I social non spingono più gli antisistema. La destra rischia di perdere ancora

Quando domina la paura non si vota per le opposizioni, ma per chi ha già il potere. Covid e social hanno fatto impazzire la politica. Il caso Michetti

di Antonio Amorosi
Politica
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Il terrore paga sempre chi è al potere. E come si è visto ancor di più con la pandemia, se questo terrore è indotto dai grandi media e dai social network. Ormai tutto funziona sul brevissimo tempo e i social, motori degli umori della collettività, hanno cambiato di segno durante il Covid. 
Le campagne per distinguere le fake news dalla verità, tutte in favore dei governi esistenti, hanno creato un solco nell’animo soprattutto delle nuove generazioni. Negli ultimi due anni i social hanno abbandonato l’orientamento antisistema di qualche tempo prima, quando sull’onda del nuovo che avanza portavano prima Donald Trump alla Casa Bianca e poi il M5S al governo in Italia.

E il loro attuale orientamento va bene a chi governa che non ha nessuna intenzione di intaccarne la posizione oligopolistica sui mercati.
Sei cittadini su dieci non si sono recati al secondo turno delle amministrative italiane del 2021. E anche l'ultimo spin doctor sa che quando cresce l'astensionismo vince chi è al potere. L’astensionismo mostra la distanza fra l'elettore e l'offerta politica. E se l’offerta è il terrore e l’improvvisazione è facile prevedere i risultati. E’ sempre andata così nella storia d’Italia. Due casi su tutti: durante il biennio rosso (1919-1920), con l’avvento addirittura del fascismo a consolidare il potere delle classi terriere, durante gli anni del terrorismo (anni ‘70 del secolo scorso). Non si vota per le opposizioni quando domina la paura, ma si dà il voto a chi ha già il potere e può rassicurare, ripristinando lo status quo. I social oggi amplificano questi valori e cancellano (bannano) il resto. 
I gruppi dirigenti di centrodestra poi, come il proprio elettorato, sono tendenzialmente più attenti a valori come la libertà. Ma questa non è un'epoca di libertà, è un tempo in cui la paura è un valore positivo. Anche il bollettino dei morti giornalieri, con i quali il governo italiano ci ha allietato per più di un anno durante il Covid, ha fatto il suo piccolo lavoro (solo in Italia si può pensare che abbiano peso, se non emotivo, analisi quotidiane fatte su dati diseguali, raccolti in modo arbitrario e sottratti a qualsiasi tipo di verifica). 
In più in Italia c’è il combinato disposto del secondo turno delle amministrative, che ha agito in questo caso, dove l’elettorato 5 Stelle (il gruppo dirigente è oramai una costola del Pd, per giunta la parte più attenta al mantenimento del potere così come è, visto il crollo irrimediabile di consensi) si somma a quello della sinistra, sconfiggendo qualsiasi avversario. 
Ma è un problema di narrazione: come decidiamo di raccontare la realtà, se con razionalità ed equilibrio o con annunci drammatici e apocalittiche sorprese pronte a esplodere. “Bella esperienza vivere nel terrore, vero? In questo consiste essere uno schiavo”, diceva un personaggio dell’ineguagliabile Blade Runner. Per tanto sbaglia oggi il centro destra italiano ad accettare, anche nei pochi spazi concessi dai grandi media (lo spazio non si conta con i minuti di esposizione, come pensano i cretini, ma con la qualità del contesto, cioè quanto quell’ambito sia “apparecchiato” ad amplificare il tuo potere o la tua credibilità) una narrazione della pandemia fatta di drammi quotidiani, quasi vivessimo in una telenovelas in cui l’unico responsabile che scompare è proprio il governo che con la propria gestione ha all’attivo 131.000 morti.  

Il centro destra non ha capito che qualcosa è cambiato. Sottomettendosi al clima di terrore che il sistema dell’informazione ha amplificato durante la pandemia perderanno il credito accumulato in questi anni. Se non cambiano approccio e non aggrediscono i problemi dei territori in modo più mirato e concreto, con una rielaborazione profonda della fase, la partita è impari e il risultato scontato: social network, grandi giornali, tv e opinion maker remano tutti dalla stessa parte, agendo in modo quasi simbiotico sugli umori.
In questo racconto si inscrive alla perfezione la storia di un uomo per bene, l'avvocato e docente universitario Enrico Michetti, voluto da Giorgia Meloni come candidato del centro destra per la carica di sindaco di Roma.
Nel momento della candidatura Michetti conduce da sei anni un programma molto seguito su RadioRadio, seguitissima antenna del Lazio. E’ un apprezzato professionista, sia per competenze amministrative che per moderazione e arguzia, è professore di Diritto degli enti locali, la stessa che usa nel rendere comprensibile anche alle massaie la gestione della cosa pubblica. A destra lo considerano addirittura un democristiano, sicuramente non “uno dei loro”. “Forse è anche troppo per bene”, mi accennò un esponente di centro destra interrogato a inizio campagna elettorale, facendo intendere che la proverbiale pacatezza del candidato potesse non essere un pregio.
Prima della campagna elettorale, “a luglio con un sondaggio che abbiamo fatto noi di Termometro Politico”, spiega Gianluca Borrelli, responsabile dell’istituto demoscopico, “Michetti veniva dato a circa il 38% dei consensi”. Un bel primato: primo e con un distacco sugli avversari di molti punti.
Ma appena candidato si ritrova tutti contro, in primis la stampa di peso. E diventa nell’ordine: un amabile gaffeur seriale, un amico dei No Vax più strampalati, proveniente dell’estrema destra e infine addirittura un antisemita conclamato. I social amplificano le scoperte, ogni volta con campagne sempre più dure (oramai non si riesce più a distinguere tra influencer e giornalisti o almeno la gente non li distingue più). A nulla servono querele, smentite, prove del contrario. La lotta è impari per Michetti. La partita si gioca sul breve e sugli umori, come dicevamo. Con il risultato che la maggioranza del centro destra non si è neanche recata al voto. Michetti si è fermato dove era partito, al 39,85%, ed è rimasto polverizzato. 
Nei 15 municipi il centro destra fa la stessa fine: se ne aggiudica solo uno. E la componente moderata della destra romana, cioè quella di Forza Italia, vota Carlo Calenda, più affine e più esposto grazie alle TV nazionali.