Presidenzialismo, che cos'è e come funziona il progetto della Meloni e del Cdx

Di presidenzialismo in Italia se ne discute da tempo e si può definire una di quelle riforme bipartisan

di Vincenzo Caccioppoli
Politica
Condividi su:

Presidenzialismo, il progetto della Meloni e del Centrodestra

Mentre il centrosinistra continua a cercare una difficilissima quadra per arrivare ad un campo largo sempre più stretto, visto i distinguo operati dai vari calenda, Fratoianni e Di Maio, il centrodestra marcia spedito nel preparare il programma di governo, ormai giunto agli ultimi dettagli.  Ai primi punti di esso si trova la riforma del presidenzialismo, un vecchio cavallo di battaglia di Giorgia Meloni, leader in pectore della coalizione, che sul tema aveva anche presentato un disegno di legge, bocciato poi alla Camera.

Di presidenzialismo in Italia se ne discute da tempo e si può definire una di quelle riforme bipartisan, dal momento che sia Berlusconi che il vecchio leader dell’Ulivo Romano Prodi,  si sono sempre dichiarati favorevoli ad una riforma presidenzialista nel nostro paese. Anche Matteo Renzi da tempo è sostenitore di una riforma in tal senso nel nostro paese. Ma se è per questo, già negli anni 80, ai tempi della prima repubblica, il leader socialista Bettino Craxi fu uno dei principali fautori per una svolta presidenzialista in Italia, per far uscire la politica dallo stallo della partitocrazia.

Ma alla fine il dibattito politico e le forti resistenze presenti, soprattutto in buona parte dello schieramento di centrosinistra, hanno impedito di arrivare ad una riforma costituzionale in tal senso. Lo spettacolo indecoroso offerto dalla politica in occasione delle recente elezione del presidente della repubblica a febbraio di quest'anno, ha sicuramente riportato al centro del dibattito la questione sulla scelta di dare al paese una svolta verso un'elezione diretta della massima carica dello stato, al di là dei dubbi che molti nutrono sul fatto che questa riforma potrebbe determinare uno squilibrio di poteri e una violazione  alla sacralità della costituzione.

Tutto ciò, malgrado  la maggioranza degli italiani sembra favorevole ad una riforma di questo tipo ( un recente sondaggio di Ilvo Diamanti per Repubblica aveva certificato come circa il 74% degli italiani fosse favorevole al presidenzialismo). Ma per rassicurare ulteriormente questi scettici sul presidenzialismo, si potrebbe far notare come uno dei sostenitori forse più illustri del presidenzialismo, è stato certamente Piero Calamandrei, uno dei padri fondatori proprio della nostra costituzione, che già nel 1947 si schierò per il modello presidenziale americano.

Il fondatore del Partito d’Azione dovette fare i conti con la diffidenza di democristiani e comunisti e l’idea del presidenzialismo fu scartata: la vicinanza con il fascismo finì con il favorire un assetto istituzionale con un governo debole, un Parlamento centrale e una distribuzione di poteri complicata. Ora sembrano ritornare questi fantasmi mai sopiti di un ritorno dell’uomo forte , che se nel dopoguerra potevano avere un fondamento, adesso sembra siano sventolati ad arte come paraventi o totem, utili per combattere l’avversario e per preservare lo status quo, che ha evidentemente fatto comodo a molti in questi decenni.

La sinistra come disse bene l’ex presidente della Repubblica Cossiga, ha un ancestrale paura dell’uomo forte al comando e tende per principio a scartare qualsiasi tipo di riforma costituzionale in senso presidenzialista, che con gli adeguati contrappesi ha dimostrato di essere molto efficace, dal punto di vista della governabilità, dove è in vigore, come in Francia e Stati Uniti.

“Esistono due concezioni diverse della democrazia. Una fa riferimento direttamente ai cittadini e alle istituzioni elettive; l’altra, tuttora egemone in Italia, prevede che la sovranità popolare si esprima principalmente mediante corpi intermedi come i partiti e i sindacati… Ovviamente questa visione della democrazia ‘organizzata’ respinge pregiudizialmente il presidenzialismo, la sua vocazione è fondamentalmente consociativa” disse Francesco Cossiga, in una intervista alla fine degli anni 90.

La riforma presidenzialista a cui guarda da tempo Giorgia Meloni e che adesso fa parte del programma del centrodestra di governo sicuramente si avvicina a quel semipresidenzialismo alla francese più che a quella americana. Elezione a suffragio universale e diretto del presidente della Repubblica, che presiede il Consiglio dei ministri, con poteri di nomina e revoca dei ministri, e guiderà la politica generale dell’Esecutivo.

“Il tema dell’elezione diretta del presidente della Repubblica ha accompagnato l’intera storia repubblicana ed è stato profondamente elaborato e metabolizzato dal più autorevole pensiero politico, giuridico e costituzionale italiano. Già nel periodo della Costituente e nei decenni immediatamente successivi numerose furono le prese di posizione, seppure con diverse sfumature, in favore del presidenzialismo assunte da autorevolissimi esponenti della cultura e della politica italiana: Gaetano Salvemini, Pietro Calamandrei, Randolfo Pacciardi, Leo Valiani, Giuseppe Saragat, Giuseppe Maranini, Giorgio La Pira”.

Ha spiegato bene la Meloni in occasione della presentazione della sua proposta di legge per il presidenzialismo, bocciata poi alla Camera a maggio. Chissà se su quel voto ( su cui ha pesato anche la colpevole assenza di una quarantina di esponenti del centrodestra) avranno inciso le parole pronunciate da Giorgetti a novembre, quando candidamente si lanciò in quella che poteva sembrare una boutade o un provocazione ( come capita ogni tanto al personaggio, non si sa quanto volutamente o meno), proponendo, nelle prime fasi di colloqui per sbloccare la partita del Quirinale, un semi presidenzialismo di fatto, grazie all'elezione di Mario Draghi al Quirinale ( che avrebbe significato, secondo il pensiero del ministro dello sviluppo economico leghista, una guida dal Colle della politica di un nuovo governo secondo quella che era la” agenda” di Draghi), poi sfumata a febbraio, soprattutto per il no deciso non solo della Lega ma anche di Pd e chiaramente cinque stelle.

Ma Draghi, si sa, è persona che al di là di quello che si pensava, piuttosto scomoda proprio per quei partiti, nessuno escluso, che formavano la sua ampia maggioranza. Il suo governo ha determinato un vero e proprio sconquasso nei Cinque stelle, una perdita considerevole di consensi per la Lega, e un cambio al vertice del partito democratico. Ecco perché una riforma costituzionale in tal senso che dia ai cittadini il potere di scegliere un presidente che guida la politica del paese e sceglie il premier e i ministri, con il potere di revoca degli stessi, potrebbe garantire quella stabilità, vero tallone d’Achille della politica nostrana, e  che ha determinato solo nell'ultima legislatura il succedersi di ben tre governi.

Ma per tutelare e rassicurare ancora di più, quanto vedono in questa riforma, la possibilità di un primo passo verso una svolta autoritaria, nella riforma pensata da Giorgia Meloni e probabilmente inserita nel nuovo programma del centrodestra,  verrebbe inserita anche la mozione di sfiducia costruttiva, al pari di Germania e Spagna, dove il sistema è da tempo in vigore.

Proprio la presentazione di una sfiducia costruttiva, approvata dal parlamento spagnolo, ha permesso all’attuale premier spagnolo Pedro Sanchez nel 2018 di sostituire Rajoy alla guida del governo. Questo strumento garantirebbe anche l'opposizione che avrebbe la possibilità di convincere delle sue proposte la maggioranza del parlamento e proporsi per la guida del paese, evitando le manfrine a cui si è dovuto assistere in questa ultima legislatura in occasione delle due crisi dei governi Conte 1 e Conte 2. Ecco allora che si arriva alla naturale conclusione che forse la proposta portata avanti con forza da Giorgia Meloni e fatta propria dal centrodestra, sembra proprio una di quelle riforme non più rimandabili.