Volkswagen, esodo volontario: oltre 25mila uscite in Germania
Oltre 25mila adesioni ai piani volontari in Volkswagen avvicinano l’obiettivo di 35mila uscite in Germania entro il 2030, in un piano senza licenziamenti secchi.
In Volkswagen è in corso uno dei più grandi piani di ristrutturazione della storia recente dell’auto europea.
Secondo stime sindacali, le adesioni ai piani di uscita volontaria avrebbero superato quota 25mila lavoratori in Germania, un numero che avvicina il gruppo all’obiettivo di ridurre l’organico di oltre 35mila posti entro il 2030. Come ricorda Reuters, si tratta del fulcro dell’accordo siglato a fine 2024 fra il costruttore e i sindacati tedeschi: meno personale, meno capacità produttiva, ma niente licenziamenti forzati.
Dietro le cifre ci sono volti e biografie: dipendenti prossimi alla pensione che scelgono il prepensionamento, personale amministrativo che accetta incentivi all’uscita, tecnici di produzione che aderiscono a schemi di pensionamento parziale. La logica è quella tipicamente tedesca della “co-determinazione”: trasformare una cura dimagrante dolorosa in un processo negoziato, evitando lo scontro frontale.
Un piano da 35mila posti e 734mila auto in meno l’anno
L’intesa con i sindacati prevede che Volkswagen tagli oltre 35.000 posti in Germania attraverso uscite volontarie, mancato turnover e pensionamenti, senza ricorrere ai licenziamenti secchi. Parallelamente, la capacità produttiva sarà ridotta di circa 734.000 veicoli l’anno, per adeguarla a una domanda strutturalmente più bassa in Europa. Come sottolinea Reuters, la casa di Wolfsburg stima un “eccesso” di circa 500.000 auto l’anno, pari a due stabilimenti a pieno regime.
Per il gruppo guidato da Oliver Blume non è solo una questione di numeri, ma di sopravvivenza competitiva. Il piano di efficienza punta a generare risparmi miliardari sui costi del lavoro e sulle strutture industriali, in un contesto segnato da margini in calo, transizione verso le auto elettriche e pressione crescente dei costruttori cinesi. La scommessa è che una Volkswagen più snella possa finanziare gli investimenti in piattaforme EV, software e digitalizzazione senza perdere troppo terreno in Borsa.
Stabilimenti sotto pressione tra tagli, riconversioni e delocalizzazioni
Il ridimensionamento dell’organico va di pari passo con una revisione profonda della mappa industriale in Germania. Secondo quanto ricostruito da Reuters, lo stabilimento di Dresda smetterà di produrre auto entro la fine del 2025, mentre sul sito di Osnabrück resta in piedi un punto interrogativo oltre il 2027: si valutano riconversioni e l’ingresso di eventuali partner esterni.
Anche Wolfsburg, cuore storico del marchio Volkswagen, è destinata a cambiare volto: le linee di assemblaggio saranno ridotte da quattro a due, con lo spostamento della Golf e della Golf Variant verso lo stabilimento di Puebla, in Messico, a partire dal 2027. Ufficialmente nessuna fabbrica verrà “chiusa”, ma il segnale ai territori è chiaro: la centralità industriale della Germania non è più intoccabile come in passato.
Sindacati, salari e il costo sociale della transizione
Il prezzo di questa trasformazione lo pagano innanzitutto i lavoratori. L’accordo prevede non solo le uscite volontarie, ma anche un forte freno alla dinamica retributiva: per diversi anni non ci saranno aumenti strutturali dei salari, e alcuni bonus verranno tagliati o congelati. Prima di trovare un’intesa, le rappresentanze dei lavoratori avevano perfino votato un mandato per indire scioperi, pronti a partire se il negoziato fosse naufragato.
Alla fine ha prevalso una logica di scambio: la base sindacale ha accettato la prospettiva di 35mila uscite e di un lungo periodo di austerità salariale in cambio di una garanzia formale contro i licenziamenti secchi e le chiusure improvvise di siti produttivi. Per usare le parole riportate da Reuters, l’obiettivo è gestire la transizione verso l’elettrico e il nuovo modello di business “in modo socialmente responsabile”.
Resta però una domanda aperta: quanto sarà sostenibile, nel lungo periodo, una strategia che chiede ai lavoratori di fare da ammortizzatore della crisi, mentre la concorrenza globale aumenta e la transizione energetica impone ulteriori investimenti? La risposta, come spesso accade nell’industria tedesca, si giocherà nell’equilibrio delicato tra produttività, consenso sociale e capacità di innovare.