All'Aja per costruire la nuova Nato: più armi, meno illusioni. La svolta obbligata (e obbligatoria)
La svolta obbligata (e obbligatoria) della Nato
Giorgia Meloni al vertice Nato all'Aja
All'Aja per costruire la nuova Nato
Il vertice della Nato dell’Aja è forse uno dei più importanti dalla sua costituzione avvenuta nell’aprile del 1949 a Washington. La Nato nasceva dall'esigenza da parte dei paesi europei di difendersi da un Unione Sovietica troppo ingombrante, che manteneva una superiorità militare schiacciante. Per fare fronte comune occorreva creare una coalizione di più paesi.
Un primo passo in questo senso avvenne con il trattato di Dunkerque, grazie al quale Francia e Gran Bretagna crearono un fronte unico di mutua difesa militare. I nuovi timori successivi al colpo di Stato in Cecoslovacchia del febbraio 1948 accelerarono il processo di canalizzazione: pochi giorni dopo Belgio, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Regno Unito firmarono il trattato di Bruxelles. Ma anche così i paesi europei sentivano la minaccia del pericoloso e mastodontico vicino, serviva coinvolgere nell’alleanza gli Stati Uniti, che però perseguivano ancora la politica isolazionista, inaugurata da George Washington.
Ma il presidente Truman, già nel 1947 parlò apertamente della necessità di contenere il gigante russo. E fu in quest'ottica che il presidente americano diede l’avvio al grande piano Marshall per aiutare i paesi europei a riprendersi dalle terribili conseguenze della Seconda guerra mondiale. Il definitivo superamento dell'isolazionismo si ebbe nel giugno dell'anno successivo quando il Senato statunitense approvò a grande maggioranza la risoluzione Vandenberg che permetteva al presidente di associare gli Stati Uniti a accordi con Paesi esteri fondati sulla reciprocità e sull'autodifesa.
Si trattava dei prodromi del grande patto atlantico, siglato un anno dopo. Nell’aprile del 1949 a Washington fu firmato il Patto, a cui aderirono Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Portogallo, Italia, Norvegia, Islanda e Danimarca, ed entrò in vigore il 24 agosto 1949. Ma come si sa la difesa ha un costo e fino ai primi anni Novanta, i paesi europei hanno contribuito in maniera minore rispetto agli Stati Uniti, in cambio di una sostanziale quasi totale dipendenza dalla difesa militare del grande alleato atlantico.
Ma fu con l'allargamento ad est operato da Clinton, nel 1993, che gli equilibri della Nato cominciarono a vacillare. In un’ottica di un primo disimpegno dallo storico ruolo di guardiani del mondo, gli Usa hanno iniziato a chiedere con sempre maggiore insistenza agli alleati un aumento delle loro spese in armamenti. Ma le richieste sono rimaste per lo più inascoltate, poi con Barack Obama sono cominciati i primi impegni formali degli europei ad innalzare la loro quota di spesa al 2% del Pil (Matteo Renzi nel 2014, Giuseppe Conte per due volte nel 2018 e nel 2019, e poi Draghi nel 2021).
Tutte promesse da marinaio, sarebbe il caso di dire, perché le spese sono sì aumentate, per il nostro paese in maniera un po’ più consistente proprio, ironia della sorte sotto il governo di quello che ora sembra folgorato sulla via di Damasco del pacifismo militante Giuseppe Conte (evviva la coerenza), ma non come richiesto dagli Usa, o almeno non per tutti (perché solo 23 paesi su 32 hanno raggiunto e in qualche caso superato la fatidica soglia del 2%).
Ora con l’avvento di Trump alla Casa Bianca i nodi sono venuti al pettine, e l’aumento delle spese militari sembra questione non più rimandabile. La posta in gioco è diventata troppo importante per derubricare la cosa ad un semplice capriccio del volubile presidente americano, come ha cercato di spiegare Giorgia Meloni nella sua informativa al parlamento in vista del Consiglio Europeo.
La stessa premier, che era seduta al tavolo con Trump (altro segnale importante del riconoscimento del suo ruolo di raccordo tra l’amministrazione Usa e l’Europa) nella cena di gala che il Re e la Regina del Regno dei Paesi Bassi hanno ospitato una cena in onore dei Capi di Stato e di governo dei Paesi membri dell’Alleanza.
E i due hanno avuto anche un lungo faccia a faccia, per confrontarsi, come commentano fonti diplomatiche, sui principali dossier internazionali, in primo luogo proprio la situazione mediorientale. Meloni avrebbe condiviso con il presidente Usa le preoccupazioni per le tensioni tra Iran ed Israele, ricevendo comunque rassicurazioni in merito. Si sarebbe anche discusso (il condizionale è d’obbligo) anche di Gaza, una situazione definita ormai "inaccettabile" dalla premier alla camera. Su Gaza, sempre secondo fonti vicine al governo, Meloni avrebbe anche fatto una proposta al G7 in Canada per arrivare ad un cessate il fuoco e della cosa avrebbe anche discusso con Trump.
Giorgia Meloni come invece qualcuno vuol far credere, non ha detto sì all'aumento delle spese militari, per compiacere l'alleato americano, ma perché convinta che sia una necessità non più rimandabile. D’altra parte, anche nel programma di governo la sicurezza (i cui costi rientrano nell’aumento delle spese in difesa) è un tema prioritario per il governo. Il celebre motto dello storico latino Vegezio del IV d.C., utilizzato al senato, “vis pacem para bellum”, spiega molto bene come l’esigenza di dotarsi di più mezzi per la difesa e per la sicurezza sia, paradossalmente, il modo più semplice per arrivare alla pace.
Sembra esclusa la voce che Meloni sarebbe pronta a fare sponda con un isolatissimo premier spagnolo Pedro Sanchez, che avrebbe chiesto (ma non ottenuto, come invece qualcuno continua a sostenere) una deroga al 5% di aumento di spese per la difesa da qui al 2035. “Sono impegni importanti che l’Italia rispetterà. Non lasceremo l’Italia esposta, debole e incapace di difendersi”. Ma non si tratta solo di una questione di coerenza e di rispetto della parola data, ma anche di una scelta strategica, come ha spiegato ai giornalisti: “Senza difesa non c’è sicurezza, e senza sicurezza non esistono né libertà né benessere, né tantomeno prosperità”.
Meloni invece sarebbe impegnata in prima linea, da tempo, per arrivare ad un allentamento dei vincoli di bilancio contenuti nel Patto di stabilità per dare più spazio di manovra in tal senso ai singoli Stati. E sempre a quanto risulta da fonti di Bruxelles, si sarebbe vicini ad un accordo di massima.