Furti di rame alle colonnine di ricarica: blitz, arresti e task force per proteggere la mobilità elettrica

Danneggiamenti e furti alle colonnine elettriche minacciano la transizione green. In campo Forze dell’Ordine, Motus-E e nuove tecnologie per la sicurezza

Auto e Motori

La partita per la mobilità elettrica non si gioca soltanto sui circuiti dell’innovazione e della sostenibilità.

Da qualche mese, si combatte anche su un terreno ben più concreto, fatto di cavi tranciati, infrastrutture devastate e furti motivati da pochi euro di rame. È un fronte inedito e preoccupante, che ha messo in allerta sia le Forze dell’Ordine che gli attori del settore automotive elettrico. Ma ora qualcosa si muove: gli arresti arrivati nei giorni scorsi segnano un primo, importante cambio di passo.

Siamo a Roma, ma il fenomeno ha già raggiunto diverse città del Lazio. Circa duecento episodi di danneggiamento ai danni delle colonnine di ricarica per veicoli elettrici, con lo stesso copione ripetuto ogni volta: taglio dei cavi, rame sottratto, impianti fuori uso. Non si tratta solo di un atto vandalico, ma di un sabotaggio vero e proprio alla transizione energetica.

A guidare la reazione c’è Motus-E, associazione di riferimento per la mobilità elettrica in Italia. Il suo segretario generale, Francesco Naso, spiega senza mezzi termini la portata del problema: “Per pochi euro di rame si fanno danni enormi. È importante che l’opinione pubblica comprenda la gravità del gesto: questi furti bloccano un’infrastruttura fondamentale per il nostro futuro energetico e mettono a rischio un intero sistema”.

La risposta non si è fatta attendere. Da un lato, le Forze dell’Ordine hanno acceso un faro investigativo, portando avanti indagini serrate che hanno già portato ai primi arresti e allo smantellamento di alcune cellule criminali. Dall’altro lato, Motus-E ha attivato una task force tecnica, coinvolgendo direttamente gli operatori della ricarica.

“Ci siamo subito messi a disposizione”, prosegue Naso, “condividendo dati, informazioni e soluzioni. Tra queste, la diffusione capillare delle videocamere intelligenti dotate di lettura automatica delle targhe, in grado di rilevare movimenti sospetti e allertare le autorità in tempo reale. Non possiamo permettere che un’intera rete venga messa in ginocchio da bande improvvisate”.

Una lotta, questa, che si gioca sul filo della velocità e dell’intelligenza. Da una parte l’azione criminale che, nel giro di pochi minuti, riesce a rendere inutilizzabile una colonnina. Dall’altra, la reazione tecnologica e legale, che cerca di anticipare le mosse dei malintenzionati, mettendo in campo strumenti sofisticati ma anche una severa applicazione del Codice Penale. Non si parla più solo di furto, ma di reati aggravati, che includono il danneggiamento di strutture per l’erogazione di energia. Reati che, come sottolinea Naso, possono valere fino a dieci anni di reclusione.

L’impatto è evidente. Chi usa un’auto elettrica oggi è consapevole della necessità di contare su una rete efficiente e capillare. Ogni colonnina danneggiata rappresenta un ostacolo alla libertà di movimento, un disservizio per il cittadino e un danno economico per il gestore. Ma c’è di più: ogni attacco al sistema è un colpo basso alla credibilità della transizione ecologica, che richiede fiducia, investimenti e sicurezza.

La sfida, dunque, è aperta. Da una parte, serve una vigilanza costante e condivisa, che coinvolga istituzioni, aziende e cittadini. Dall’altra, occorre raccontare il valore di queste infrastrutture, non come semplici “prese di corrente”, ma come tasselli fondamentali di un’Italia più moderna, pulita e indipendente dai combustibili fossili.

Perché la mobilità elettrica è molto più di una tecnologia: è un simbolo del cambiamento. E come ogni cambiamento, va protetto, difeso, raccontato. Anche quando il pericolo arriva nel cuore della notte, armato solo di una tronchese e del miraggio di qualche chilo di rame.

 

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