Volkswagen, la Cassazione tedesca (BGH) riapre il Dieselgate

La Corte federale di giustizia tedesca annulla la delibera 2021 che ratificava il compromesso tra Volkswagen, assicuratori e gli ex top manager. Il caso torna in appello per un riesame.

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Il Dieselgate torna a scuotere Volkswagen. Con una decisione destinata a fare scuola, il BGH ha annullato la risoluzione approvata dall’assemblea generale del 2021

che ratificava l’intesa economica tra il gruppo, gli assicuratori e due figure simbolo dello scandalo: Martin Winterkorn ed ex Audi Rupert Stadler. All’epoca, la delibera aveva incassato oltre il 99% dei voti favorevoli, suggellando un pacchetto che prevedeva 11,2 milioni di euro a carico di Winterkorn, 4,1 milioni per Stadler e 270 milioni in arrivo dalle polizze D&O, con l’obiettivo di chiudere una parte delle pendenze civili.

A far saltare l’equilibrio è stato il cuore della tutela azionaria: per i giudici, le informazioni fornite agli azionisti sulla situazione patrimoniale degli ex dirigenti erano insufficienti, impedendo una decisione realmente informata sulla convenienza dell’accordo. La conseguenza è un ritorno al mittente: il fascicolo passa alla corte d’appello, che dovrà riesaminare merito e proporzionalità dei rimborsi, pesando di nuovo responsabilità, disponibilità economiche e interesse della società.

La frattura non è solo giuridica, è anche reputazionale. Le associazioni degli azionisti avevano bollato come “irrisori” gli importi negoziati rispetto ai miliardi bruciati dal caso: dal 2015 Volkswagen ha ammesso la manipolazione delle emissioni su oltre 11 milioni di veicoli e ha sostenuto esborsi per oltre 32 miliardi di euro tra multe, transazioni e richiami, soprattutto negli Stati Uniti. La decisione del BGH riapre dunque il cantiere di una vicenda che continua a definire la corporate governance europea: trasparenza, accountability, ruolo delle assicurazioni manageriali.

Sul fronte penale, i destini personali restano intrecciati alla cronaca. Martin Winterkorn è ancora imputato in Germania in uno dei rami del procedimento, anche se il processo è sospeso per motivi di salute. Rupert Stadler è stato invece condannato nel giugno 2023 con pena sospesa e una multa da 1,1 milioni di euro: un precedente che ha fatto discutere, ma che non chiude i conti con la giustizia civile né con il risarcimento degli investitori.

Per il gruppo di Wolfsburg, la partita che si riapre ha più livelli. Da un lato, c’è la necessità di evitare un effetto domino su cause parallele e su possibili class action; dall’altro, la volontà di preservare la fiducia del mercato alla vigilia di un ciclo industriale segnato da elettrificazione, nuovi standard ambientali e una concorrenza inedita. Il board dovrà valutare se puntare su una nuova transazione con importi rivisti, oppure affrontare un contenzioso più lungo, assumendosi il rischio di ulteriori oneri economici e d’immagine.

Il rinvio in appello non è un epilogo, ma un passaggio: significa che i giudici intendono misurare con maggiore finezza la proporzione tra danno e contributo degli ex vertici, e soprattutto la qualità dell’informazione messa a disposizione degli azionisti prima del voto. È un monito che vale oltre il perimetro Volkswagen: i compromessi sui grandi scandali industriali non possono prescindere da disclosure puntuali, verificabili e comprensibili anche per il piccolo investitore.

A dieci anni dallo scoppio del Dieselgate, la cronaca giudiziaria ricorda che la partita non è archiviata. E che il prezzo della fiducia nel prodotto, nei conti, nella governance si paga due volte: in tribunale e sul mercato. Per Volkswagen, la strada che porta al verdetto d’appello è anche un test di maturità sulla capacità di conciliare responsabilità passate e strategie future, senza rinunciare alla trasparenza che oggi gli investitori chiedono come primo optional.

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