Manovra e sciopero generale del 12 dicembre, il massimalismo di Landini che punta alla politica
Le ambizioni politiche del leader della Cgil
L'analisi
Come era ampiamente previsto, ecco arrivare l’annuncio di sciopero generale per il 12 dicembre (ovviamente di venerdì, particolare sottolineato ironicamente sui social la premier Giorgia Meloni) contro la manovra di Bilancio del governo Meloni, definita "ingiusta e sbagliata". Lo ha annunciato il presidente dell'assemblea generale a Firenze, Fulvio Fammoni, durante l'assemblea nazionale. La Uil però ha già fatto sapere che non scenderà in piazza al fianco della Cgil.
È la prima volta, da quando a Palazzo Chigi c'è Giorgia Meloni, che il sindacato guidato da Pier Paolo Bombardieri sceglie di non partecipare alla protesta contro la manovra insieme alla Cgil. Lo sciopero si pone l'obiettivo, "a fronte della grave condizione economica e sociale del Paese, di cambiare, nel corso della discussione in Parlamento, il disegno di legge di Bilancio 2026". Ma oltre alla Uil, la Cgil di Landini deve fare i conti anche con l’Usb che ha deciso di indire uno sciopero per il giorno 28 novembre (anche qui un venerdì sa van san dir), al quale dovrebbe aderire anche Greta Thunberg, che forse stufa di fare solo la paladina dell’ambiente, ora sembra decisa a buttarsi nell’impegno politico tout court. Il sindacato di Bombardieri, pur critico sulla legge di Bilancio, ha detto che: "In questa manovra siamo riusciti a ottenere un risultato che è quello di parlare di contratti, che per noi sono un elemento di democrazia economica".
E "la scelta di dare 2 miliardi al rinnovo dei contratti è una scelta economicamente importante, intanto riguarda 4 milioni di lavoratori poveri". Tuttavia "la riduzione delle aliquote Irpef ha sempre dimostrato nel tempo che ha favorito i ceti più alti". Dopo la Cisl, da tempo ormai su posizioni decisamente più “governative” (soprattutto dopo la nomina dell'ex segretario Luigi Sbarra a sottosegretario, ora anche la Uil spezza quella alleanza che in un certo senso faceva la forza del sindacato. Non è la prima volta certo, ma è evidente che forse mai come ora si denoti una netta distinzione che nasconde probabilmente qualcosa di più che le semplici ragioni di interesse dei propri rispettivi affiliati.
Non è passato certo inosservato il particolare che i riformisti del Pd, nella loro riunione di Milano di qualche settimana fa, abbiamo sdoganato la Cisl, invitando sul palco la segretaria Daniela Fumarola. Un gesto che va ben al di là della forma, ma che rappresenta forse l’ennesimo messaggio cifrato contro quella che è la linea politica, intrapresa dalla segretaria Elly Schlein. Evidentemente i riformisti del Pd hanno voluto recuperare un dialogo con un importante sindacato messo all’indice dalla maggioranza del partito che ha scelto pregiudizialmente le politiche della Cgil. E questo rappresenta l’ennesimo segnale che il sindacato stia diventando esso stesso terreno di confronto (e scontro) politico.
“È sparita qualsiasi forma reale di dialogo sociale che riesca in qualche modo a incidere sulla realtà economica e sociale. L’interlocuzione si è ridotta a pochi incontri con l’esecutivo, per lo più a ridosso delle riunioni dei consigli dei ministri, senza una vera possibilità di intessere un proficuo confronto.” diceva qualche tempo fa un ex sindacalista ora nel Pd che aggiungeva “la divisione ormai evidente tra i tre principali sindacati, non fa altro che fare il gioco della Meloni, che è stata abilissima a inglobare uno come Sbarra, che pesa ancora tantissimi nel sindacato, soprattutto al Sud.”
Maurizio Landini vede un’economia disastrata e una società in grande difficoltà, oppressa da livelli di precarietà molto avanzati, così forti da richiedere una risposta drastica. Una analisi che non è condivisa dalla Cisl, che non nega le difficoltà, ma vede anche una ripresa forte dell’occupazione, specie di quella stabile, con contratti a tempo indeterminato. Mentre la Uil rimane in mezzo al guado, ma sembra spostarsi maggiormente verso le posizioni della Cisl, rispetto ad una Cgil che invece continua a restare sulle barricate, e diventando una sorta di trait d’union tra i tre partiti della coalizione Pd, Avs e cinque stelle. Ma per fare ciò deve prendere posizioni discutibili, che rischiano di allontanarlo da quello che è il suo DNA. Le manifestazioni Pro Pal hanno fatto arricciare il naso a più di un dirigente del sindacato. È evidente come il segretario Landini miri a diventare una sorta di Bernie Sanders della sinistra italiana, e cerca in questo modo di approfittare delle divisioni interne del Pd, per costruire lui una vera opposizione dura e pura la governo Meloni. Anche perché, altro particolare non proprio secondario, ad agosto 2026 Landini compirà 65 anni e non potrà più per statuto ricoprire cariche esecutive nella Cgil.
Ecco allora che la suggestione di vedere anche Landini nella corsa per la premiership del centrosinistra prende sempre più forma. E non è un caso che i rapporti tra Schlein e Landini si siano raffreddati in questi ultimi mesi, ormai la segretaria del Pd si sente, a ragione, accerchiata, e vede nemici ad ogni angolo. Il referendum sulla giustizia sarà certamente un momento decisivo soprattutto per la Schlein, che di fronte ad una vittoria dei sì sarebbe inevitabilmente messa in discussione, a tutto vantaggio di chi, come Conte e Landini aspirano alla leadership del centro sinistra alle prossime politiche.