Calenda, il decoupling e la dialettica da bar

Ne azzecca poche, lo seguono sempre meno persone, ma pare lui sia contento così...

di Antonio Sosa
Politica

Calenda, il decoupling e la dialettica da bar

Parla di tutto, sa tutto da sempre e le sue soluzioni sono semplici, a portata di mano, a costo zero. Quasi tutti hanno un amico come Carlo Calenda, di quelli che al bar stanno appoggiati col gomito al bancone e con un sorriso sornione guardano il resto della compagnia come a dire "se mi fate parlare ve la spiego io". Quasi tutti hanno amici così: a volte fanno simpatia, ma più spesso finiscono per risultare un po’ indigesti.

Calenda da circa una settimana è stato confermato alla guida di Azione, nominato segretario nazionale del movimento che ha fondato. Ha stravinto le elezioni per la guida di un partito (che conta 14.000 iscritti) con l’85,8% dei voti contro la rivale Giulia Pastorella. Un plebiscito.

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Qualcuno ha detto "elezioni farsa, Calenda in pratica correva contro se stesso". Se gli iscritti al partito sono pochini, sul versante social a Calenda va molto meglio. Più di 150.000 persone partecipano su Instagram alle lezioni che il leader tuttologo propone con nonchalance. Dall’industria pesante, alle strategie internazionali, da Trump a Putin passando per Von der Leyen e il Medio-Oriente.

Se però le sue soluzioni sono così efficaci, verrebbe da dire, mandatelo subito al Governo. Ecco, per un giudizio più completo meglio basarsi su cosa ha fatto Calenda quando si è trovato a gestire davvero la cosa pubblica da Ministro dello Sviluppo Economico. Uno che sa tutto di tutto alla guida di un ministero, il meglio possibile per l'Italia no?

No. Da Ilva ad Alitalia, da Fincantieri ad Almaviva per finire con società dai nomi meno famosi ma le cui vicende sono state dolorose come Mercatone Uno. Ne ha azzeccate poche. Calenda ha scoperto nel peggiore dei modi quanto è più facile criticare e quanto è complesso agire. Il movimento 5 Stelle lo ha messo da tempo nel mirino e in un articolo al vetriolo pubblicato sul Blog delle Stelle ha ricostruito una serie di numeri riguardanti il suo operato.

"A febbraio 2018 ha lasciato 162 tavoli di crisi aziendale aperti al ministero dello Sviluppo Economico, con 180mila lavoratori abbandonati a se stessi. I dati relativi all'anno precedente, il 2017, registravano un aumento dei posti di lavoro a rischio del +37% rispetto al 2012, il livello più alto da anni. Ha condiviso nel corso del Governo Renzi la cancellazione della Cassa Integrazione per Cessazione che ha mandato sul lastrico migliaia di famiglie e quel Jobs Act che ha precarizzato il mondo del lavoro italiano in modo selvaggio".

Una ricostruzione impietosa, non c'è che dire e chiaramente figlia di una diversa posizione politica. Di sicuro il caso Mercatone Uno a Imola lo ricordano ancora bene. L’azienda da un giorno all’altro lasciò a casa 1.800 lavoratori, dopo aver saputo di essere fallita. E fu Calenda a decidere di affidare la Mercatone Uno alla Shernon Holding, una Srl che promise una ristrutturazione mai avvenuta. Un caso di evidente cattiva gestione che finì con una bagarre politica e, come sempre, con uno scarica barile che permise al politico di dire "non è stata colpa mia".

Tutto questo però non ha convinto Calenda a scendere dal pulpito. Lui da lassù ne ha per tutti. Continua con le prediche, gli slogan, la morale. Ne azzecca poche, lo seguono sempre meno persone, ma pare lui sia contento così, perché continua ad andare in televisione. Un modo un po' più sofisticato di guardarsi allo specchio.

Ma l’ultima in ordine di tempo riguarda il meccanismo di decoupling, come riporta oggi Il Giornale, per quanto concerne il prezzo dell’energia, cioè scorporare le fonti rinnovabili da quelle fossili per avere una sorta di doppio binario. C’è infatti un’illusione che torna ciclicamente nel dibattito sul caro-energia: il sistema “pay-as-bid”, un meccanismo che promette di abbassare i costi slegando il prezzo dell’energia dalle diverse fonti di produzione. In teoria, ognuna verrebbe pagata separatamente, evitando che il costo dell’ultima fonte richiesta determini il prezzo per tutte le altre. Sulla carta suona bene, nella realtà è un disastro.

Ogni volta che è stato proposto come soluzione miracolosa – dalla California al Regno Unito – è stato bocciato senza appello. Acer, l’agenzia europea che vigila sui mercati energetici, lo stronca da anni, con analisi pubbliche che spiegano chiaramente il problema: invece di favorire la concorrenza, la frena. Il rischio? Un sistema più rigido, meno trasparente e, paradossalmente, meno efficiente.

Eppure, c’è chi continua a proporlo come se fosse la panacea di tutti i mali. La Spagna, che ci ha provato, è tornata rapidamente sui suoi passi: il disaccoppiamento ha avuto effetti opposti rispetto a quelli sperati, destabilizzando il mercato invece di renderlo più equo.

Nel frattempo, il modello che si vuole smantellare è lo stesso che, numeri alla mano, garantisce maggiore efficienza e stabilità. Insomma, riproporre il “pay-as-bid” è un po’ come riscoprire l’acqua calda… e accorgersi che è ghiacciata. Ma Calenda continua con grande pervicacia a sostenerlo. Come mai?

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