Mulè (FI): "Ucraina? Guerra stop and go, ma l'Occidente è coeso a contrastare la minaccia russa. Giustizia? Si superi il Csm unico" 

Intervista a Giorgio Mulè (Forza Italia), vicepresidente della Camera dei Deputati

di Claudia Conte
Giorgio Mulè
Politica

Onorevole Mulè, la guerra tra Russia e Ucraina è entrata nel suo quarto anno, ma non si intravede ancora un segnale concreto di tregua. Alla luce delle notizie degli ultimi giorni — con il via libera tecnico del Pentagono all’invio dei missili Tomahawk, seguito però dalle riserve di Trump, che poche ore fa ha escluso questa possibilità — come valuta l’orientamento degli Stati Uniti?

Il conflitto russo-ucraino è segnato da continui “stop and go”, soprattutto in alcune fasi. Ciò che non cambia è l’aggressività della Russia, che si manifesta in modo brutale colpendo non solo obiettivi militari ma anche civili: asili, ospedali, infrastrutture. Quello che invece è rimasto costante è l’atteggiamento dell’Occidente, che continua a contrastare la minaccia russa. Siamo in una fase in cui Mosca dimostra di non voler realmente la pace: pone come precondizione la non belligeranza dell’Ucraina, cioè l’impossibilità per Kiev di aderire alla NATO o di avere un sistema di protezione occidentale. Questo è inaccettabile. Nessuno vuole la guerra, ma nessuno vuole nemmeno che l’Ucraina venga annessa o sottomessa alla Russia. Gli Stati Uniti dovranno continuare a garantire un supporto, anche militare, affinché l’Ucraina possa difendere i propri confini.


Qual è la posizione del nostro governo, anche in merito all’ipotesi di utilizzare gli asset russi congelati? Quali strumenti potrebbe impiegare l’Unione Europea per favorire negoziati di pace reali tra Kiev e Mosca?


L’Italia ha votato convintamente i 19 pacchetti di sanzioni contro la Russia. Quello degli asset russi è un tema complesso, di natura giuridica: occorre capire fino a che punto sia possibile rendere efficace una misura di questo tipo. La prudenza dell’Italia non riguarda l’opportunità, ma l’efficacia concreta del provvedimento. Siamo favorevoli a utilizzare quelle risorse, ma solo in un quadro che garantisca sicurezza giuridica e che eviti conseguenze indesiderate in futuro. Abbiamo già sostenuto misure come il blocco di LukOil e Rosneft, cioè delle esportazioni di petrolio russo. Appoggeremo anche questa iniziativa quando sarà definita una cornice di diritto chiara e realmente efficace.

Passiamo a un’altra area critica: il Medio Oriente. Il conflitto tra Israele e Hamas ha riacceso una delle ferite più profonde del nostro tempo. Secondo lei, il piano Trump può rappresentare una base concreta per un dialogo duraturo o è troppo fragile per produrre risultati reali?


La fragilità dell’accordo non risiede nelle intenzioni di Trump o dell’Occidente, ma nella capacità delle parti — Hamas e Israele — di rispettarlo. Lo vediamo, per esempio, nel rilascio dei corpi degli ostaggi israeliani: Hamas sta adottando una tattica estenuante, non rispettando pienamente i patti. Serve pazienza e freddezza, per evitare che Hamas, strumentalizzando gli eventi, provochi la ripresa delle operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza. L’Italia ha già offerto la propria disponibilità a essere presente, anche militarmente: i nostri carabinieri operano al valico di Rafah per agevolare il passaggio degli aiuti umanitari. Se necessario, l’Italia potrà partecipare a una missione sotto l’egida delle Nazioni Unite per rendere questa fase più stabile ed efficace.

Pensa che Netanyahu abbia ancora un futuro politico o che il suo governo sia ormai in crisi?

La grande differenza tra Netanyahu e Hamas sta nella natura democratica del governo israeliano. Netanyahu ha una legittimazione popolare e il popolo israeliano deciderà a breve se continuare a dargli fiducia. I sondaggi, però, sembrano indicare il contrario: le forze più radicali della destra israeliana, pur non avendo preso il sopravvento, hanno fortemente condizionato il governo. Credo che Netanyahu abbia commesso errori, anche gravi, nella gestione della guerra a Gaza: da una reazione legittima al pogrom del 7 ottobre si è passati a un’azione militare devastante che lo ha messo in una posizione di torto. Resta comunque il fatto che Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente, e la maturità di questa democrazia si misurerà nella capacità del popolo israeliano di decidere liberamente il proprio futuro.

In Venezuela c’è il rischio di un’escalation, di un conflitto scatenato da Trump per sovvertire la tirannia di Maduro?

Quello di Maduro è un regime tutt’altro che democratico: un’autocrazia che ha trascinato il popolo venezuelano in una crisi gravissima, economica, sociale e di diritti. L’Italia ha denunciato più volte la repressione in atto in Venezuela. Detto questo, la soluzione non può essere militare: bisogna evitare conseguenze e soprattutto che vengano coinvolti i Paesi “amici” del Venezuela. (Russia, Cina e Iran).
La prudenza, in questo caso più che mai, suggerisce di non “premere il pulsante rosso”, ma di lavorare per isolare diplomaticamente il regime di Maduro.

Torniamo in Italia. La riforma della giustizia prevede il sorteggio dei membri del CSM, una novità significativa per il sistema giudiziario. Lei ha affermato che questo meccanismo azzera il correntismo, definito un vero “cancro” della magistratura. Crede che possa davvero rafforzare la fiducia dei cittadini nella giustizia?

Sì, certamente. Questa riforma risponde al principio sacro di una giustizia autonoma, indipendente e, soprattutto, terza e imparziale. Per realizzare questo obiettivo è necessario separare le carriere e superare il CSM unico, evitando che i magistrati si giudichino o si trasferiscano reciprocamente in base a logiche correntizie o pseudo-politiche. Non è un caso che il comitato del “No” dell’Associazione Nazionale Magistrati si trovi proprio dentro la Cassazione: una contraddizione rispetto al principio di indipendenza.
La riforma recepisce anche i ripetuti richiami del Presidente della Repubblica Mattarella, che all’inizio del suo mandato denunciò la deriva del correntismo. È una riforma coerente con lo spirito costituzionale e con quanto avvenuto nel 1989 con la riforma del processo penale di tipo accusatorio: il giudice deve essere terzo, mentre accusa e difesa devono trovarsi sullo stesso piano. Il sorteggio risponde a criteri oggettivi, evitando la riproduzione delle correnti e garantendo che i magistrati siano chiamati a esercitare una funzione di garanzia, non di potere politico.

Negli ultimi anni si è registrato un aumento delle minacce ai politici e ai giornalisti. Lei stesso ha condannato gli episodi contro Fabrizio Ferrandelli, assessore al Comune di Palermo, e contro Ismaele La Vardera, deputato regionale sotto scorta. Ritiene che il clima d’odio stia diventando un pericolo reale per la democrazia?

Il clima d’odio in questo Paese esiste, e non da oggi. Ha radici antiche, ma negli ultimi anni si è rafforzato, anche a causa della strumentalizzazione di eventi come la guerra in Ucraina o il conflitto a Gaza. Alcune forze politiche, soprattutto di sinistra o estrema sinistra, hanno avuto atteggiamenti irresponsabili che hanno alimentato l’odio. È un clima che ha colpito anche figure come Liliana Segre e che si manifesta quotidianamente contro chiunque esprima opinioni non allineate, soprattutto al pensiero propal. Vediamo gruppi anarchici o infiltrati che feriscono poliziotti e carabinieri, devastano le città. L’odio si respira anche sui social, dove si moltiplicano minacce di morte e offese gravissime. Detto questo, la democrazia italiana non è a rischio — dire il contrario è una sciocchezza. L’Italia è una democrazia salda, che tutela la libertà di opinione e di manifestazione. Ma maggioranza e opposizione devono unire le forze per dire no a ogni forma di violenza e intolleranza. Le vere minacce alla democrazia sono gli attentati, le intimidazioni contro giornalisti o parlamentari. Anche quando non si condividono le idee o i metodi di qualcuno, come nel caso del giornalista Sigfrido Ranucci, è inaccettabile che qualcuno pensi di poter rispondere con la violenza. Serve uno spirito comune, trasversale, per difendere la libertà e la civiltà del nostro Paese.

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