UNRAE: serve chiarezza UE e riforma fiscale auto per rilanciare il settore

UNRAE chiede chiarezza normativa all'UE e una riforma fiscale in Italia. Pietrantonio: no al protezionismo, sì a incentivi mirati per le flotte aziendali verdi.

di Giovanni Alessi
Auto e Motori

Nel giorno più atteso dell’anno per la filiera automobilistica, l’UNRAE ha lanciato un messaggio inequivocabile durante la consueta Conferenza Stampa di fine anno a Villa Blanc.

In un contesto globale dominato da instabilità geopolitica e incertezze macroeconomiche, l’Associazione che rappresenta le Case estere in Italia chiede con forza chiarezza normativa per un settore che sta vivendo una trasformazione epocale. L’attenzione è tutta rivolta a Bruxelles: nelle prossime ore, infatti la Commissione Europea svelerà il nuovo pacchetto automotive.

Le aspettative sono alte e riguardano dossier cruciali come la revisione degli standard sulle emissioni di CO₂, la strategia sulle batterie e il cosiddetto pacchetto Omnibus per la semplificazione burocratica. UNRAE, esprimendo piena convergenza, auspica l’adozione di un modello regolatorio “a tre corsie”, capace di distinguere nettamente le politiche per auto, veicoli commerciali leggeri e mezzi pesanti. La richiesta centrale è quella di un approccio più pragmatico sui target di decarbonizzazione: la transizione è un processo complesso che necessita di strumenti realisti, non punitivi, e che deve includere l’apertura alle tecnologie “ponte” per accompagnare il mercato verso l'elettrificazione senza shock traumatici per famiglie e imprese.

I fattori abilitanti e la necessità di una politica industriale

Il Presidente di UNRAE, Roberto Pietrantonio, ha evidenziato con fermezza le criticità dell'attuale approccio europeo. "Negli ultimi anni l’Europa ha imposto obiettivi senza investire a sufficienza nei fattori abilitanti", ha dichiarato. La denuncia riguarda la discrepanza tra i target ambientali, forse troppo ambiziosi per il 2035, e l'assenza di una vera politica industriale di supporto.

Le Case costruttrici si sono trovate di fronte a un muro normativo privo di un adeguato ascolto da parte delle istituzioni, lasciando imprese e consumatori in una situazione di incertezza. Tuttavia, si intravede uno spiraglio: l’UNRAE nota una Commissione più attenta all'evidenza dei dati e consapevole che transizione ecologica e competitività industriale non possono essere nemiche. Serve però una nuova narrativa, che superi le contrapposizioni ideologiche tra le diverse tecnologie di propulsione e punti su un dialogo costruttivo basato su dati reali e non su posizioni precostituite.

Il no deciso al protezionismo e al vincolo "Made in Europe"

Uno dei passaggi più forti del comunicato riguarda la ferma opposizione all’ipotesi di introdurre un vincolo del 70% di contenuto “Made in Europe” per accedere agli incentivi. Per UNRAE, la competitività non si difende alzando barriere, ma costruendo ponti. "Un obbligo del 70% rischia di penalizzare i consumatori e indebolire le imprese", avverte Pietrantonio.

Il mercato automobilistico europeo è, per sua natura, profondamente integrato nelle catene globali del valore. Una misura di stampo protezionistico avrebbe l'effetto immediato di alzare i prezzi, colpendo il potere d'acquisto degli automobilisti e rallentando la diffusione della mobilità sostenibile. Inoltre, danneggerebbe gli stessi Costruttori europei che dipendono da forniture internazionali. La ricetta proposta da UNRAE è opposta: un vero piano industriale europeo basato su investimenti strutturali e risorse comunitarie, che incentivi la produzione senza penalizzare le logiche di mercato aperto che hanno sempre favorito l'innovazione.

La fiscalità sulle auto aziendali come leva strategica di crescita

Sul fronte interno italiano, l'UNRAE identifica nella riforma fiscale delle auto aziendali il vero "game changer". Attualmente, il trattamento fiscale italiano è penalizzante rispetto agli standard europei, frenando quello che potrebbe essere il più grande moltiplicatore di crescita per la mobilità green.

I dati presentati sono eloquenti: con aggiustamenti limitati ai parametri di deducibilità, sarebbe possibile ottenere risultati straordinari con una spesa pubblica contenuta. Le stime indicano che, con un impegno di soli 85 milioni di euro (rispetto ai 923 milioni stanziati per gli incentivi attuali), si potrebbero incentivare oltre 100.000 autovetture green nella fascia 0-60 g/km. Questo non solo accelererebbe il rinnovo del parco circolante, ma immetterebbe nel breve periodo un usato recente e meno inquinante, rendendo la sicurezza e la sostenibilità accessibili a una fascia più ampia di popolazione. È una proposta di buon senso su cui, da settembre, convergono tutte le Associazioni del settore.

Previsioni 2025-2026: un mercato ancora lontano dai livelli pre-Covid

Lo scenario economico descritto da UNRAE impone cautela. Mentre l'Area Euro prevede una ripresa, l'Italia mostra una debolezza strutturale con una crescita del PIL stimata allo 0,5% per il 2025. Questo contesto impatta pesantemente sul mercato auto. Per l'anno in corso, si prevede una chiusura a circa 1,52 milioni di unità, un dato in calo del 2,2% sul 2024 e drammaticamente inferiore (-400.000 unità) rispetto al 2019.

Anche per il 2026 le prospettive non sono rosee, con una stagnazione prevista sia per le autovetture che per i veicoli commerciali leggeri. Ancora più preoccupante il settore dei veicoli industriali, per il quale si stima una flessione costante nel biennio. Questi numeri certificano che quanto perso durante la pandemia non è stato recuperato e che, senza interventi shock, il settore rischia un ridimensionamento strutturale con gravi conseguenze economiche e occupazionali.

Il ritardo italiano su elettrico e infrastrutture di ricarica

L'analisi del Direttore Generale Andrea Cardinali mette a nudo il ritardo dell'Italia rispetto ai Major Market europei. Il nostro Paese è fanalino di coda per la quota di auto ricaricabili (BEV+PHEV), ferma all'11,3%, contro il 28,9% della Germania o il 25,1% della Francia.

Il problema non è solo economico, dato che Paesi con un PIL pro capite inferiore al nostro (come il Portogallo) hanno quote di elettrico nettamente superiori. Il gap risiede nei fattori abilitanti: una rete di infrastrutture di ricarica che, seppur in crescita, vede l'Italia ancora al 16° posto in Europa, e un mercato delle auto aziendali asfittico (46,8% di penetrazione contro il 66,3% tedesco). Senza un intervento deciso sulla fiscalità e sulle infrastrutture, l'Italia rischia di mancare clamorosamente gli obiettivi di decarbonizzazione, restando un mercato di serie B in un'Europa che viaggia a due velocità.

 

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