratica e persino poetica. Ed è per questo che, ancora oggi, una Citroën 2CV parcheggiata in una piazza di provincia sembra ricordarci che il futuro può nascere da una domanda semplice: cosa ti serve davvero per essere libero?