Brunetta e lo scivolone dello stipendio: se anche il paladino anti-sprechi si dimentica del passato
Brunetta non ha bisogno certo di aumentare le sue disponibilità, dopo aver fatto due legislature a Bruxelles (dal 1999 al 2008 nelle file del Ppe) e poi tre mandati alla Camera
Brunetta e lo scivolone dello stipendio: il commento
Fa sorridere pensare a Renato Brunetta, che ha scavallato a maggio la soglia dei tre quarti di secolo, che decide di alzarsi lo stipendio di 60.000 euro ma poi è costretto a fare marcia indietro dopo il mal di pancia (per usare un eufemismo) di Giorgia Meloni. Fa sorridere perché, prima di tutto, l’ex ministro (per ben due volte) della Pubblica Amministrazione - prima con Silvio Berlusconi, poi con Mario Draghi - sembra ricalcare un classico cliché, quello di chi ha già molto e vorrebbe di più. Il politico veneto si è sempre mostrato orgoglioso delle sue origini, umili senza voler essere offensivi, e del suo cursus honorum che l’ha portato a firmare una riforma rivoluzionaria nel 2009, in cui si introduceva il concetto di merito nella pubblica amministrazione.
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Un tema clamoroso, che abbiamo scoperto - grazie all’intervista dell’attuale ministro Paolo Zangrillo a La Piazza - essere ancora adesso di enorme attualità. Prima ancora, Brunetta era finito sotto scorta perché “attenzionato” dalle Brigate Rosse per la sua consulenza ai Socialisti in materia di lavoro. Insomma, non esattamente uno sprovveduto.
E allora viene spontaneo chiedersi che cosa abbia spinto il presidente del Cnel, dopo anni di certosina riduzione dei costi dell’ente, a varare una delibera che appesantiva di un milione di euro le casse dell’istituto per l’incremento degli emolumenti del top management, con il presidente che vedeva il suo stipendio equiparato a quello del Primo presidente della Corte di Cassazione.
Uno scivolone, appunto, complice anche il fatto che Brunetta non ha bisogno certo di aumentare le sue disponibilità, dopo aver fatto due legislature a Bruxelles (dal 1999 al 2008 nelle file del Ppe) e poi tre mandati alla Camera proprio dal 2008 al 2022. Insomma, per una punta di orgoglio - perché siamo certi che non c’entri l’ingordigia, ma il fatto di non volersi sentire secondo a nessuno - l’ex ministro della Pubblica Amministrazione casca. E la retromarcia con cui cancella la delibera rappresenta solo parziale cancellazione del danno.
Piccola postilla finale: i post inveleniti di Matteo Renzi dimostrano che il nervo scoperto del referendum del 2014 (che conteneva anche l’abolizione del Cnel) non è ancora stato sanato. E l’ex sindaco di Firenze, poco prima di concludere la maratona di Atene ci ha tenuto a mostrare tutta la sua indignazione. Legittima, se non fosse evidente che qualche scoria del passato esiste ancora.