Il fronte riformista del Pd cerca un leader. E Meloni si gode la spaccatura nel partito di Schlein
Chi può definirsi soddisfatta comunque vada questa nuova spaccatura all’interno dei demo, non può che essere Giorgia Meloni
Il fronte riformista del Pd cerca un leader (e prepara la resa dei conti)
E dunque «abbiamo voluto rompere un silenzio colpevole», dice Graziano Delrio chiudendo il convegno dei riformisti democratici che si è svolto ieri a Milano. «Stiamo dando una mano al Partito democratico», ha aggiunto. Ma molti osservatori si interrogano sul senso di questa riunione che aveva come chiaro intento quello di lanciare un segnale bello forte alla segretaria del Pd Elly Schlein.
Una riunione a cui hanno partecipato tutti i big del partito che non si conoscono nella linea troppo "estremista" di una segretaria, che non hanno visto arrivare, ma che ora sperano quanto prima di vedere sloggiare dal Nazareno. «Solo con la crescita si può aiutare chi ha bisogno», dicono. È la coalizione? «Siamo testardamente unitari ma ci vuole chiarezza su un’Europa forte».
Parlano di un paese spaccato tra «diversi estremismi». Per questo bisogna «superare i limiti di un campo largo che a volte è angusto e ristretto», dice Quartapelle. Uno dei temi trainanti è quello delle spese belliche. Lorenzo Guerini si schiera contro il «partito del leader». Schlein «ha lavorato per unire le opposizioni e non era una cosa scontata», prosegue, ma serve «chiarezza»: «Nessuna ambiguità sull’Ucraina».
«Serve chiarezza anche dentro il Pd – dice Pina Picierno – Non bisogna avere paura di fare questa chiarezza. E nemmeno dei luoghi in cui farla: i congressi si fanno per questo». Gli interventi sono intervallati da video tratti da speech di leader del Pse che sostengono le posizioni del riarmo e della «competitività».
Lo schema dei riformisti appare ormai delineato: attendere l’ultima tornata elettorale in Puglia, Veneto e soprattutto Campania (dove si narra non si straccerebbero le vesti se Fico uscisse sconfitto). A bocce ferme e a risultati assodati si farà la conta e se qualcosa dovesse andare storto (in Campania un sondaggio shock dell’ultima ora darebbe addirittura i due contendenti perfettamente alla pari) allora si che comincerebbe la vera rivolta, capeggiata da una sempre più agguerrita Pina Picierno, che ormai è chiaro anche ai muri aspira a sostituire la Schlein alla guida del Pd, con Giorgio Gori suo grande sponsor, che proverà a raccogliere il testimone da Giuseppe Sala alla guida di Milano).
Ma anche nei riformisti (sono sempre del Pd ed hanno nel dna quella sindrome del tafazzismo cronico) sembra aprirsi qualche crepa, per esempio tra la Picierno e Lorenzo Guerini.
“Ma anche sul nome di Guerini come “capobanda” non c’è stata l’unanimità all’interno della nuova corrente. E tra chi non ha appoggiato la sua scelta c’è la vispa Pina Picierno.” scrive Dagospia, che è molto dentro alle cose che riguardano il Pd. E già perché dopo avere fatto fuori Stefano Bonaccini, che ha deciso di tornare all'ovile, ora i riformisti cercano un nuovo leader. Ci sarebbe Lorenzo Guerini, che per ora sembra avere ereditato da Bonaccini la guida di questa fronda interna ai dem, il quale non sembra suscitare entusiasmi (troppo morbido e ondivago in alcune sue posizioni).
Da buon ex renziano, viene guardato con sospetto, proprio da chi, come la Picierno, rivendica di avere battuto per anni la provincia campana per conquistare un posto al sole. E’ vicepresidente del Parlamento europeo da due legislature, ha un ottimo rapporto con Roberta Metsola e con la spagnola leader dei socialisti Iraxte Garcia Perez, con la quale condivide tra le altre cose una certa idiosincrasia verso la leader del Pd (secondo fonti autorevoli del parlamento europeo, lei avrebbe già fatto capire che non ha nessuna intenzione di lasciare il suo posto a un esponente del partito democratico tra un anno, ulteriore motivo di attrito di Zingaretti, naturale candidato al ruolo con la segretaria per il beau geste di lasciarle la presidenza che sarebbe toccata al Pd).
Ecco allora che anche nei riformisti si starebbe creando una piccola spaccatura (“e come poteva essere altrimenti, sono, per ora, del Pd pure loro democratici", scherza un vecchio deputato di Forza Italia).
Picierno, raccontano fonti autorevoli del Pd, avrebbe anche avuto l’appoggio di un peso massimo del partito, Romano Prodi, che sembra avere ormai dichiarato guerra aperta al radicalismo della segretaria (i due non si parlerebbero da mesi, racconta chi sta vicino al professore). Proprio alla vigilia della riunione di Milano dei riformisti del Pd l’ex braccio destro di Prodi, Arturo Parisi, in un’intervista alla Stampa aveva chiesto conto di quanto sta accadendo al partito: “Il Pd abbandoni la deriva estremista, rischia la riedizione del Fronte popolare” non proprio un esempio tra i più edificanti.
Nella trasmissione “Otto e mezzo” su La7 la conduttrice Lilli Gruber, che anche non ha risparmiato critiche alla Schlein certo non si può definire vicina ai riformisti, aveva chiesto a Prodi che cosa ne pensasse e la risposta dell’ex premier non ha lasciato dubbi: “Come potrei non essere d’accordo con Parisi, che è stato il mio braccio destro da quando creammo l’Ulivo”.
Poi Prodi ha mandato alla riunione milanese dei riformisti la fedelissima Sandra Zampa che non ha risparmiato critiche alla segreteria. Luigi Zanda un altro “vecchio” del Pd aveva derubricato a” movimento dozzinale” quanto sta accadendo nei dem. Qualcosa si muove all’interno del partito, e la riunione di Milano doveva servire a contarsi e segnare una via maestra, ma il rischio è che ancora una volta i buoni propositi vadano sprecati di fronte alle ambizioni personali.
Per questo il voto delle Regionali rischiano di diventare uno spartiacque, l’ennesimo della tormentata storia del partito democratico. Ma se il buongiorno di vede dal mattino, chi può definirsi soddisfatta comunque vada questa nuova spaccatura all’interno dei demo, non può che essere Giorgia Meloni. Perché comunque vadano le elezioni amministrative, provocheranno uno scossone nel Pd e di conseguenza nel campo largo, che già mostra evidenti segnali di estrema debolezza. E questo non può che ulteriormente rafforzare una già solidissima Giorgia Meloni.