Manovra in alto mare. Meloni vuole arrivare in Aula senza rischi, ma i tempi si allungano. Giorgetti nel mirino di Lega e FI

Legge di Bilancio, l'intesa slitta. Tanti dossier aperti. Inside

Di Alberto Maggi

Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti

Politica

E c'è chi non esclude che si debba attendere metà novembre


"Non si capisce nulla", spiegano da Forza Italia. "Non ne abbiamo la più pallida idea", aggiungono da Fratelli d'Italia. Quella che sembrava una partita chiusa, ovvero la Legge di Bilancio per il 2026, sta diventando un grattacapo - come accade ogni anno - per la maggioranza di Centrodestra e soprattutto per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Ieri la premier è stata chiarissima affermando che il contributo chiesto alle banche va bene così com'è e che devono essere "soddisfatte" come è "soddisfatto" il governo.

Ma il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini insiste per far aumentare quei quasi cinque miliardi di euro che dovrebbero arrivare dagli istituti di credito il prossimo anno. Una posizione che trova nettamente contraria Forza Italia (e la famiglia Berlusconi che ha una quota importante di Banca Mediolanum) e che già ha ingoiato quanto scritto nel testo della manovra varato dal Consiglio dei ministri. Ma ora c'è il passaggio parlamentare, che quest'anno parte e si sviluppa al Senato.

E Meloni vuole assolutamente arrivare a un punto di caduta, a un'intesa finale con un maxi-emendamento della maggioranza da presentare in Commissione Bilancio evitando così estemporanei e singoli emendamenti da parte di senatori del Centrodestra. Per questo i capigruppo a Palazzo Madama sono già stati allertati di frenare le mani ai propri parlamentari. Il nodo è sempre quello delle risorse.

C'è il problema della cedolare secca sugli affitti brevi con l'aumento della tassazione contestato sia da Forza Italia sia dalla Lega e poi anche il tema dei dividendi, come ha scritto ieri Affaritaliani, che con la doppia tassazione sia sulla controllata che sulla controllante penalizzerebbe molto le aziende medio-grandi, con potenziali ricadute anche sull'occupazione. Ma i saldi devono restare invariati e la promessa fatta all'Unione europea di restare dentro il limite del 3% nel rapporto deficit-Pil va mantenuta a tutti i costi. Proprio adesso che le agenzie di rating stanno alzando il giudizio sull'Italia mentre abbassano quello della Francia del rivale-nemico di Meloni, il debolissimo e fragilissimo (in patria) Emmanuel Macron.

Alla fine, secondo fonti di governo qualificate, la quadra si troverà ma non prima della settimana prossima. Anzi, per molti esponenti del Centrodestra addirittura bisognerà attendere fino a metà novembre per chiudere definitivamente tutti i dossier.  "I nodi sono tanti da sciogliere", spiegano dall'esecutivo. E gli occhi sono ovviamente tutti puntati su Giancarlo Giorgetti, stretto tra il pressing del suo segretario Salvini, essendo il titolare del Mef uno storico esponente del Carroccio, ma tirato per la giacca anche dall'altro vicepremier, Antonio Tajani, che gli ricorda quotidianamente la promessa fatta che mai si sarebbero tassati gli extraprofitti delle banche. Oltre alle altre richieste.

Meloni - spiegano da FdI - è paziente e attende che tutto si risolva per il meglio, ma la pazienza della premier si sta esaurendo. Massimo entro settimana prossima dovrà essere trovato un accordo, ratificato poi con un vertice tra i leader della maggioranza, in modo tale da poter procedere spediti in Parlamento. E a Palazzo Chigi sanno benissimo che la Cgil e la sinistra è pronta allo sciopero generale ma poco importa, anzi "si fanno del male da soli". Ciò che vuole davvero Meloni è chiudere in fretta l'intesa nel Centrodestra evitando continui battibecchi tra alleati su giornali, tv e agenzie di stampa.

L'ipotesi più probabile è che alla fine Via XX Settembre, ovvero il dicastero di Giorgetti, d'accordo con la presidenza del Consiglio, dovrà attingere nuovamente alla spending review tagliando altre risorse ad alcuni ministeri, suscitando così diversi malcontenti. Ovviamente non si può toccare la Difesa, non perché il titolare sia Guido Crosetto, ma perché gli impegni con il presidente Usa Donald Trump e con la Nato sono di aumentare e non diminuire le spese militari, acquistando armamenti proprio dall'America del tycoon.

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