Elezioni regionali: l’astensione è diventata un fattore sistemico, un vero e proprio invisibile “attore politico”
Il potere logora chi non ce l'ha (antico detto di Giulio Andreotti)
Elezioni regionali
L'analisi dopo la tornata elettorale dell'autunno
Le elezioni regionali del 2025 hanno interessato sette territori italiani: Marche, Calabria, Valle d’Aosta, Toscana (primo round), Puglia, Veneto e Campania (secondo round). In tutte, senza eccezioni, si è verificato lo stesso fenomeno: la riconferma delle amministrazioni uscenti o delle coalizioni già al governo.
Questi, nel dettaglio, i risultati regione per regione:
• Marche: Francesco Acquaroli (centrodestra) è stato rieletto presidente, confermando la linea di continuità;
• Calabria: Roberto Occhiuto (centrodestra) ha consolidato il suo ruolo, rafforzando il controllo della coalizione;
• Valle d’Aosta: Renzo Testolin e l’Union Valdôtaine hanno riaffermato la loro centralità, mantenendo la leadership autonomista;
• Toscana: Eugenio Giani (centrosinistra) è stato riconfermato presidente, perpetuando una tradizione di potere locale che va avanti dal 1970;
• Puglia: Antonio Decaro (centrosinistra), già sindaco di Bari, ha vinto nettamente la sfida per la successione a Michele Emiliano, mantenendo la regione nell’orbita progressista;
• Veneto: Alberto Stefani (centrodestra, Lega) ha raccolto un ampio consenso, proseguendo la tradizione di governo radicata;
• Campania: Roberto Fico (campo progressista, M5S–PD) ha vinto con un risultato netto, succedendo a Vincenzo De Luca e garantendo anche in questo caso continuità politica.
Qual è la chiave di lettura per interpretare questi risultati così univoci? A nostro parere, la lunga tornata elettorale regionale del 2025 ha dimostrato che le regioni italiane non sono più semplici articolazioni periferiche dello Stato, ma macro-centri di gestione del potere. O meglio, dei poteri. Vediamo quali:
• sanità: le regioni amministrano ospedali e servizi sanitari, la voce più rilevante della spesa pubblica;
• istruzione e trasporti: hanno competenze su scuole professionali, trasporto locale e infrastrutture;
• territorio e ambiente: il loro ruolo va dalla manutenzione delle strade alla gestione delle emergenze climatiche;
• risorse varie da distribuire: controllano l’erogazione di fondi europei e la messa a terra del PNRR, e così i bilanci regionali diventano strumenti di forte influenza politica e sociale.
In questo contesto, gli elettori tendono a premiare, potremmo dire quasi per “inerzia” (proprio nel senso della meccanica newtoniana), la stabilità. A meno di clamorosi errori o scandali, chi governa e distribuisce risorse viene riconfermato. Il voto regionale è chiaramente diventato un meccanismo di continuità e conservazione, molto più che di alternanza e innovazione.
In sintesi, le elezioni del 2025 ci consegnano un’Italia regionale dove il potere si radica e si autoalimenta. Le regioni sono ormai centri nevralgici di potere politico ed economico, capaci di incidere sulla vita quotidiana dei cittadini in molti casi più delle decisioni nazionali. Come ricordava Giulio Andreotti, “il potere logora chi non ce l’ha”: e, infatti, chi lo detiene tende a conservarlo.
Ma queste elezioni hanno anche messo definitivamente in luce un nuovo protagonista: l’astensionismo. Il dato più rilevante delle elezioni regionali 2025, infatti, è sicuramente il crollo della partecipazione elettorale. In tutte le regioni interessate, l’affluenza è scesa significativamente rispetto alle precedenti tornate. Ad esempio, considerando le ultime tre regioni in cui si è votato, il quadro è questo (in termini di calo rispetto alla precedente consultazione, nel 2020):
• Campania: -11,5 punti (dal 55,5% al 44,0%).
• Puglia: -14,6 punti (dal 56,4% al 41,8%).
• Veneto: -16,5 punti (dal 61,1% al 44,6%).
L’affluenza media in queste tre regioni è stata del 43,5%, ben al di sotto della soglia del valore critico del 50%. Questi numeri segnalano una disaffezione crescente verso il voto regionale, che pure riguarda (come abbiamo detto) competenze cruciali come sanità, trasporti e gestione dei fondi europei. L’astensione diventa così un fenomeno politico in sé, capace di ridisegnare il rapporto tra cittadini e istituzioni.
Che considerazioni possiamo fare su questo fenomeno? La prima riguarda quella che possiamo chiamare la sfida alla legittimità: quando meno della metà degli aventi diritto partecipa, la forza politica dei governi regionali rischia di poggiare su basi fragili. La seconda rimanda all’idea del voto come “inerzia minoritaria”: chi vota tende a confermare l’esistente, ma la maggioranza silenziosa sceglie di non esprimersi. La terza, fondamentale, segnala una forte crisi di rappresentanza: il calo di affluenza riflette un distacco tra cittadini e politica, alimentato da sfiducia, percezione di scarsa efficacia del voto e crescente individualismo sociale.
In definitiva, l’astensione non è più un fenomeno marginale ma è diventata un fattore sistemico, un vero e proprio invisibile “attore politico”, che condiziona la dinamica delle elezioni e la stabilità delle istituzioni.
Dunque, le regionali del 2025 ci offrono il ritratto di un’Italia in cui la continuità politica è premiata dagli elettori attivi; ma, al tempo stesso, emerge un’Italia “silenziosa” che si astiene. Le regioni restano centri nevralgici di potere, però la loro legittimazione democratica appare sempre più compressa. In questo scenario, il vero interrogativo non è chi governa, ma quanti cittadini scelgono di non partecipare al governo della cosa pubblica.
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