Di Maio scompare da Facebook e Tik Tok: è tornato a fare il bibitaro?

Giggino scompare dai social: semplicemente si vergogna e teme quello che gli italiani infuriati possono scrivere su di lui...

Di Giuseppe Vatinno
Politica
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Di Maio scomparso da Facebook: diventerà un caso da manuale di come non si fa politica

Il profilo Facebook del fu ministro degli Esteri Luigi Di Maio è sparito, scomparso, volatilizzato nel nulla.

L’incauto follower che si avventurasse sul social alla ricerca del prezioso profilo che valeva 2.4 milioni di seguaci troverebbe una deludente scritta: “Questo contenuto non è al momento disponibile”.

Segue spiegazione in zuckerburghese: "In questi casi generalmente significa che il proprietario ha condiviso il contenuto solo con un gruppo ristretto di persone, ha modificato chi può vederlo oppure lo ha eliminato".

Pochi minuti fa Di Maio è scomparso anche da TikTok e dallo staff (o quello che resta) dicono che non è hackeraggio ma proprio fuga.

Sic transit gloria mundi, verrebbe da dire.

La spiegazione più semplice però non è ancora arrivata e proviamo a darla noi. Di Maio semplicemente si vergogna e teme quello che gli italiani infuriati possono scrivere su di lui.

Riepiloghiamo. Tre anni fa Di Maio era l’uomo più potente d’Italia. Vicepresidente del Consiglio, ministro del Lavoro, ministro dello Sviluppo Economico, Capo politico dei Cinque Stelle. Ora non è più nulla, neppure rieletto in Parlamento e con problemi lavorativi. Forse per questo ha fatto il reddito di cittadinanza.

La sua è una storia esemplare di hybris e cioè di megalomania che lo ha portato a circondarsi di yes man e di abbracciare la fallimentare causa di “Pomigliano d’Arco first” dove del resto manco ha ottenuto un voto. Essersi circondato a livello ministeriale di famigli più o meno ignoranti lo ha perduto definitivamente.

Di Maio non ha ancora capito che il suo killer politico è stato prima Giuseppe Conte e poi Mario Draghi. Il colpo di grazia glielo ha dato invece Bruno Tabacci.

Il primo gli ha sfilato da sotto il naso il partito, il secondo -per cui l’ex ministro aveva fatto la scissione per sostenerlo- lo ha lasciato in braghe di tela mettendo fine alla legislatura. Tra l’altro, i veri motivi del perché Draghi non abbia voluto continuare pur avendo tutti i numeri per farlo non sono noti.

L’ultimo ad infierire su di lui lo scaltro e neoeletto Bruno Tabacci che lo ha irretito con Impegno civico (a malapena 0.6%) e poi lo ha fregato.

Da notare come l’ex democristiano abbia fatto mettere solo il nome di Di Maio nel simbolo elettorale. Fiuto della Bassa.

Intercettato per strada ha detto: “Luigi Di Maio non eletto e io sì? Certamente che mi dispiace per lui. Io ho sempre detto cose buone di lui” e poi giù un sorrisetto democristiano di quelli che ammazzano.

Di Maio diventerà un caso da manuale di come non si fa politica. Presupponenza, ambizione smodata, democristianesimo da cinema parrocchiale, vinavillismo strutturale lo hanno perduto.

Scaricato da Grillo, scaricato da Draghi, scaricato da Conte, scaricato dal Pd, scaricato da Tabacci, scaricato dal suo ex amico Alessandro Di Battista (“studi e si prenda una laurea, stia alla larga dalla politica”), scaricato in definitiva dagli italiani.

Scaricato pure dal suo padre spirituale don Peppino Gambardella e suo parroco che gli ha detto beffardamente“coltivi sempre la sua speranza cristiana”, noi aggiungeremmo democristiana.

Qualche giorno fa era uscita una indiscrezione de l’Unione Sarda che lo dava scaricato pure dalla fidanzata teologa Virginia Saba, ma lui ha smentito. Lei però si è trincerata dietro uno strano no comment e a guardare le foto Instagram con l’illustre compagno mancano da aprile, mentre prima erano giornaliere.

Intanto impazzano sul web i consigli per trovarsi un lavoro: il più gettonato è naturalmente quello di tornare a fare il bibitaro allo stadio San Paolo, ma Di Maio è anche un webmaster e giornalista pubblicista. Qualche anima pia potrebbe dargli da fare qualche lavoretto.

Ah dimenticavamo. Chi lo ha buttato fuori pure dal Parlamento nell’uninominale di Napoli è stato proprio l’ex ministro dell’ambiente (il peggiore della storia) Sergio Costa che proprio Di Maio aveva voluto a tutti i costi al dicastero ecologico. Le beffe del destino.