Programma elettorale Verdi e SI - Elezioni 2022, le proposte dei "rossoverdi"

Scopri nel nostro approfondimento tutti i punti del programma elettorale di Verdi e Sinistra Italiana per le elezioni politiche 2022

Da sinistra: Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana), Eleonora Evi e Angelo Bonelli (Europa Verde)
Politica
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Elezioni 2022, il programma elettorale del cartello formato da Europa Verde e Sinistra Italiana

 


1. L’ITALIA RINNOVABILE


Il Sole è il più grande “reattore a fusione nucleare” già disponibile per la produzione di energia rinnovabile e fornisce ogni anno 15mila volte l’energia di cui l’umanità ha bisogno. La ricerca scientifica e tecnologica ha sviluppato le tecnologie necessarie a catturare l’energia solare come il fotovoltaico, il solare termico e l’eolico, così come quelle per conservare l’energia in maniera molto efficiente, ad esempio le batterie al litio e i pompaggi idroelettrici. Non meno importante, sono ormai disponibili efficienti tecniche per il risparmio di energia nei processi industriali, in agricoltura e nel settore abitativo, capaci di ridurre notevolmente la domanda energetica e i relativi costi.  Se a questo si aggiungono i risparmi energetici connessi all´aumentata capacità di riciclare i materiali (ad esempio, in edilizia, nell´industria, nella gestione dei rifiuti elettronici, urbani), non c´è dubbio che la transizione energetica verso minori consumi, utilizzo di energie rinnovabili, minori impatti ambientali con particolare attenzione ai gas serra, sia possibile riducendo l´utilizzo del metano e senza fare ricorso all´energia nucleare, quest´ultima già rifiutata dagli Italiani in due referendum nazionali. È necessario che ognuno di noi sia messo nelle condizioni di produrre energia pulita e soprattutto di condividere e scambiare l’energia prodotta attraverso la rete elettrica e il relativo mercato, che devono essere riorganizzati per gestire il 100% di energia elettrica rinnovabile. L’energia deve diventare un bene comune, staccandosi dalla logica dei sistemi centralizzati in cui pochi producono/distribuiscono e tutti consumano la risorsa, se hanno la possibilità di acquistarla. La democrazia energetica si può realizzare attraverso un’economia di condivisione del vettore energetico che alimenta le nostre società e una rete che supporta l’autoconsumo collettivo, attraverso l’indispensabile evoluzione delle comunità energetiche. Il mondo si trova su una strada che va verso un aumento della temperatura globale di 2,7 gradi entro la fine del secolo: ciò porterebbe a cambiamenti catastrofici nel clima della Terra. La scienza ci dice che a livello globale possiamo e dobbiamo dimezzare le emissioni annuali di gas serra nei prossimi otto anni per rimanere entro 1,5 gradi. La scienza va ascoltata: senza una forte accelerazione nelle politiche per il clima, “nella critica decade degli anni 20” (Patto per il Clima di Glasgow, COP26, novembre 2021) non saremo in grado di limitare il surriscaldamento globale entro la soglia di sicurezza di 1,5 gradi.

L’Italia deve dotarsi di un obiettivo nazionale di riduzione delle emissioni serra come hanno fatto tutti i grandi paesi Europei. Per questo l’Italia deve triplicare i propri sforzi di riduzione delle emissioni come sua quota equa globale in linea con l’obiettivo di 1,5 gradi, riducendo le emissioni del 70% al 2030 rispetto al 1990 e procedendo verso la neutralità climatica da raggiungere nel 2045, come ad esempio previsto dalla Germania nella propria strategia energetica/climatica.

Tutti questi obiettivi possono essere raggiunti con un programma di azioni coordinate
Affrontare l’emergenza energetica senza rinunciare alla transizione
-    Realizzare un piano che definisca tempi e quantità per il definitivo abbandono del gas metano dal sistema energetico nazionale e garantisca l’uscita dalla generazione a gas nel sistema elettrico entro il 2035. La recente crisi del prezzo del gas e delle forniture ci rinforza nella convinzione di accelerare l’uscita dall’economia delle energie fossili per costruire un modello resiliente in grado di fornire energia ai cittadini per i loro bisogni a un prezzo equo e stabile nel tempo, senza speculazioni e senza impatti climatici.

- Un piano per l’eliminazione dei combustibili fossili dalle abitazioni mediante energie rinnovabili, efficienza energetica, pompe di calore e ogni altro processo che porti all’elettrificazione completa delle abitazioni, incluso il superamento delle deroghe per l’impiego di gasolio nel riscaldamento domestico.

- Mettere l’efficienza energetica e l’attivazione del risparmio energetico da parte dei cittadini in cima alle priorità di azione, come suggerito dall’ENEA, anche e non solo per rispondere all’ingiustificata invasione russa dell’Ucraina. Perché l’efficienza energetica assuma un ruolo di primo piano, è necessario anche rivedere tutti gli incentivi per renderli duraturi almeno fino al 2030, darne accesso a tutte le fasce sociali e garantirne l’accesso prioritario alle fasce sociali più deboli, escludere il supporto alle caldaie a gas, e raggiungere un efficientamento almeno fino alla classe energetica C.

- Accelerare la produzione di energia elettrica rinnovabile fino a raggiungere l’installazione di 15 GW all’anno, dando priorità anche attraverso adeguati incentivi economici allo sviluppo sui tetti e sul tessuto industriale e sulle aree idonee nel rispetto della normativa VIA.

- Sviluppare una strategia di implementazione degli obiettivi del RepowerEU per emancipare la nostra economia in fretta dalla volatilità del prezzo del gas aggiornando il Piano nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC)

- Sfruttare tutte le infrastrutture gas esistenti – stoccaggi, gasdotti e rigassificatori – per compensare possibili contrazioni o stop del gas russo prima di considerare nuove infrastrutture gas.

- Nel primo semestre del 2022 l’Italia ha esportato all’estero 1,836 miliardi di metri cubi di gas. Nell’ambito di una politica di massimo utilizzo delle risorse energetiche il gas esportato andrà utilizzato prioritariamente nel mercato interno.

- Nuovi contratti gas devono essere limitati al minor tempo possibile, solo fino a quando strettamente necessari e legati alla cattura del “gas di scarto” e non di nuova produzione.

- Fornire interventi di sostegno selettivi solo per i più bisognosi, come il bonus per famiglie, e sostenere il reddito delle famiglie senza incentivare i consumi energetici. Allo stesso modo sostenere le imprese più in difficoltà ma introducendo premialità aggiuntive di credito fiscale a chi investe in rinnovabili ed efficienza energetica e rivedendo i fondi del PNRR per dare priorità a efficienza e rinnovabili per l’impresa.

- Al fine di dare una risposta all’aumento dei prezzi energetici che stanno causando una gravissima crisi sociale ed economica si rende urgente fissare in via temporanea un tetto al prezzo del gas.

Riforma ambientale del fisco.
Come da impegno G7, vanno aboliti i sussidi fossili, dal valore di oltre 20 miliardi l’anno, entro il 2025. Ciò attraverso un piano di ridistribuzione dei sussidi fossili per la transizione come incentivo e supporto ai settori industriali e alle fasce sociali più esposte. Oltre alla rimodulazione dei sussidi, va riformata la fiscalità energetica in modo strutturale per disegnare tariffe di fornitura che mettano i consumatori al riparo della volatilità del prezzo delle fonti fossili e per ridurre a zero la povertà energetica entro il 2025 e garantire l’accesso equo all’energia verde per tutti. A livello europeo, serve una fiscalità energetica comunitaria che eviti la concorrenza sleale tra le imprese europee ma diventi veicolo delle politiche per il clima. Oggi l’Italia paga all’Europa oltre 800 milioni di euro anno di plastic tax che non recupera dai consumi di plastica perché la plastic tax nazionale è stata rimandata. A pagare sono i contribuenti indipendentemente dai loro consumi di plastica. Siamo per il principio ‘chi inquina paga’.

Sì a rinnovabili, no a nucleare e trivelle.
- Raggiungere per il fabbisogno elettrico 80% di penetrazione rinnovabile al 2030 e quasi 100% al 2035 attraverso una programmazione annuale minima di sviluppo rinnovabili e sblocco autorizzazioni. Priorità ad energia solare ed eolico a terra e marino. A tal proposito è necessario realizzare 60GW di rinnovabili entro tre anni individuando anche figure di commissari e sub commissari regionali per sbloccare le autorizzazioni.

- Dare mandato a Terna per sviluppare un “Piano speciale di accumuli e della rete elettrica” capace di assorbire e gestire in sicurezza energia rinnovabile, sopra tutto l’arco giornaliero e stagionale, per una piena decarbonizzazione del settore elettrico al 2035.

- No al nucleare, come da mandato dei due referendum.

Fare chiarezza sulle false sicurezze di inesistente nucleare di quarta generazione e di prossima fusione nucleare, molto lontana nel tempo. Nulla in contrario a continuare attività di ricerca in tal senso, ma è vergognoso promettere ai cittadini la realizzazione in poche decine di anni di tecnologie sulle quali ancora si sono ottenuti solo risultati di laboratorio privi di prospettive concrete nel breve e medio periodo.

- Stop a nuove trivelle permanente e piano graduale di uscita dalla produzione fossile nazionale entro il 2045, unendosi in occasione della COP27 ai paesi dell’Alleanza oltre il Petrolio e il Gas (BOGA) guidata dalla Danimarca.

- Revisione del sistema delle royalties sulla produzione nazionale per recuperare gli extraprofitti delle imprese fossili durante la crisi russa.

2. L’ITALIA GREEN
Una legge per il clima, consultazioni e partecipazione


Dotarsi di una legge per il clima entro i primi 100 giorni come strumento normativo di coerenza e continuità delle politiche rispetto a obiettivi vincolanti e assicurare la produzione normativa e la sua implementazione a tutti i livelli – nazionale, regionale e locale. Elementi essenziali includono obiettivi vincolanti e finalità coerenti con gli scenari scientifici, un Comitato scientifico indipendente di controllo delle politiche, obblighi emissivi settoriali, sistema di monitoraggio e valutazione, e la costituzione di assemblee cittadine per attivare la partecipazione e garantire inclusione. Consultazione e condivisione degli obiettivi sono il presupposto per la loro realizzazione. La partecipazione attiva dei cittadini nella condivisione delle responsabilità e la proposta di soluzioni è centrale per vincere la sfida della salvaguardia del clima all’interno dei perimetri della democrazia liberale. La transizione ecologica può essere accettata unicamente a fronte di un coinvolgimento nei processi decisionali e nell’identificazioni delle possibili soluzioni.

Dare la priorità all’adattamento climatico
L’Italia rientra tra le aree più colpite e si surriscalda più velocemente della media globale. Negli ultimi 40 anni l’Italia ha registrato oltre 20mila morti a causa di eventi estremi, seconda solo alla Francia con il maggior numero di decessi. Guardando al futuro, l’Italia rischia di diventare invivibile con temperature estive che potrebbero aumentare fino a 6 gradi, le precipitazioni estive diminuire fino al 40% nel corso del secolo e uno stato di siccità critica continua. Senza azione, da qui al 2050 i giorni di ondate di calore possono aumentare fino al 400%. I costi diretti del cambiamento climatico in Italia rischiano di raggiungere l’8% del PIL entro fine secolo, colpendo principalmente le fasce più̀ fragili della popolazione, le infrastrutture, i terreni agricoli e il settore del turismo. L’adattamento deve diventare un investimento prioritario per evitare danni incalcolabili e nuove tragedie umane. Per questo occorre aggiornare e rendere pienamente operativo il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, fermo al 2017, entro i primi 6 mesi della legislatura; le politiche di adattamento devono essere integrate all’interno di tutte le politiche; rivedere l’adeguatezza del PNRR rispetto alle necessità dell’adattamento; e sviluppare un “Piano Salva Foreste” e un “Piano Salva Mari” per la protezione, il ripristino, la conservazione e la valorizzazione di questi ecosistemi.

Un’amministrazione pubblica amica del clima.
Senza efficacia e competenza, non si riusciranno a raggiungere gli obiettivi e a costruire la fiducia pubblica necessaria. Per questo occorre rafforzare tutti i Ministeri con nuovo personale dedicato; completare la riforma del MITE integrando industria (MISE) e infrastrutture (MIMS); e instaurare una cabina di regia per la transizione ecologica a Palazzo Chigi. Non si possono inoltre più rimandare forme minime ed uniformi sul territorio nazionale (regioni, città metropolitane e Comuni) di strutture amministrative per implementare le politiche nazionali e produrre soluzioni autonome.

Trasformare CDP, SACE e Invitalia in Banche per il clima per sostenere, garantire e gestire la transizione. Serve maggiore trasparenza nell’erogazione di risorse da parte delle agenzie pubbliche. Servono regole per l’esclusione del finanziamento a infrastrutture fossili, una strategia per l’uscita dagli investimenti esistenti e un piano d’azione per sostenere i finanziamenti privati ad accelerare nella transizione climatica.

Un piano di investimenti per il risparmio idrico, sia in ambito urbano che industriale, promuovendo il ciclo chiuso, il riuso delle acque e quindi la riduzione dell’impatto degli scarichi sui fiumi e dello sfruttamento delle acque di falda, e contro la dispersione idrica dei nostri acquedotti che perdono il 40% di acqua, circa 104 mila litri al secondo ed un piano che acceleri la realizzazione dei sistemi di depurazione considerata la condanna della corte di Giustizia europea sulla violazione della direttiva in materia di trattamento delle acque.
Per un’Europa verde e solidale
o Una politica comune sul gas basato su meccanismi di solidarietà per condividere volumi a fronte di crisi, incentrata su obiettivi comuni di risparmio, di accesso agli stoccaggi e di ottimizzazione di gasdotti e rigassificatori esistenti. L’Italia può giocare un ruolo da protagonista per la solidarietà europea. Nuove infrastrutture porterebbero invece ad un eccesso di offerta di gas, con nuove instabilità sui mercati e pesanti oneri di costo di infrastrutture non utilizzate. L’Europa non deve incentivare nuova esplorazione e produzione di gas ma favorire nuove forniture con paesi che abbiano disponibilità di gas da liberare per l’export attraverso lo sviluppo delle rinnovabili e la cattura del gas di scarto.

o Non solo difesa del Green Deal ma renderlo più ambizioso, portando gli obiettivi 2030 del pacchetto Fit for 55 ad almeno il 50% di penetrazione di rinnovabili e al 45% di risparmio attraverso l’efficienza energetica.

o Debito buono è debito verde. L’Unione europea stima che siano necessari 270 miliardi di euro all’anno di spesa pubblica per la transizione. Per l’Italia serviranno 30-40 miliardi l’anno. La necessità di un accordo su come finanziare la transizione all’interno della riforma del Patto di Stabilità per la transizione ecologica è fondamentale per l’Italia che ha uno spazio fiscale limitato. Il debito verde deve essere escluso dal calcolo del debito pregresso e legato a tempistiche di rientro più lunghe e specifiche per ogni paese.

o L’Italia deve contribuire a forgiare una diplomazia del Green Deal sia per spingere le grandi economie emittrici, come Cina e India, a intraprendere transizioni più rapide di riduzione di emissioni, sia fornendo a tutti i paesi il supporto finanziario necessario alla transizione, per l’adattamento e per le perdite e i danni. Nuove catene di valore, modelli di economia circolare e partenariati per le materie prime critiche devono essere ricercati con le economie africane ed asiatiche per costruire resilienza e fiducia reciproca.

Una politica estera verde per una transizione globale giusta
o Come Stati Uniti, Regno Unito e Germania, anche l’Italia si deve dotare di un’inviata/o speciale per il clima di alto livello e di un corpo diplomatico adeguato alla sfida climatica, incluso nuovi “diplomatici climatici” sia a Roma che nelle Ambasciate più importanti.

o La politica estera italiana dovrà dotarsi di una nuova strategia energetica in linea con gli obiettivi climatici, che sia slegata dallo sfruttamento di nuove riserve fossili e degli interessi fossili costituiti. E della prima strategia di sicurezza climatica per identificare l’esposizione dell’Italia ai rischi climatici globali.

o Per la cooperazione internazionale e la giustizia climatica, ci impegniamo a raggiungere la quota equa per l’Italia di mobilitare almeno 4 miliardi di dollari l’anno in finanza per il clima, di cui 50% da destinare all’adattamento e alle perdite e i danni. Questo nel contesto di raggiungere entro fine legislatura la quota dello 0,7% di Aiuti Pubblici allo Sviluppo sul reddito nazionale lordo in linea con gli obiettivi dell’Unione Europea.

o All’interno del G7 e del G20, inclusa la Presidenza italiana del G7 del 2024, ci adopereremo per una profonda riforma dell’architettura globale della finanza, per mobilitare i trilioni necessari alla transizione globale giusta, per riforme dei debiti che diano accesso a tutti ai capitali necessari alla transizione e per ripristinare più equità tra il Nord e il Sud del mondo.

o Dobbiamo dare vita a nuovi partenariati, in particolare nel Mediterraneo, in Africa, in America Latina e nelle economie emergenti asiatiche, per un futuro prospero e resiliente slegato dallo sfruttamento fossile e incentrato sulle energie rinnovabili e nuovi modelli di sviluppo industriale e agricolo, slegati dalla deforestazione e nuovi sfruttamenti di suoli e mari, che creino valore a beneficio di tutti nel pieno rispetto dei diritti umani, ambientali e dei lavoratori.

Beni primari, lotta alla desertificazione
A livello globale le foreste coprono il 30% della superficie terrestre e, oltre a offrire cibo sicuro e riparo, esse sono essenziali per il contrasto al cambiamento climatico, e la protezione della biodiversità e delle dimore delle popolazioni indigene. I modelli di produzione e consumo europei e l’importazione di beni come soia, mais, carne, legname sono causa di deforestazione globale e pertanto l’Italia deve mirare ad una norma ambiziosa in sede europea per garantire filiere tracciabili e certificate per l’importazione dei soli prodotti a deforestazione zero.
L’Italia è uno dei punti caldi della crisi climatica globale e dei suoi effetti. L’estate 2022 ci ha mostrato impatti crescenti sotto forma di ondate di calore, siccità prolungate e collassi glaciali. Diversi incendi hanno già colpito i boschi italiani, minacciando la sicurezza delle comunità. Gli eventi estremi che colpiscono le foreste minacciano non solo la loro stabilità ecologica, ma soprattutto i benefici che offrono alla società, come la mitigazione climatica, il contrasto al dissesto idrogeologico, la fornitura di materiali rinnovabili, la regolazione della qualità dell’acqua e dell’aria, il benessere fisico e spirituale. Pertanto proponiamo di: Incrementare e finanziare la pianificazione forestale e la certificazione di gestione sostenibile, investire nell’adattamento delle foreste agli stress climatici e nella prevenzione dei danni alle foreste dovuti agli incendi e agli eventi climatici estremi, che riducono o interrompono i benefici che le foreste forniscono alla società, progettare il ripristino delle foreste danneggiate; formare professionisti e tecnici sulle misure da attuare; lottare contro l’erosione e il dissesto idrogeologico nei bacini idrografici forestali e tutelare le foreste che proteggono e alimentano le risorse idriche; dare attuazione al collegato ambientale del 2015 e avviare forme di remunerazione economica per i servizi ecosistemici di regolazione delle foreste. Promuovere la connettività ecologica e funzionale dei paesaggi agrari e forestali a scala nazionale; rilanciare la dignità degli operatori forestali per la cura del territorio. Supportare l’impianto e la cura degli alberi nelle aree urbane (non solo città metropolitane); riattivare la filiera nazionale del legno per diminuire la dipendenza dalle importazioni e evitare di delocalizzare impatti negativi sulle foreste di altri Paesi; sostenere filiere produttive ad elevato valore aggiunto nel settore della bioeconomia forestale (tessili, medicinali, chimiche); incentivare l’impiego di legno locale e l’uso “a cascata” del legno, privilegiando gli impieghi a lunga durata come quelli nel settore edilizio e strutturale.

3. L’ITALIA DELLA MOBILITÀ SOSTENIBILE
Più trasporto pubblico, stop all’inquinamento


Lo smog causa ogni anno in Italia 56 mila morti secondo i dati dell’agenzia europea per l’ambiente. Serve un cambio radicale di investimenti sul trasporto pubblico locale: la sola città di Madrid dispone di 294 km di metropolitane ed in tutta la Spagna sono oltre 1.000 km; in tutta Italia sono solo 234 Km. Non c’è alcun dubbio sul fatto che l’incremento del trasporto pubblico (possibilmente elettrico) porterebbe a un grande miglioramento della qualità dell’aria, nonché a grandi risparmi nel consumo di combustibili fossili (benzina, diesel) per il traffico privato. Per quanto riguarda quest’ultimo, la qualità dell’aria beneficerebbe anche da una diffusione dell’auto elettrica, ferma restando la priorità dell’impegno per il trasporto collettivo. Serve un piano industriale per la mobilità elettrica al 2030 che punti a un obiettivo di veicoli elettrici circolanti di almeno 10 milioni di unità e dotarsi di 100 mila punti di ricarica pubblica. Il sistema di incentivi auto va rimodulato a sostegno dell’acquisto di sole auto elettriche e indirizzando progressivamente gli incentivi alle vetture più efficienti e alle sole utilitarie, solo per la prima auto e modulati in base al reddito. Ribadiamo il nostro no al ponte sullo stretto di Messina opera inutile, inserita in un contesto ad alto rischio sismico ed idrogeologico e che sottrarrebbe 10 miliardi di euro ad opere e infrastrutture socialmente utili.

L’alta velocità ferroviaria si è rivelata utile e potrebbe ancora essere utile su alcune tratte che congiungono grandi centri urbani favorendo spostamenti ad alto valore aggiunto. Non ha alcun senso in aree dove, come la Val Susa, già esistono altre forme di trasporto autostradale e ferroviario sottoutilizzate per mancanza di effettiva domanda di trasporto e dove la popolazione locale ha chiaramente espresso la propria contrarietà. Proseguire sul progetto della linea “Torino-Lione” comporta spese di grande entità, tempi molto lunghi e vantaggi irrisori.

Aiutare la conversione ecologica industriale anche socialmente
Per realizzare la conversione ecologica industriale e renderla socialmente desiderabile è urgente adottare politiche industriali per le produzioni di componenti di veicoli elettrici, riconvertire filiere esistenti e favorire la nascita di filiere di recupero e riciclo delle componenti e dei materiali critici; politiche del lavoro per la riqualificazione degli addetti e favorire la mobilità dei lavoratori a rischio verso altri settori; politiche per l’istruzione che prevedono percorsi formativi a tutti i livelli.

Un “Piano straordinario per il trasporto pubblico locale”
Il 74% degli spostamenti riguarda distanze entro i 10 km e viene soddisfatto per oltre il 62% ricorrendo all’auto privata.

Vogliamo affrontare le carenze organizzative, di infrastrutture e dotazione di mezzi per una più elevata qualità del servizio erogato; ampliare e mettere in sicurezza percorsi ciclabili e pedonali; digitalizzare tutti i servizi di mobilità; offrire tariffe agevolate e incentivi all’utilizzo delle alternative all’auto. Per raggiungere questi obiettivi si rende necessario rimodulare il fondo complementare del Pnrr pari a 30 miliardi di euro per destinarlo in via prioritaria agli investimenti sul trasporto pubblico. È necessario favorire lo smart working per tutti i lavoratori e lavoratrici la cui presenza non è richiesta fisicamente.

Proponiamo inoltre che i trasporti pubblici locali e i treni regionali siano resi gratuiti per gli Under 30, così da promuovere nuovi modelli di mobilità fra le giovani generazioni.

4. L’ITALIA A RIFIUTI ZERO
Meno plastica e a zero emissioni


L’Italia è il secondo paese consumatore di plastica in Europa: nel 2020 sono state consumate 5,9 milioni di tonnellate di polimeri fossili, corrispondenti a quasi 100 kg a persona. Il modello attuale di produzione e consumo ha causato una crescita esponenziale dell’inquinamento in numerosi ecosistemi marini e terrestri. Ogni anno finiscono in mare 11 milioni di tonnellate di plastica e si prevede che questa cifra raddoppierà entro il 2030 e quasi triplicherà entro il 2040. Introdurre il sistema di deposito su cauzione come primo punto per un “Piano plastica per emissioni zero al 2045”. Non possiamo più ritardare l’introduzione della plastic tax oltre gennaio 2023 per non gravare sulla collettività e adottare il Piano plastica con l’obiettivo di una drastica riduzione dei consumi, in particolare nei settori principali degli imballaggi, dell’edilizia e dell’automotive, di riciclare il 90% dei rifiuti plastici, di arrivare al pieno utilizzo di bioplastiche da materie vegetali.

Economia circolare e strategia rifiuti zero
La transizione da un’economia lineare ad una circolare si pone come l’unica soluzione in termini di salvaguardia del pianeta e di una sostenibilità economica che rappresenti una nuova opportunità di sviluppo vista in termini di competitività, innovazione, ambiente e occupazione. Politiche per favorire la riduzione dei rifiuti a partire da una progettazione sostenibile che preveda l’uso di materiali riciclabili e la produzione di prodotti durevoli, riutilizzabili, riparabili fino ad una gestione del rifiuto come risorsa attraverso pratiche virtuose quali: organizzazione della raccolta differenziata, raccolta porta a porta, realizzazione di piattaforme impiantistiche per il riciclaggio e il recupero dei materiali, finalizzato al reinserimento nella filiera produttiva, realizzazione di centri per la riparazione, il riuso e la decostruzione degli edifici, in cui beni durevoli vengono riparati, riutilizzati e venduti, introduzione di sistemi di tariffazione puntuale che facciano pagare le utenze sulla base della produzione effettiva di rifiuti non riciclabili da raccogliere.

Un piano nazionale per la gestione dei rifiuti deve considerare la termovalorizzazione solo come una soluzione di ultima istanza perché l’incenerimento dei rifiuti non permette il recupero delle materie prime e i prodotti che potrebbero produrre ulteriore valore se riutilizzate o riciclate e reimmesse nel ciclo economico. L’impronta di carbonio dei termovalorizzatori è di 650-800 grammi di CO2 per ogni kWh prodotto, il doppio di una centrale a gas e quasi quanto una centrale a carbone. Sono necessari gli impianti compostaggio per il trattamento dell’umido per chiudere il ciclo dei rifiuti.

Tutti i sistemi di trasferimento rifiuti in discarica vanno modernizzati con le moderne tecnologie. Dovrà essere assolutamente impedito spostare i rifiuti fuori dalla propria regione.

5. L’ITALIA LIBERA


Una legge sul fine vita che ascolti le disperate richieste di tante e tanti di poter mettere fine alla propria vita con dignità.
Una legge che legalizzi la coltivazione della cannabis per uso personale per dare una risposta concreta a chi ne ha bisogno e una sferzata reale agli interessi della criminalità organizzata.
Incentivi per la coltivazione della canapa

La canapa industriale assorbe da 8 a 15 tonnellate di CO2 per ettaro di coltivazione all’anno. Le foreste ne catturano da 2 a 6 tonnellate per ettaro all’anno, a seconda del numero degli anni di crescita.

Proteggere le varietà italiane e aumentare i fondi per la ricerca e la formazione in campo medico, industriale e agricolo.
Trasformare il tavolo della filiera della Canapa (Mipaaf) in un tavolo tecnico permanente (Mise) per stilare ed attuare un piano che agevoli lo sviluppo della filiera e l’entrata dei giovani nel settore.
Supportare tramite investimenti nazionali ed europei le piccole e medie imprese che si impegnano nell’agricoltura ecologica e sostenibile della canapa. Incentivare la formazione di consorzi cooperativi sul territorio italiano, la formazione di nuove imprese e start-up per promuovere l’imprenditoria giovanile.
Promuovere il recupero dei terreni abbandonati e di quelli inquinati attraverso la coltivazione della canapa.
Diffondere e sensibilizzare sull’utilizzo dei mattoni di Canapa nel settore edile, come alleato per la diminuzione delle emissioni di carbonio e la lotta contro i cambiamenti climatici.


6. L’ITALIA CHE AMA


Giustizia sociale, diritti civili, giustizia ambientale sono le facce di quella stessa medaglia che è la nostra vita. Battaglie che vanno portate avanti con la stessa convinzione e urgenza.

Perché di un salario dignitoso in una città irrespirabile, non ce ne facciamo nulla.

Perché di autobus che funzionano quando su quegli stessi autobus le persone lgbt+ vengono aggredite, non ce ne facciamo nulla.

Perché le città pulite in cui le donne non trovano spazio, non ci interessano.

Perché non c’è giustizia sociale se le persone con disabilità non vengono trattate con dignità nel rispetto dei loro diritti.

 Il benaltrismo non fa parte della nostra cultura politica. Per noi non esistono classifiche di dignità. Esistono le vite delle persone, che vanno rispettate e a cui vanno garantite pari opportunità e pari dignità.
 
Noi siamo qui a difendere quei diritti acquisiti e che oggi vengono sempre più spesso messi sotto attacco da chi vuole colpire le donne e la loro libertà di autodeterminarsi.

Siamo qui a lottare per la parità salariale e per creare le condizioni affinché le donne possano trovare il giusto riconoscimento in posizioni apicali e “ruoli decisionali”.

Siamo qui a difendere la legge che consente l’interruzione volontaria di gravidanza e soprattutto la sua possibile e corretta applicazione in tutte le nostre città.

Siamo qui a sostenere che le persone con disabilità devono avere pari diritti, perché una comunità, può dirsi tale solo se include i cittadini fragili.

Ed è per tutto questo che oggi ancora di più, si accende in ognuno di noi la consapevolezza che le battaglie per il riconoscimento dei diritti civili e delle libertà individuali siano imprescindibili e da portare avanti qui ed ora.

Ed è per questo che nel nostro programma trovano posto battaglie che riteniamo necessarie e che, con trasparenza e determinazione, ci facciamo carico di portare all’interno delle aule del Parlamento nella prossima legislatura.

Una legge contro l’omolesbobitransfobia e l’abilismo che non lasci indietro nessuno, che tuteli le persone lgbtqia+ e le persone disabili e che garantisca il diritto ad autodeterminarsi.

L’attuazione della legge 227 del 2021 – Legge delega sulla Disabilità e di quanto previsto dalla Legge 22 giugno 2016 n.112 (“Dopo di Noi”), nonché’ l’aggiornamento del Nomenclatore Tariffario degli ausili, protesici e non.

Una nuova legge sulla cittadinanza, che parta dallo ius soli e dallo ius scholae, per restituire piena dignità ai tanti e alle tante cittadine che “da straniere/i” contribuiscono alla ricchezza del nostro Paese.

Una legge sul fine vita che ascolti le disperate richieste di tante e tanti di poter mettere fine alla propria vita con dignità.

Una legge che regolamenti legalmente produzione, distribuzione e vendita di cannabis per gli adulti, che permetta la coltivazione per uso personale e favorisca la nascita di ambiti non profit di condivisione collettiva (Cannabis Social Club). Una legge che rimuova lo stigma e ripari ai danni del proibizionismo, a partire dalla cancellazione delle sanzioni penali e amministrative; che favorisca la nascita di una filiera di piccole imprese locali; che restituisca risorse al bilancio dello stato e le sottragga alle narcomafie, investendole nella prevenzione degli usi problematici delle sostanze, nel trattamento e nel reinserimento sociale, oltre che nell’informazione e nell’educazione; che garantisca la sostenibilità anche ambientale della produzione, la qualità e la tracciatura del prodotto; che liberi risorse delle forze dell’ordine dalla repressione dell’uso di cannabis alla prevenzione e repressione dei reati di rilevante allarme sociale.

Una legge che preveda all’interno delle scuole progetti e programmi che parlino di educazione all’affettività, alle differenze e al rispetto di tutte e tutti per contrastare a monte quegli stereotipi di genere che sono la causa di bullismo, misoginia, abilismo e violenze di ogni tipo.

Una legge che preveda all’interno delle scuole progetti e programmi che parlino di educazione all’affettività, alle differenze e al rispetto di tutte e tutti per educare alla diversità e contrastare a monte quegli stereotipi di genere che sono la causa di bullismo, misoginia, abilismo e violenze di ogni tipo.

Una legge sull’uguaglianza e la pari dignità familiare che dia risposte concrete e che spazzi via l’ipocrisia di voler mantenere le donne, i figli e le figlie delle famiglie arcobaleno e le persone lgbt+ un gradino sotto le altre.

Una legge che preveda l’estensione dei diritti e dei doveri delle coppie eterosessuali anche alle coppie dello stesso sesso: matrimonio egualitario, accesso alle adozioni per persone single e per le coppie dello stesso sesso, accesso ai percorsi di procreazione medicalmente assistita per donne e coppie di donne, riconoscimento di pari diritti per i figli e le figlie con genitori dello stesso sesso.

E ancora, una legge che metta fine alla barbarie dei trattamenti di conversione, dette terapie riparative, che attraverso pratiche di qualsiasi natura hanno come obiettivo quello di modificare l’orientamento sessuale o l’identità di genere di una persona.

Una legge che vieti gli interventi chirurgici e le procedure non necessarie dal punto di vista medico sui bambini e le bambine intersex e la piena ricezione della Risoluzione del Parlamento Europeo del 14 febbraio 2019 sui diritti delle persone intersex.

Con l’impegno di metterci in ascolto di chi attraversa e vive tutte le situazioni per trovare insieme soluzioni e vie che restituiscano piena dignità a tutti e tutte compresa la revisione della legge 164/82.

Perché rendere il nostro Paese e le nostre città luoghi sempre più accoglienti, solidali, liberi e inclusivi, è il nostro obiettivo.

7. L’ITALIA È DONNA


La ricchezza e il benessere, la tenuta del tessuto sociale ed economico del Paese dipendono in parte decisiva dal lavoro femminile, sia in forma gratuita (lavoro di cura), sia retribuita.

Tutto il lavoro necessario per vivere deve essere riconosciuto e contabilizzato.

Il trend dell’occupazione femminile, fino alla vigilia della crisi causata dal Covid 19, decisamente positivo.

Dalla relazione presentata da Laura Sabbadini, direttrice della direzione centrale per gli studi, statistiche sociali e demografiche dell’ISTAT, all’audizione del 26 febbraio 2020 presso la Commissione XI della Camera dei Deputati, si evince che dal 1977 al 2018 il tasso di occupazione complessivo è cresciuto solo di 4,8%, ma per gli uomini è sceso di 7 punti, dal 74,6 al 67,6%, per le donne è aumentato di 16, dal 33,5 al 49,5%, e il divario è passato da 41 punti a 18. Nel 2018 il tasso di occupazione delle laureate è del 75,3%.

Nel 2019 su 9401 magistrati ordinari, 5.103 sono donne, come oltre il 50% degli iscritti all’ordine degli avvocati.

Il sorpasso è avvenuto anche all’interno del personale medico under 65, le donne sono già il 52, 72% e sotto i 40 anni sono quasi il doppio.

Anche nell’area STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) sempre più numerose sono le donne che si laureano, in tempi più celeri e con voti più alti rispetto ai compagni.

Molte professioni di frontiera sono ormai appannaggio soprattutto di donne.  

Secondo dati Isfol riferiti al 2017, le donne impiegate in lavori “green” con ruoli medio-alti sono il 57,8%, di contro al 35,3% degli uomini. I dati relativi all’occupazione femminile registrati nel primo trimestre 2022 rivelano trend positivi, un tasso di occupazione del 51,2%, 2,8 punti in più rispetto al marzo 2021. Lontano comunque dal 60% che la strategia di Lisbona prevedeva già per il 2010.

Anche le imprenditrici e lavoratrici autonome (l’Italia è prima in Europa per numero di lavoratrici indipendenti, 1.400.000) continuano ad attraversare una fase congiunturale molto difficile, nonostante la loro nota resilienza e gli interventi del Pnrr ancora insufficientemente incisivi.

La pandemia ha colpito in particolare le donne, peggiorato le condizioni del lavoro e della loro esistenza, aumentato enormemente il livello di lavoro di cura.

La disoccupazione, la sottoccupazione, la precarietà, il lavoro di breve durata o con poche ore, il confinamento prevalente del lavoro femminile in aree e settori in cui la cui retribuzione è irregolare, bassa, discontinua (come quelli legati alla cura, al turismo, ai servizi) o relegata nelle fasce base a causa di progressioni di carriera impossibili, sono tutte situazioni che espongono le donne a rischio di povertà per tutta la durata della vita, ma soprattutto in età anziana, e alla violenza domestica.

Il corpo femminile è inviolabile.
La violenza degli uomini contro le donne è una piaga che non si rimargina, anzi si allarga.

I femminicidi per mano di un familiare, quasi sempre un marito, un compagno, un ex, ma anche un padre, un figlio, un fratello o uno spasimante rifiutato, sono all’ordine del giorno della cronaca.

Le azioni intraprese per incrementare le misure di tutela non riescono ad essere efficaci, come pure potrebbero, per un ancora scarso coordinamento tra le strutture che dovrebbero proteggere e sostenere le donne. Incidono molto anche scelte orientate da pregiudizi e stereotipi, da sottovalutazione dei rischi, per scarsa formazione e purtroppo anche per preciso orientamento – ci riferiamo al ricorso alla PAS, sindrome di alienazione parentale, che viene adottata perfino nei luoghi dove dovrebbe essere contrastata come tribunali e le consulenze tecniche, che così producono violenza e lacerazioni anche alle figlie e figli, soprattutto se piccoli.

Riteniamo alcuni interventi prioritari per rendere l’Italia un paese a misura di donna:

adozione di un piano straordinario per l’occupazione femminile e politiche e misure efficaci per le imprese femminili;
interventi contro la disparità economica e nell’accesso alle risorse ed alle opportunità;
strutturare la sicurezza sul lavoro in considerazione delle specifiche differenze tra occupazione femminile e maschile;
dare concreta applicazione alla Convenzione ILO 190 “contrasto alle molestie, molestie sessuali e violenze sul posto di lavoro” ratificata dall’Italia ed ancora non calata nell’apparato normativo nazionale. Ciò rende la convenzione e la raccomandazione senza effetti concreti;
garantire piena partecipazione delle donne nei luoghi delle decisioni e al governo delle istituzioni a partire da quelle pubbliche ed elettive;
riconoscere l’indennità di caregiver;
intervenire sulle infrastrutture sociali a sostegno alle neomamme, prevedendo spazi di socialità, scambio e relazione, anche in assenza di reti familiari e di vicinato;
cancellare gli ostacoli di reddito e di limiti territoriali nell’accesso agli asili nido;
prevedere un congedo di maternità obbligatorio retribuito al 100% per almeno 2 mesi prima + 6 dalla data del parto, nonché uno del padre che non sia alternativo a quello della madre e per una maggiore durata rispetto ad oggi;
in caso di violenza maschile contro le donne, riconoscimento del pericolo che non comporti l’isolamento della vittima ma che preveda l’allontanamento del maltrattante;
rivalutazione e valorizzazione della relazione materna: riconoscimento dei danni del maltrattamento con misure di tutela della figura materna che non prevedano l’allontanamento del minore ma che lavorino per la ricostruzione ed il riequilibrio del legame affettivo;
modifica L.54/2006 art.1. La violenza domestica non può essere equiparata a conflittualità e la condivisione dell’affido va modulata contemperando la specificità delle cause della separazione. Porre al centro della azione legislativa la serenità della figlia/figlio minorenne, il cui sviluppo emotivo non può esistere con una bigenitorialità imposta e violenta.


8. L’ITALIA DEL LAVORO
Da troppi anni in Italia il lavoro è offeso e maltrattato.

Noi crediamo debba invece tornare al centro di tutte le scelte della politica.

L’obiettivo è garantire a tutte e tutti un reddito degno, ma anche condizioni che consentano ogni giorno, insieme al tempo per il riposo e per la libertà personale, un tempo per la manutenzione e la cura degli ambienti e delle relazioni, superando il modello sessista della divisione dei compiti.

Va garantito il tempo per figli e figlie ma anche per essere figli e figlie, amici e amiche, persone solidali nei piccoli/grandi collettivi umani dentro i territori in cui viviamo.
Il tempo per la cura di sé, degli affetti, degli ambienti, per lo sviluppo della propria cultura e dei propri talenti deve diventare l’orizzonte in cui ripensare tutto il lavoro anche attraverso l’uso responsabile delle nuove tecnologie soprattutto nell’ambito del digitale.

Nella transizione, legislativa e contrattuale, che muta l’organizzazione sociale, va riconosciuto il lavoro gratuito di cura nelle case e nelle famiglie, che i dati evidenziano erogato prevalentemente dalle donne.

 

Per questo proponiamo:

Riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario
L’innovazione tecnologica può diventare un’occasione per migliorare la nostra qualità della vita, oppure lo strumento per far aumentare i profitti di pochi e la disoccupazione di molti.

Per questo riteniamo si debba partire istituendo da subito un fondo per incentivare le imprese a sperimentare giornate e settimane di lavoro più brevi, senza intaccare il reddito dei lavoratori.

Questo appare tanto più urgente in quei settori, come l’automotive, che stanno attraversando una fase di profonda trasformazione.

In seguito, si dovrà passare ad un intervento legislativo che rivolga la misura alla generalità delle lavoratrici e dei lavoratori.

Salario minimo
Non dovrebbe essere possibile in una Repubblica fondata sul Lavoro, ma oggi in Italia succede di firmare un contratto che preveda 4,4 euro l’ora di paga.

È il risultato di anni di leggi penalizzanti per le lavoratrici e i lavoratori, soprattutto giovani, donne e migranti, divisi fra loro, precari, ricattati e costretti ad accettare salari da fame.

Noi crediamo si debba rivoluzionare il sistema: serve una legge sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro e l’estensione a tutte e tutti delle tabelle retributive previste per il settore dai sindacati maggiormente rappresentativi.

Se questo non basta, tanto è lo sfruttamento in alcuni settori come la logistica, prevediamo che esista comunque un salario minimo di 10 euro all’ora, sotto cui nessuno possa andare.

Sono 1.200 euro al mese ed è il prezzo della dignità.

Basta con la precarietà
L’Italia è diventato il paese dove 8 nuovi contratti di lavoro su 10 sono a termine.

Di questi, solo 1 su 100 dura più di un anno, 3 su 10 meno di un mese, 1 su 10 un giorno.

È del tutto evidente che in una simile situazione diventa impossibile per chiunque progettare il proprio futuro con serenità, come dovrebbe invece essere diritto di ciascuno.

Tirocini, contratti a chiamata, staff leasing, tempo determinato, collaborazioni occasionali, partita iva a mono committenza: sono mille le forme della precarietà.

Noi crediamo che tutto questo debba essere cancellato, per tornare alla normalità del contratto a tempo indeterminato, con un tempo di prova iniziale.

In alternativa, il contratto a termine, ma solo per causali che ne giustifichino l’impiego.

Vogliamo inoltre intervenire sul Codice degli Appalti, per impedire che la competizione fra imprese avvenga a scapito di salari e diritti dei lavoratori, nonché rafforzare la clausola sociale in caso di cambio d’appalto, garantendo piena continuità di livello occupazionale e salariale.

Crediamo inoltre che nella catena di appalti e subappalti, accanto alla responsabilità solidale della capofila per i crediti da lavoro di tutte le persone coinvolte, vada garantita integrale parità di trattamento sia economico sia normativo tra lavoratori dipendenti dell’appaltante e lavoratori dipendenti dell’appaltatore e di eventuali sub appaltatori.

Un’attenzione particolare deve essere rivolta alla tutela delle lavoratrici, dei lavoratori degli enti di promozione della cultura e dello spettacolo, di cui la pandemia ha dimostrato l’estrema vulnerabilità.

Protezione del potere d’acquisto
Il ritorno dell’inflazione ha dimostrato quanto sia indifeso il lavoro davanti alla crescita dei prezzi, in assenza di un sistema che indicizzi automaticamente i salari e le pensioni all’aumento del costo della vita.

I contratti sono infatti difficili da rinnovare, per l’opposizione decisa di Confindustria, e scontano comunque un ritardo davanti a una busta paga che diventa più sottile di mese in mese.

Per questo riteniamo si debba tornare ad un sistema in cui a cadenza almeno semestrale si proceda automaticamente ad alzare i salari e le pensioni in proporzione alla crescita dell’inflazione, in assenza di accordi intervenuti in questo senso nel periodo fra le parti sociali.

Allo stesso tempo si deve prevedere nelle fasi di crescita dei prezzi indotta da meccanismi speculativi, la possibilità di blocco degli stessi, limitatamente ad un paniere di beni e servizi essenziali.

Ripristino protezione contro licenziamenti ingiustificati
La Costituzione non può fermarsi fuori dai luoghi di lavoro, e perché questo accada si deve essere liberi dal ricatto di essere licenziati senza giusta causa.

Iscriversi a un sindacato, professare le proprie idee, denunciare eventuali condizioni di insicurezza, pretendere il rispetto dei propri diritti: sono tutte cose che devono appartenerci senza paura.

Per questo vogliamo il ripristino di un sistema di protezione fondato sulla reintegra nel posto di lavoro per tutte e tutti, indipendentemente dalle dimensioni e dal settore dell’impresa.

Sicurezza sul lavoro
Il primo diritto è lavorare senza mettere a repentaglio la propria salute e persino la propria vita.

Dovrebbe essere scontato, ma ogni anno vediamo invece peggiorare le statistiche su morti e infortuni sul lavoro. Nel 2021 sono 555.236 gli incidenti e ben 1221 le morti.

Se questo accade, nonostante una buona legge di riferimento, è soprattutto perché mancano i controlli, a causa della carenza di personale.

Ecco perché noi proponiamo: un Piano Nazionale per la Prevenzione Infortuni sul Lavoro con coordinamento enti preposti e valorizzazione specifiche competenze e una forte campagna di assunzioni nelle apposite funzioni delle ASL, allo scopo di arrivare entro la legislatura a triplicare il numero delle attuali ispezioni.

Allo stesso modo è indispensabile rafforzare l’operatività degli Ispettorati del Lavoro, puntando ad un coordinamento rafforzato e alla piena cooperazione fra i diversi enti interessati a legalità e sicurezza in ambito lavorativo.

Pensioni
L’attuale sistema pensionistico non è socialmente sostenibile.

Costringe le persone a rimanere al lavoro oltre limiti di età compatibili con la propria sicurezza, contribuisce alla stagnazione della produttività, rappresenta in prospettiva un forte ostacolo al ricambio generazionale.

D’altra parte, con l’esaurimento del sistema misto e il dilagare della precarietà, prepara un futuro di povertà certa per milioni di lavoratrici e lavoratori.

Per questo noi proponiamo che si possa uscire dal lavoro a 62 anni o con 41 anni di contributi, riconoscendo inoltre i periodi di disoccupazione involontaria, il lavoro di cura non retribuito, la maternità.

La pensione minima non dovrebbe essere inferiore a 1.000 euro.

Tempi di vita e di lavoro
La pandemia ha dimostrato quanto sia rilevante la dimensione tempo nella vita delle persone.

Noi vogliamo incentivare l’adozione di contratti che prevedano per i lavoratori la possibilità di scegliere massima flessibilità di tempo e di luogo in cui svolgere le proprie mansioni.

Crediamo inoltre che si debba mettere in campo un piano, a partire dalle risorse del PNRR, per rendere gli asili nido pubblici e gratuiti un servizio essenziale e disponibile sull’intero territorio nazionale. Congedo parentale come indicato precedentemente.

In difesa del lavoro autonomo
La pandemia ha dimostrato anche l’estrema fragilità del lavoro autonomo italiano, da troppi anni esposto ad un mercato privo di regole e di tutele.

Per questo proponiamo:

la predisposizione di schemi contrattuali con i clienti committenti;
un sistema sanzionatorio che scoraggi il ricorso a clausole e condotte abusive;
un equo compenso generalizzato e proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto;
un codice di condotta che regoli i rapporti tra committenti e lavoratori autonomi;
la previsione di tutele in caso di maternità, inattività, cessazione temporanea, invalidità o infortunio, anche attraverso l’incentivazione a forme volontarie di mutualismo fra lavoratori autonomi.


9. L’ITALIA GIUSTA
In Italia la giustizia fiscale è un miraggio.

L’evasione fiscale supera ogni anno i 100 miliardi, l’Irpef è pagata per l’81% da lavoratori dipendenti e pensionati, i grandi patrimoni sono quasi esenti da imposizione, persino al momento della successione, le grandi aziende multinazionali pagano poco o nulla del dovuto.

Due parole magiche: legalità e progressività, ma anche no all’autonomia differenziata, come chiede un movimento esteso di sindaci e amministratori

Per questo proponiamo:

Riforma dell’imposta sulle persone fisiche
Oggi in Italia chi vive di rendite finanziarie o immobiliari paga meno tasse di chi lavora.

Noi crediamo invece che tutte le fonti di reddito debbano essere cumulate e tassate alla stessa maniera, con un’imposta unica e progressiva.

Vogliamo inoltre che il carico fiscale sia redistribuito, a vantaggio dei redditi più bassi.

Per questo proponiamo di alzare a 12.000 euro la quota di reddito esente da imposte, per poi applicare un’aliquota mobile crescente sul modello tedesco, che arrivi al 65% per i redditi superiori ai 10 milioni di euro.

Riforma dell’imposta patrimoniale
Oggi in Italia le imposte sui patrimoni sono fatte per gravare molto su chi ha poco e poco su chi ha molto.

Questo è particolarmente intollerabile in un paese dove il 5% più abbiente della popolazione possiede la stessa ricchezza dell’80% più povero.

Per questo noi vogliamo abolire l’IMU e l’imposta di bollo sugli investimenti, per adottare un’imposta patrimoniale personale, unica e progressiva, che gravi sull’insieme di tutti i beni mobili e immobili, di qualsiasi natura.

Prevediamo in questo modo di aumentare la tassazione sui patrimoni o superiori a 5 milioni di euro, con un’imposta progressiva che cresca fino al 2% oltre i 50 milioni.

Lotta all’evasione fiscale
La tecnologia offre una grande occasione alla lotta contro l’evasione fiscale: è possibile, infatti, procedere alla tracciabilità assoluta dei pagamenti, anche promuovendo l’uso della moneta elettronica, e utilizzare le banche dati per incrociare i dati dei contribuenti, oltre che rafforzare la fatturazione elettronica e lo split payment, soprattutto sugli acquisti on line e tramite POS.

Il resto lo fa la volontà politica, che significa negare qualsiasi spazio a condoni, incrementare le risorse a disposizione dei controlli, garantire la certezza della pena per i reati di natura fiscale.

La destra si propone come amica dei furbetti.

Noi stiamo con l’Italia che da sempre paga e lavora.

Tolleranza zero per l’elusione delle multinazionali e i paradisi fiscali
Sono le aziende più ricche del mondo, ma presentano bilanci da società no profit.

Parliamo delle grandi multinazionali, che pagano meno tasse di una bottega artigiana.

È una situazione intollerabile, a cui intendiamo dare battaglia.

Chiediamo che venga introdotto l’obbligo di rendicontazione pubblica paese per paese, così da rendere trasparente dove e quanto facciano affari le corporation; che ci sia la massima trasparenza rispetto ai loro assetti proprietari; che sia raddoppiata l’aliquota al 15% fissata dal G7; che siano cancellati gli accordi segreti sul fisco stipulati dallo Stato italiano con le multinazionali estere.

La prima fase della guerra ucraina ha inoltre dimostrato quanto sia facile individuare i patrimoni nascosti nei paradisi fiscali, se lo si vuole.

Tassazione degli extraprofitti dei colossi energetici
Lo ripetiamo da tempo: è intollerabile che ENI ed imprese energetiche continuino ad incamerare extraprofitti miliardari che derivano esclusivamente dalla speculazione su gas e petrolio.

Fonti autorevoli come l’Ufficio Parlamentare di Bilancio stimano che almeno 40 miliardi siano entrati nelle casse di poche società mentre gli italiani e le piccole imprese arrancavano per il caro bollette.

Noi proponiamo che quegli extraprofitti siano tassati al 100% e restituiti alle lavoratrici e ai lavoratori con una elargizione straordinaria di 1.200 euro a famiglia

Politica industriale
Dalla stagione delle privatizzazioni, l’Italia non ha più avuto una politica industriale.

L’esito di quel processo, insieme al progressivo disimpegno del gruppo Fiat dal nostro paese, è stato infatti la perdita di centralità dei grandi gruppi industriali, e di conseguenza l’adozione di un modello fondato sulle PMI produttrici di prodotti intermedi finalizzati all’export.

Questo ha portato ad un progressivo declassamento del sistema paese, dipendente da catene globali dirette altrove e incapace di emergere nei nuovi settori chiave, dalla robotica alle biotecnologie, dalla farmaceutica all’informatica.

In compenso siamo diventati terreno di caccia per investitori esteri orientati ad acquisire imprese italiane per sfruttarne brevetti, contratti e penetrazione nei mercati, per poi liquidarne la capacità produttiva delocalizzando altrove.

Noi riteniamo che queste tendenze vadano invertite e che questo possa accadere solo attraverso un forte e diretto intervento pubblico nell’economia.

Crediamo che lo Stato debba promuovere investimenti che determinino lo sviluppo di nuovi campioni nazionali nei settori ritenuti strategici, avvalendosi del supporto del sistema universitario e puntando a creare nuove e innovative filiere produttive.

È d’altra parte evidente che già in questo momento le imprese italiane più forti, le uniche in grado di assumere un ruolo internazionale, sono quelle a capitale pubblico, da ENI e Leonardo, da Enel a Poste.

È quindi il tempo di individuare una nuova e unitaria governance delle partecipazioni pubbliche, per incentivare le sinergie e sviluppare in modo coordinato l’indirizzo strategico.

Va inoltre cambiata la mission delle imprese controllate dal Tesoro e dagli enti locali, che devono essere orientate a privilegiare l’interesse della collettività rispetto ai profitti.

Questo si è dimostrato tanto più necessario nella crisi in corso, in cui aziende come ENI avrebbero potuto e potrebbero giocare un ruolo di calmiere dei prezzi energetici, anziché essere in prima fila nell’accumulazione di extraprofitti.

Allo stesso tempo queste imprese devono essere in prima fila nello sviluppare relazioni sindacali positive, nello sperimentare forme di cogestione, nello spingere l’intero sistema imprenditoriale italiano verso il rinnovo puntuale e positivo dei contratti di lavoro.

Né si deve dimenticare il ruolo importante che MPS può rivestire nella definizione di un modello di credito orientato alle necessità di famiglie e imprese, al mantenimento di presidi territoriali, allo sviluppo di filiere produttive, una volta superata la sciagurata idea della privatizzazione.

Riteniamo inoltre che sia tempo di ripensare ad un ritorno al controllo pubblico di tutte le reti infrastrutturali e di servizi essenziali del paese, a partire dall’acqua e dall’energia.

In merito alle delocalizzazioni, proponiamo che chiunque porti all’estero parte della produzione, con conseguente riduzione di personale, debba restituire tutti i contributi in conto capitale ricevuti nell’ultimo quinquennio, così come eventuali sgravi contributivi o eventuali altri vantaggi fiscali.

Crediamo inoltre che in caso di abbandono, si debba introdurre l’obbligo di assicurare la continuità produttiva attraverso la cessione preventiva dello stabilimento, o in alternativa di versare una sanzione pari al 5% del fatturato degli ultimi 5 anni, da destinare alla rioccupazione dei lavoratori, preferibilmente secondo la formula del workers buyout.

10. L’ITALIA CHE AMA GLI ANIMALI
Biodiversità


Vogliamo attuare, nel rigoroso rispetto dei tempi della Strategia comunitaria, gli obiettivi del 30% di aree protette, delle quali il 10% di aree a stretta protezione, individuando rigorosi criteri di individuazione in particolare delle aree a stretta protezione, per lo Stato e le Regioni.

Crediamo inoltre che sia necessario adottare al più presto:

L’ Abolizione della caccia.
la proposta di norma inerenti i pagamenti per i servizi ecosistemici;
l’attuazione integrale delle norme di gestione dei Siti della Rete Natura 2000 individuando le competenze e gli operatori che permettano di completare i Piani di Gestione e renderli applicabili, monitorabili e fruibili;
la proposta di norma per la consapevolezza della rilevanza della biodiversità e per l’attuazione dei piani di monitoraggio gestiti dagli Enti territoriali di gestione;
la proposta di norma per il contrasto alla desertificazione, fenomeno collegato alla riduzione di habitat e perdita di biodiversità, per attuare politiche di diversificazione dei sistemi agro-silvo-pastorali e di tutela e recupero del suolo produttivo, secondo i criteri dell’agroecologia;
la proposta di norma per far sì che gli animali domestici e quelli selvatici non siano più considerati oggetti ma esseri senzienti anche nello spirito dell’art. 9 della Costituzione da poco modificato;
la proposta di norma per istituire il marchio di ” Cultore della biodiversità in campo agro-forestale ed eno-gastronomico”. 
Serve inoltre un‘iniziativa per:

Migliorare le capacità gestionali di parchi e riserve nazionali e regionali, anche come territori chiave per l’applicazione delle politiche internazionali di contrasto ai cambiamenti climatici (adattamento e mitigazione) e di conservazione della diversità biologica, garantendo una gestione attenta ed evitando un uso distorto ed esclusivamente turistico dei territori.
Rafforzare l’attuazione, il ruolo e la cultura della Rete Natura 2000 in Italia, anche al fine di un ampliamento della rete per raggiungere l’obiettivo del 30% in modo efficace.
Attuare piani di gestione di specie minacciate, di specie che provocano problemi gestionali (alloctone, invasive) utilizzando sistemi ecologici, finanziare gli specifici programmi necessari.
Implementare la rete nazionale dei Boschi Vetusti e degli Alberi monumentali d’Italia, garantire la genetica autoctona dei semi forestali in uso da parte dei vivai forestali, nonché assicurare l’attuazione della Strategia Forestale Nazionale.
Ridiscutere la soppressione della Forestale, istituendo un nuovo Servizio Ambientale e Forestale (SAF), inteso come un moderno Corpo tecnico dello Stato, ad ordinamento civile, preposto alla tutela dell’ambiente, alla conservazione delle foreste, alla lotta agli incendi boschivi, alla protezione della fauna, alla difesa del suolo, al controllo, presidio e monitoraggio del territorio rurale (agro-forestale, montano, collinare e costiero) e alla prevenzione dei rischi naturali, con funzioni di polizia per il contrasto dei reati ambientali, pubblico soccorso e protezione civile.
 

Protezione degli animali

Tutela legale e istituzionale degli animali attraverso:

o introduzione di sanzioni più efficaci nel Codice penale per il contrasto ai maltrattamenti e agli altri reati a danno degli animali e aumento del personale dedicato e formato nelle Forze di Polizia;
o realizzazione e sostegno di strutture di accoglienza degli animali salvati, con un numero unico d’intervento;
o inserimento del riconoscimento degli animali nel Codice Civile come esseri senzienti e non più come cose;  
o istituzione di un Garante nazionale dei diritti degli animali e di un Dipartimento presso la Presidenza del Consiglio che unifichi le competenze sugli animali ora divise tra i Ministeri della Salute, della Transizione Ecologica, delle Politiche Agricole, della Cultura;
o sostegno in sede europea della proposta di nomina di un Commissario europeo per il benessere animale;
o ripristino della centralità delle politiche di tutela dell’ambiente e della biodiversità nelle azioni del Ministero della Transizione Ecologica.
Tutela degli animali d’affezione attraverso:

piena applicazione e rafforzamento della normativa sulla prevenzione del randagismo e incentivazione della sterilizzazione di cani e gatti anche di proprietà, promuovendo il possesso responsabile degli animali attraverso campagne informative a livello nazionale;
revisione della normativa che regolamenta il commercio di animali d’affezione che preveda il divieto di commercializzazione e pubblicizzazione sulla rete e l’inibizione della vendita negli esercizi commerciali;
promozione di adozioni consapevoli; sostegno al volontariato sul territorio;
riduzione dell’aliquota IVA su cibo per animali e prestazioni veterinarie, oggi soggetti a tassazione come “beni di lusso”, che aggrava le condizioni di difficoltà economica di chi ha accolto in casa degli animali come parte della famiglia;
incremento delle attività di controllo sulle strutture pubbliche e private convenzionate con le pubbliche amministrazioni per la custodia degli animali randagi.
Tutela degli animali selvatici attraverso:

la caccia non può essere considerata uno sport, va abolita;
l’incremento delle aree protette, ricomprendendo in tali zone i siti della Rete Natura 2000;
il pieno esercizio da parte dello Stato dei poteri in materia di tutela della fauna selvatica protetta e particolarmente protetta;
la creazione di una efficace rete per il recupero della fauna in difficoltà e il potenziamento e la diffusione di Centri recupero animali selvatici;
la prevenzione e repressione del bracconaggio, potenziando le sanzioni;
la previsione di azioni non cruente per la gestione delle specie cosiddette “invasive”;
l’attuazione dei divieti di importazione, detenzione e commercializzazione di animali esotici;
l’introduzione di un divieto di importazione, esportazione e riesportazione di trofei di caccia ottenuti da animali appartenenti a specie protette a livello internazionale;
il sostegno alle imprese dell’abbigliamento per la riconversione delle produzioni animali.
Superamento dell’uso degli animali nell’intrattenimento attraverso:

attuazione della Legge-delega approvata dal Parlamento nel luglio scorso per il superamento dell’uso degli animali in circhi e spettacoli viaggianti;
estendendolo ai delfinari;
stop all’uso degli animali nelle feste locali, in zoo, acquari, palii, carrozzelle.
Tutela degli animali allevati a fini alimentari attraverso:

moratoria sull’apertura di nuovi allevamenti intensivi e sull’ampliamento di quelli esistenti anche con finalità di contrasto ai cambiamenti climatici e alla diffusione di zoonosi;
realizzazione, come nei Paesi Bassi, di un programma di riduzione degli animali allevati;
sostegno in sede europea della proposta legislativa della Commissione UE per l’eliminazione progressiva delle gabbie negli allevamenti in risposta all’iniziativa dei cittadini europei ‘End the Cage Age’;
adozione anche a livello nazionale di misure che incentivino una transizione anticipata a sistemi di allevamento senza gabbie che garantiscano un efficace miglioramento delle condizioni di vita degli animali;
attuazione dello stop previsto dalla Legge di delegazione europea alla triturazione dei pulcini;
promozione delle scelte alimentari vegetali e della riconversione della produzione alimentare verso prodotti a base vegetale, anche attraverso incentivi diretti e strumenti fiscali a supporto delle aziende che intraprendono la riconversione delle coltivazioni destinate alla produzione di mangime in coltivazioni per alimentazione umana;
adesione e sostegno a livello nazionale ed internazionale del Plant Based Treaty a complemento dell’accordo UNFCCC/Parigi (sistemi alimentari da adattare ai cambiamenti climatici);
sostegno alle iniziative in sede europea dirette all’introduzione di disposizioni volte a disciplinare modalità di cattura, allevamento, trasporto, detenzione e abbattimento più rispettose del benessere delle specie che non godono già di specifica protezione normativa;
disincentivazione e migliore disciplina dei trasporti di animali attraverso previsioni utili alla risoluzione delle criticità denunciate dalle associazioni;
maggiore tutela degli animali allevati completando l’avvio del Sistema di Qualità Nazionale Benessere Animale, attraverso l’approvazione di standard adeguati e coerenti con il benessere animale per le singole specie allevate con la scelta di un’etichettatura trasparente per il consumatore su più livelli progressivi (di cui almeno due al coperto);
introduzione dello stordimento preventivo obbligatorio in tutti i tipi di macellazioni come già deciso da altri Paesi europei.
Superamento della sperimentazione animale attraverso:

investimenti nella prevenzione delle malattie e nella ricerca scientifica “human based” con la destinazione del 50% del totale dei fondi pubblici previsti allo scopo;
sostegno alla sperimentazione con metodi sostitutivi all’uso degli animali come primo passo verso una effettiva “libertà di ricerca”


11. L’ITALIA, BELLEZZA
Difesa del patrimonio demaniale

Diciamo no alla privatizzazione della Città e dei Beni Comuni, che arricchiscono le multinazionali e producono maggiori costi al cittadino. La cultura neoliberista ha contaminato anche il pensiero progressista e di sinistra, così il nostro Paese è stato svenduto a società multinazionali. Dall’acqua a beni storici di immenso valore, a paesaggi montani, spiagge, a pezzi di città consegnati alla rendita e alla speculazione, in nome della “rigenerazione”, dell’efficienza, della modernità, che hanno privato i cittadini di beni che a loro appartengono per diritto e che devono poter trasmettere alle generazioni future

Per questo proponiamo che venga bloccato l’articolo 6 del “Decreto Concorrenza” e riviste le “Cartolarizzazioni “che mettono in vendita i Beni Demaniali (fra i quali caserme, abbazie, castelli)

Centri storici e la salvaguardia della bellezza

L’Italia non ha grandi giacimenti petroliferi, ma la sua grande risorsa culturale ed economica sta nella bellezza, bellezza degli straordinari paesaggi marini collinari e montani (non sempre rispettati), bellezza del grandissimo patrimonio di opere d’arte, di casali, di città murate, di borghi antichi, di centri storici unici al modo, racchiusi anche in piccoli sperduti comuni e, se volessimo e sapessimo vederli, nelle periferie delle città. Vogliamo recuperare e salvaguardare gli elementi costituenti la nostra identità, consapevoli che solo dalla loro conservazione può derivare benessere duraturo per il nostro Paese.

Molte leggi urbanistiche regionali e molti nuovi piani consentono manomissioni e alterazioni, fino alle demolizioni e alle nuove edificazioni con modifiche alle tipologie, anche con premialità volumetriche.

Proponiamo quindi che venga data piena attuazione all’art.9 della Costituzione, proteggendo il paesaggio ed i suoi elementi costitutivi, dal cemento e dall’asfalto e dall’inutile consumo di suolo. Il centro storico, elemento essenziale del nostro patrimonio storico e artistico deve entrare di diritto nelle aree tutelate per legge dell’art. 142 del Codice dei BBCC. La modifica dell’art.142, ponendo sotto tutela il centro storico come complesso bene culturale unitario, lo affiderebbe alla tutela istituzionale dello Stato, superando la precaria considerazione dei piani regolatori e delle leggi urbanistiche regionali.

12. L’ITALIA SOCIALE
Periferie, partecipazione, democrazia

Le città sono i luoghi di massima concentrazione di popolazione, attività e servizi ma anche la sede delle maggiori diseguaglianze. Intendiamo rendere le città più belle, più accoglienti, con più servizi, combattendo le diseguaglianze e assicurando a tutti il diritto di vivere in un ambiente sano, con servizi e edifici efficienti, accessibili, garantendo spazi adeguati, tutelando l’identità storica e culturale delle comunità. Intendiamo promuovere la realizzazione della città pubblica sottraendo gli spazi liberi alla speculazione edilizia per restituirli ai cittadini, mettendo in evidenza il fallimento di un modello di sviluppo che ha dilatato le città, impoverendole di servizi e spazi comuni.

Le cittadine e i cittadini sono spesso dimenticati quando abitano in luoghi periferici. L’emarginazione, la scarsità di verde e servizi, il degrado urbanistico-edilizio caratterizzano luoghi definiti periferici per la lontananza dal centro e dai servizi elementari. Sono spesso luoghi dove degrado sociale e degrado ambientale convivono.

Proponiamo che

venga data dignità e sicurezza ad ogni cittadina e cittadino, ad ogni luogo, anche attraverso opere semplici come la manutenzione, la pulizia, il restauro degli edifici, la piantumazione degli alberi. Segregazione e insicurezza sono alimentate dal degrado.
Si creino delle centralità urbane periferiche, con piazze e luoghi d’incontro che facciano vivere nel quartiere anche il più periferico, un senso di identità e di appartenenza. Che ogni periferia, oltre ad avere i servizi necessari allo svolgimento della vita quotidiana (con le dotazioni previste nella città dei 15 minuti) sia dotata di una specificità di livello urbano che la caratterizzi (teatro, biblioteca, museo, parco…) che crei in tal modo un’interdipendenza con le altre parti del territorio.
Dialogare con le associazioni di settore per favorire il passaggio da una mentalità assistenzialista che priva di autonomia le persone con disabilità alla inclusione sociale attraverso semplificazione amministrativa, abbattimento delle barriere architettoniche, sensoriali e culturali, potenziamento dei servizi a supporto delle persone con disabilità e delle loro famiglie.
Deve essere promossa la mobilità dolce, elettrica e ibrida privata e pubblica, le reti di piste ciclabili vanno allargate e collegate a quelle del cicloturismo, l’ampliamento delle aree pedonalizzate e la realizzazione di percorsi in sicurezza anche per le bambine e bambini.
Intendiamo contrastare i riscaldamento globale destinando a verde e boschi urbani le superfici ancora inedificate nelle città, definendone i confini con cinture boscate, restituendo bellezza, contrastando le ondate di calore, la emissione di CO2, l’inquinamento dell’aria, proteggendo i servizi ecosistemici forniti dalla natura; conservazione ed estensione di aree umide sono fondamentali per rendere la città resiliente e resistente a possibili alluvioni lampo e fenomeni atmosferici estremi, che saranno sempre più frequenti. Coperture vegetali dovrebbero essere maggiormente incentivate nell’edilizia privata, per ridurre la velocità di deflusso delle acque e ridurre l’impatto dell’inquinamento.
Piani decentrati per l’autonomia energetica da fonti rinnovabili, con rottamazione di caldaie e stufe inquinanti, per l’abbattimento delle polveri sottili e degli inquinanti nocivi specie per la salute delle bambine e dei bambini.
È nostro obiettivo primario difendere i beni comuni da idee di privatizzazione e cartolarizzazione, a cominciare dall’acqua e dai beni storici, dai paesaggi alle spiagge, da quelle parti di città che in nome della “rigenerazione”, vengono consegnati alla speculazione, privando i cittadini di beni costitutivi del patrimonio pubblico nazionale e che devono essere trasmessi alle generazioni future.
Diritto alla casa
In molte città italiane il diritto all’abitare non è più garantito.

Tanto il prezzo di acquisto di una casa, quanto il costo di un affitto, sono ormai proibitivi per salari e stipendi troppo bassi.

Questo rappresenta un grave ostacolo allo sviluppo economico, oltre che la negazione di un requisito fondamentale della cittadinanza.

Noi riteniamo che la migliore soluzione praticabile a questo problema sia il rilancio dell’edilizia residenziale pubblica, che le politiche degli ultimi decenni hanno di fatto smantellato nella sua dimensione di welfare diffuso, relegandola ad una dimensione meramente assistenziale ed emergenziale.

La nostra proposta è che innanzitutto si crei un fondo per l’acquisizione degli immobili posti a garanzia di crediti deteriorati nel sistema bancario, al prezzo di cessione di questa categoria di NPL.

In questo modo lo Stato potrebbe rapidamente entrare in possesso di un importante patrimonio immobiliare, senza contribuire al consumo di suolo per la realizzazione di nuovi edifici.

Vogliamo inoltre che importanti risorse aggiuntive vengano messe a disposizione degli enti locali, per l’adeguamento e il ripristino dell’attuale dotazione di case popolari, con particolare attenzione all’efficientamento energetico.

Vanno poi rifinanziati i fondi destinati a contestare gli sfratti per morosità involontaria, e abolito l’art. 5 del decreto Lupi.

Vogliamo porre dei limiti al fenomeno degli affitti brevi per contrastare l’emergenza abitativa, soprattutto nelle grandi citta.

Per questo proponiamo che ai Comuni sia data la facoltà di individuare la soglia massima di posti letto destinabili ad affitti brevi, comunque con un limite massimo pari al 20% della popolazione residente.

Riteniamo inoltre che i locatari debbano essere in possesso di una licenza comunale, con rotazione ogni 5 anni tra i richiedenti.

13. L’ITALIA DELLA PACE
Per un mondo di pace, contro ogni guerra

I nostri anni vedono un’angosciante ripresa da parte delle maggiori potenze mondiali della politica della forza e delle armi. La “terza guerra mondiale a pezzi” di cui ha parlato suggestivamente Papa Francesco è anche e soprattutto il prodotto di questa smodata volontà di dominio e di questa prevalenza della logica della forza e delle armi su quella della diplomazia, del dialogo, della politica a ciò ispirata.

L’aggressione della Russia di Putin all’Ucraina è l’atto più violento e drammatico e potenzialmente stravolgente di questa fase storica. Per uscire dalla logica di questa “guerra mondiale” di fatto permanente, se pur articolata in forme e luoghi diversi, è necessario rilanciare con ogni sforzo la via diplomatica, la strada e il metodo della trattativa a oltranza, la cui premessa indispensabile è un “cessate il fuoco” generale, per trovare i punti di accordo e di compromesso che evitino un’ulteriore escalation militare e pongano le basi per un nuovo, duraturo e condiviso equilibrio nell’intera regione. Un equilibrio che, da qui, si estenda alle altre aree di crisi del pianeta e al pianeta intero, fondandosi sul rispetto del diritto internazionale, sullo sviluppo della democrazia e dei diritti umani e civili ovunque, sulla pace – oltre che tra i popoli e gli stati – con il creato, radicata nella giustizia ambientale e nella giustizia sociale, nel quadro di un comune impegno ad affrontare efficacemente la più grave e globale crisi mai vissuta dall’umanità, il surriscaldamento del clima e il suo impatto sugli ecosistemi e sulla nostra stessa civiltà.

Il ripudio fermo di ogni guerra, il faticoso e costante lavoro per la pace, il diritto di autodeterminazione dei popoli, la difesa non derogabile dei diritti umani sono i riferimenti imprescindibili della nostra politica internazionale. 

Viviamo in un mondo in continuo e costante riarmo, con sanguinosi conflitti attivi e numerosi fronti emergenti, con una guerra alle porte dell’Europa, frutto dell’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo. In questo quadro l’impegno dell’Italia e dell’Europa per la pace e la sicurezza globale deve partire dal ripristino del dialogo multilaterale e da una spinta verso il disarmo globale. Va interrotto subito l’invio di armi in Ucraina e riaperta la strada del confronto diplomatico con determinazione e convinzione, prima che sia troppo tardi.

Lo stesso impegno deve essere volto a garantire il diritto di autodeterminazione dei popoli e il far proprie le rivendicazioni e le sofferenze di quelli oppressi: dai palestinesi ai Kurdi, dai Saharawi ai popoli indigeni, saremo sempre a fianco di chi contrasta sopraffazione e sfruttamento.

Allo stesso tempo la difesa dei diritti umani non può essere un mero ornamento da declamare, ma deve essere elemento decisivo nella definizione delle relazioni diplomatiche, emblematico in questo caso è il caso dei rapporti con l’Egitto dove il pericoloso degrado nel rispetto dei diritti umani e l’assenza di collaborazione col nostro paese meriterebbero atteggiamenti differenti. 

In coerenza con questi obiettivi proponiamo un programma in più fasi.

Nell’immediato:

Approvazione proposta “Un’altra difesa è possibile” (DCNAN): Istituzione del dipartimento della Difesa Civile Non-armata e Nonviolenta
Mozione per l’adesione dell’Italia al Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW), come stato osservatore
Presentare una proposta per la moratoria delle spese aggiuntive previste dal Ministero della Difesa per le nuove spese d’arma
Seguire l’attuazione della delega al governo nel campo della giustizia riparativa.
Nel medio termine:

Legge quadro istitutiva dei Corpi Civili di Pace. Renderla una legge ordinaria.
Legge istitutiva dell’Istituto Nazionale di Ricerca e Studio per la Risoluzione Nonviolenta dei Conflitti
Rendere stabile, operativo ed aperto a tutto il Servizio Civile Universale
Possibilità di obiezione alle spese militari
Inserimento nei programmi scolastici della Formazione sulla comunicazione nonviolenta e la trasformazione dei conflitti
Azioni giuridiche per il Riconoscimento Internazionale delle nuove leggi della robotica
Piano di riconversione per l’industria bellica italiana- Dedicare una giornata nazionale ai “martiri dell’ambiente”;
Trasformare l’ecocidio nel quinto reato internazionale soggetto al Tribunale dell’AIA.
Per un’Europa sociale, solidale, dei diritti
L’Unione Europea è uno spazio politico da difendere, approfondire e cambiare.

Bisogna lavorare affinché il processo democratico dell’Unione venga rafforzato nella sua dimensione sovranazionale, a partire da una centralità maggiore del Parlamento europeo e superando il meccanismo dei veti nazionali. 

Crediamo che la Conferenza sul Futuro dell’Europa non possa essere una promessa infranta e che bisogna lavorare ad una riforma dei Trattati.

Da qui passa anche la costruzione di un’Europa sociale. L’Unione non può essere infatti solo quella della libera circolazione di merci e capitali, abbiamo bisogno dell’Europa dei diritti, a partire dalla piena realizzazione del pilastro sociale.

Con Next Generation EU, l’UE ha mostrato uno slancio nella giusta direzione, ma non è sufficiente aver sospeso il Patto di Stabilità e Crescita, di cui va attuata una profonda riforma insieme a quella delle regole di governance economica che hanno caratterizzato la stagione dell’austerità. Bisogna definire regole e strumenti fiscali europei volti a compensare gli squilibri economici e a fermare veri e propri paradisi fiscali che operano dentro l’Unione. 

Occorre mettere a regime la solidarizzazione del debito, come elemento di base per contenere gli attacchi speculativi e favorire politiche economiche espansive.

Vogliamo un’Europa solidale e aperta, che non volti le spalle a chi scappa da guerre, fame e dalle conseguenze dei cambiamenti climatici. Un’Europa che consideri un’indecenza disumana a cui mettere fine le morti nel mediterraneo e le sofferenze di migliaia di migranti respinti nella rotta balcanica. Bisogna mettere fine alla pratica di esternalizzazione delle frontiere, spesso tradotta in eclatanti violazioni dei diritti umani, riformare il diritto d’asilo respingendo il principio del primo approdo e realizzando una concreta solidarietà tra i paesi, serve infine creare canali di migrazione legali e sicuri, che garantiscano a tutti diritto alla vita e alla dignità.

Vogliamo un’Europa intransigente sui valori di democrazia, sullo stato di diritto e sui diritti civili e pensiamo che bisogna applicare fino in fondo la condizionalità finanziaria verso quei paesi che in questi anni hanno attuato arretramenti profondi su questo terreno. 

Vogliamo un’Europa all’avanguardia nella lotta al cambiamento climatico.

Vogliamo che l’Europa abbia una politica estera e di difesa comune.

Vogliamo che l’Europa sia un forte e autonomo attore di pace, intransigente sul rispetto dei diritti umani, in un contesto internazionale multilaterale. 

14. L’ITALIA CHE ACCOGLIE
Migrazioni

Non esiste oggi nessuna emergenza migrazione e, nonostante il becero populismo della destra che alimenta razzismo e paure, non siamo di fronte a nessuna invasione, ma a percorsi migratori che rappresentano una risorsa demografica, economica e sociale fondamentale. 

Bisogna respingere e ribaltare le politiche della paura e della disumanità, dei respingimenti, dello sfruttamento e della marginalizzazione.

Occorre invece lavorare per una politica dell’accoglienza e dell’integrazione, garantendo a tutte e tutti una piena parità di diritti. Perché i diritti non sono un gioco a somma zero, non bisogna toglierne ad alcuni per darne ad altri, ma servono se sono universalmente riconosciuti e rispettati. 

Dobbiamo guardare alle cause profonde delle migrazioni, che sono spesso l’effetto diretto delle diseguaglianze, di guerre, ma anche delle devastazioni climatiche e delle politiche che nel corso degli anni hanno spossessato di risorse e impoverito le popolazioni dei Sud del mondo. 

Bisogna creare canali di migrazione legali e sicuri, abolendo quelle leggi come la Bossi-Fini che costringono all’irregolarità. Percorsi chiari, aperti e trasparenti sono uno strumento indispensabile contro l’insicurezza e l’illegalità. 

Lavoreremo in sede UE per una riforma solidale del diritto d’asilo, ma serve anche in Italia una effettiva e piena applicazione di questo diritto, a partire dal principio di non respingimento, che impedisce ogni forma di espulsione che metta a rischio i diritti fondamentali delle persone, cosa che drammaticamente avviene attraverso i vergognosi accordi con la Libia ai quali bisognerà mettere fine. 

Serve poi anche una estensione del diritto di asilo che ricomprenda anche la protezione dei rifugiati climatici e ambientali. 

Contrastiamo qualsiasi forma di criminalizzazione dell’aiuto e della solidarietà. Lavoreremo per garantire piena agibilità e sostegno a chi è impegnato nell’accoglienza (sia nel paese che nelle rotte migratorie) e nel salvataggio. Crediamo inoltre che vada ripristinata una missione pubblica (italiana ed europea) di salvataggio in mare. 

Proponiamo quindi:

Rivedere gli accordi Italia-Libia ed eliminare i finanziamenti alla guardia costiera,
Promuovere la costruzione di un piano Europeo per le migrazioni che preveda il superamento del sistema di Dublino e parametri uniformi nel sistema di accoglienza basato sul ricollocamento pro quota.
Cancellazione dei CPR
Facilitazione della procedura volta al riconoscimento del diritto di asilo; incremento degli sportelli presso le questure, monitoraggio e uniformità delle prassi amministrative.
Per facilitare il rilascio del permesso di soggiorno:
Iscrizione dei migranti ai centri per l’impiego con stp (straniero temporaneamente presente) per facilitare l’ottenimento del permesso di soggiorno per motivi lavorativi ed emersione dal lavoro nero
Riforma della legge anagrafica nella sezione relativa ai residenti stranieri per facilitare l’iscrizione anagrafica e il mantenimento della residenza (il permesso di soggiorno non condizionato alla residenza).
Istituzione di albi regionali e comunali per le figure professionali di settore: Interprete; mediatore culturale/interculturale e operatore dell’accoglienza
Istituzione nei comuni della consulta delle cittadine e dei cittadini stranieri non comunitari e apolidi e dei consiglieri comunali aggiunti a carattere elettivo.
Tutela famiglie transnazionali, in particolare tutela minori rimasti in patria, abbassamento limiti di reddito per ricongiungimento familiare.
L’Italia ha ripreso a migrare

I dati sui flussi migratori ci parlano di un paese che ha ripreso a migrare. Oggi sono più di 5 milioni gli italiani che vivono all’estero e negli ultimi cinque anni le iscrizioni AIRE sono aumentate dell’82%. 

Non siamo di fronte a una “fuga di cervelli” ma ad un fenomeno migratorio grande e complesso che deve essere per noi un indicatore assai preoccupante di un paese che non dà futuro e prospettiva. Un paese da cui molti vanno via. Lavoriamo perché migrare sia un diritto, una scelta, non una costrizione; per riformare la rappresentanza parlamentare e consultiva degli italiani all’estero togliendola dalla marginalizzazione in cui è relegata; per una cittadinanza rinnovata, non sottrattiva di diritti e rispondente ai nuovi percorsi migratori. Per strumenti di sostegno nel difficile percorso emigratorio e di mantenimento del legame con l’Italia; incentivi per chi desidera rientrare in Italia.

15. L’ITALIA DELLA CULTURA

Il sistema dell’istruzione e della formazione è oggetto di un processo di snaturamento, rispetto alle finalità di liberazione ed emancipazione che la Costituzione gli assegna. Impoverito, precarizzato, burocratizzato e piegato alle logiche del mercato. È una spinta che viene da lontano ed ha caratteri globali, ma che nell’ultimo decennio, nel nostro Paese, e in particolare coi governi Renzi e Draghi, ha conosciuto una evidente intensificazione, di cui gli indirizzi del PNRR costituiscono un segno evidente. Ultimo atto, rivelatore di una china ancor più pericolosa e inaccettabile, è l’impressionante aumento della spesa militare, a fronte di una riduzione del bilancio dello Stato sull’istruzione. Un mare di soldi per la guerra, un taglio al sapere (come alla salute); è una logica che respingiamo alla radice, anche perché evidenzia una prospettiva e un modello di società che consideriamo orribili e che la maggioranza degli italiani rifiuta.

La formazione e la ricerca, la loro libertà, la qualità e le finalità che le orientano sono una grande questione democratica. Sono, anzi, componente essenziale delle democrazie, in un’era in cui, all’inizio di un secolo e di un millennio, assistiamo alla loro profonda crisi, al consolidarsi di una loro involuzione autoritaria (che guerra e riarmo non possono che accelerare), ad un pericoloso mutamento del rapporto tra libertà e capitalismo globale. Occorre ribaltare la funzione prevalentemente produttivistica del sapere, nel linguaggio come nella sostanza; una logica aziendalista nella gestione, una quantificazione esecutiva nelle metodologie, un prevalente economicismo nelle finalizzazioni. Questa subalternità sostanziale nell’universo formativo è quasi plasticamente sovrapponibile (ed evidentemente funzionale) a quanto è avvenuto nei processi produttivi, nel mondo del lavoro, nella progressiva privatizzazione delle relazioni sociali e dei beni comuni; in estrema sintesi: l’assunzione delle compatibilità del capitalismo globale, e delle sue espressioni periferiche, come dato oggettivo e tendenza naturale della storia. Le conseguenze, a cominciare da quelle ambientali, sono sotto gli occhi di tutti e la pandemia non ha fatto altro che evidenziarle e amplificarle. In questo senso, il governo Draghi e il PNRR possono essere considerati un distillato di quelle tendenze decennali.

Scuola
Il mondo della scuola, in tutte le sue componenti, non può più essere oggetto passivo di provvedimenti imposti dall’esterno, ma deve essere coinvolto seriamente nei propri processi di riforma e cambiamento.
Per queste ragioni, uno dei primi atti che attiveremo, nel nuovo Parlamento, sarà una proposta di legge che – previa un’ampia discussione con tutte le componenti della scuola – in estrema sintesi, preveda:

la riduzione ad un massimo di 20 alunni per classe (15 se presente uno/una alunno/a con disabilità) e il recupero di immobili pubblici, compresi quelli appartenenti al demanio militare con priorità di destinazione ad uso scolastico; non solo per ragioni sanitarie, ma per consentire una didattica realmente inclusiva, maggiormente attenta ai processi di crescita individuale, ulteriormente qualificata e al livello dei problemi che la trasformazione digitale determina nella conoscenza, oltre che per attivare serie ed efficaci misure di contrasto all’abbandono scolastico; per raggiungere questo obiettivo, è anche necessario che venga abrogato quanto previsto dal Decreto Legge 25 giugno 2008 n. 112, art. 64, comma 6, a firma Tremonti, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 13. Norme che hanno incrementato di un punto il rapporto alunni/docente per classe e determinato l’effetto immediato della perdita di ben 86.931 posti da insegnanti con un aumento inevitabile del numero degli studenti per classe;
l’estensione del tempo scuola (tempo pieno e tempo prolungato, a seconda dei diversi ordini di scuola) in tutte le scuole del territorio nazionale; affinché sempre meno giovani e adolescenti siano lasciati soli con le proprie difficoltà; proponiamo, tra l’altro, di estendere l’obbligo scolastico a 18 anni.
la gratuità dell’istruzione, dal nido all’università, per tutte e tutti; assumendo, cioè, il diritto universale al sapere come carico di una fiscalità generale realmente progressiva e come parte di un patto tra le generazioni;
la creazione di Zone di educazione prioritaria e solidale – con ulteriori interventi di organico e finanziari – nelle aree di maggiore difficoltà sociale e culturale; ribaltando la logica che premia e rafforza, fuori da ogni logica solidale, solo le realtà più forti e solide; in aperta controtendenza con l’indirizzo a valorizzare e finanziare le scuole che abbiano conseguito risultati brillanti nei test standardizzati, crediamo che proprio le realtà scolastiche che mostrano più sofferenza debbano essere destinatarie di finanziamenti mirati, di progettualità forti e innovative incentrate sui Collegi docenti, di un aumento del rapporto tra organico e studenti;
l‘assunzione di un nero moto più ampio di docenti a tempo indeterminato, sia di base che di sostegno, anche stabilizzando coloro che insegnano precariamente da più tempo;
l’intervento di massiccio potenziamento di un trasporto pubblico gratuito ed ecologicamente sostenibile, accessibile alle persone con disabilità
;
l’allineamento dei finanziamenti ordinari al sistema dell’istruzione alla media europea (6% del PIL);
✓ Negli ultimi due anni e mezzo la scuola ha guadagnato una temporanea visibilità: l’emergenza pandemica, infatti, ha travolto il sistema scolastico mettendone in evidenza ogni crepa, determinata prevalentemente da involuzioni legislative, ritardi e tagli; tanto la lotta alla dispersione scolastica, quanto l’inclusione sono state le prime vittime immateriali della pandemia; occorre, anche per questo, prevedere adeguati investimenti per un serio supporto psicologico a studenti e studentesse.

✓ Altrettanto urgente è ripensare – ampliando numeri, spazi, metodi e funzioni – la partecipazione di studenti e studentesse alla vita e all’organizzazione della scuola, per superarne una evidente burocratizzazione e rimotivare tutte le componenti scolastiche – pur nella distinzione dei ruoli – ad una visione realmente democratica e partecipativa.

✓ Nell’ottica di subalternità alle “esigenze dell’impresa” (assunte come paradigma assoluto), vi è stata una spinta alla trasformazione di istituti tecnici e professionali, ripensati solo allo scopo di “colmare il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro”; occorre, invece, considerare ogni indirizzo della scuola secondaria superiore come occasione di formazione e crescita umana e civile; riaprendo, semmai, la riflessione su un biennio unico.

✓ L’ingente stanziamento di risorse in edilizia – che dovrebbe, tra l’altro, privilegiare il recupero del patrimonio pubblico e le fonti rinnovabili – si dimostra un intervento di facciata, in assenza di stanziamenti che, a fronte di nuove strutture, possano poi coprire i costi del servizio e quindi del personale.

✓ In Italia si nega ancora il riconoscimento giuridico del diritto di cittadinanza, alle persone di origine straniera, nate in Italia e figli di immigrati, e tra esse, tanti studenti e studentesse, pur se condividono una condizione di fatto indistinguibile da quella vissuta da studenti italiani “di diritto”.

✓ In aperto contrasto con la scuola aziendalista, occorre aspirare a una scuola plurale, aperta, partecipata, in cui ogni individuo possa riconoscere le proprie aspirazioni e le proprie potenzialità, indipendentemente dalle domande del mercato. È necessario far sì che la scuola torni a essere un vettore di mobilità sociale e non che certifichi, cristallizzi o addirittura moltiplichi le disuguaglianze in essere.

Intervenire con una legge ad hoc per contrastare la piaga della povertà educativa nelle periferie e nelle realtà più sofferenti.
Cambiare radicalmente finalità e metodologie degli strumenti INVALSI, rimettendo al centro le scuole, i loro organi collegiali, per il recupero di limiti e ritardi; occorre ribaltare l’impostazione di un PNRR che riempirebbe di soldi le scuole “meritevoli” e di inutile tutoring le scuole in maggiore difficoltà, invece di garantire organici e finanziamenti.
Cancellare l’attuale legislazione relativa ai PCTO (alternanza scuola-lavoro), aprendo una riflessione seria, nel mondo della scuola in tutte le sue componenti, sul rapporto tra formazione scolastica, mondo del lavoro, competenze professionali, diritti; per lavorare ad una nuova legislazione che tenga fermamente al centro il percorso educativo e formativo e la crescita complessiva dei ragazzi e delle ragazze.
Non confondere l’attività formativa scolastica, con altre attività, che possono arricchirla e stimolarla, ma non sostituirla; essa deve essere l’espressione di un progetto educativo elaborato dalla comunità scolastica. I patti territoriali di comunità e le alleanze con il territorio dovranno prevedere che ogni progetto venga promosso dalla scuola, proprio per rispettare le sue prerogative costituzionali senza alcuna possibilità di deroga e di delega.
Opporsi all’autonomia differenziata non solo perché tocca i diritti e la loro universalità, ma anche perché, nel contesto scolastico, essa, in preoccupante sinergia con l’interpretazione dominante dell’autonomia scolastica, determina una inaccettabile frantumazione del sistema formativo nazionale sul piano delle diseguaglianze materiali, dei contenuti e delle metodologie formative.
Aumentare la presenza degli educatori su tutto il territorio nazionale poiché rivestono un ruolo fondamentale nella gestione delle dinamiche socio-affettive all’interno del gruppo classe.
Abbandonare la logica del risparmio che ha contraddistinto tutti i recenti provvedimenti in materia di assunzione e reclutamento del corpo docente. L’ultimo Decreto, concepito fuori da ogni logica di concertazione democratica, ha trasformato l’accesso al ruolo, di chi insegna da anni, in una “corsa ad ostacoli”. Va aperta una discussione seria sul superamento del precariato e sulla formazione dei docenti. Serve una riforma che vada in tutt’altra direzione: garantire percorsi lineari e costanti per un lavoro stabile e una formazione rigorosa, seria e gratuita. È necessario che i docenti siano numerosi in rapporto agli studenti, siano ben formati e soprattutto siano stabili e possano garantire quella continuità didattica che è presupposto fondamentale per qualsiasi progettualità curricolare.
Ritornare all’esperienza dell’organico funzionale ovvero di un monte ore aggiuntivo a quello strettamente curricolare, di cui le scuole dispongano, per articolare progettualità specifiche; investire per garantire un sostegno psicologico permanente nelle scuole, che nel periodo pandemico si è dimostrato un presidio imprescindibile, ma garantito in pochissime realtà.
Mettere a centro del percorso di istruzione esperienze formative che concorrano, nella loro pluralità e gradualità, a formare dei cittadini critici, consapevoli, liberi.
Assumere e garantire stabilità e la maggiore continuità possibile ai docenti di sostegno poiché la continuità didattica alimenta la qualità del ciclo insegnamento-apprendimento; così come crediamo che sia giusto porre il problema di estendere garanzie (in termini di retribuzione e diritti) ad altre figure professionali che operano nella scuola per gli alunni con disabilità, come gli assistenti per l’autonomia e gli assistenti alla comunicazione che rappresentano un veicolo fondamentale per l’inclusione degli alunni con disabilità.
Per favorire la frequenza e la partecipazione attiva delle studentesse e degli studenti con disabilità è necessario -abbattere le barriere architettoniche in ogni istituto scolastico di ogni ordine e grado.

– combattere l‘inadeguatezza e la lentezza dei finanziamenti per l‘acquisizione di ogni ausilio utile all’inclusione e al percorso apprenditivo degli alunni con disabilità

– rendere accessibile il trasporto pubblico per gli studenti con disabilità sin dall’inizio dell’anno scolastico

Non confondere l’attività formativa scolastica, con altre attività, che possono arricchirla e stimolarla, ma non sostituirla; essa deve essere l’espressione di un progetto educativo elaborato dalla comunità scolastica. I patti territoriali di comunità e le alleanze con il territorio dovranno prevedere che ogni progetto venga promosso dalla scuola, proprio per rispettare le sue prerogative costituzionali senza alcuna possibilità di deroga e di delega.
In quest’ottica, istituire – se necessario – sin dal I anno della scuola secondaria di II grado percorsi di formazione volti ad inserire, laddove possibile per competenze acquisite, gli studenti con disabilità nel mondo del lavoro allo scopo di costruire percorsi di autonomia e di inclusione nella società.
Modificare il sistema di valutazione. L’impianto di una valutazione quantitativa e selettiva è un fattore determinante nella cristallizzazione delle diseguaglianze in seno alla scuola perché classifica e non favorisce alcuna reale consapevolezza. Inoltre, la competitività data dal sistema numerico influisce, come fattore di stress, nell’emersione del forte disagio che accompagna i percorsi scolastici di molti alunni e alunne. Per questo pensiamo sia fondamentale che una scuola realmente democratica, universalistica e inclusiva, si apra a un dibattito serio sulla valutazione numerica, anche al di là della scuola primaria.
Rivedere l’orientamento scolastico; così come realizzato attualmente, attraverso dispositivi come i forum e le fiere, si presenta come un vero e proprio mercato in cui le scuole si trovano a concorrere disperatamente per garantire un numero di iscritti che non pregiudichi i posti in organico e quindi il mantenimento delle classi e delle cattedre; rimettendo, invece, al centro, le reali aspirazioni degli alunni e delle alunne.
Far fronte a cambiamenti, come quelli determinati dall’era digitale, che stravolgono completamente il rapporto di tutti e di tutte con la conoscenza e con le relazioni umane. Per questo diffondere una pedagogia critica dell’era digitale; la digitalizzazione deve essere un processo serio e profondo da non affrontare con interventi propagandistici o estemporanei, come l’introduzione burocratica e posticcia delle cosiddette “competenze non cognitive”, così com’è accaduto con l’inserimento dell’Educazione civica.
A nostro avviso è imperativo sottrarre la discussione sui processi formativi – decisiva per il modello di conoscenza e di umanità delle generazioni presenti e future – alla strumentale corsa propagandistica di politiche governative sempre più subalterne e sempre più ridotte a pura ricerca di un facile consenso.

Educazione sessuale e affettiva
Che preveda più cicli di quattro incontri ciascuno durante tutto il percorso della scuola dell’obbligo a partire dall’ultimo anno della scuola primaria, poi con cadenza biennale dal primo anno della scuola secondaria inferiore

Che non si limiti agli aspetti di salute riproduttiva e contraccezione ma si focalizzi, con strumenti e contenuti adattati alle diverse fasce d’età, sul formare preadolescenti e adolescenti a vivere la propria sessualità, e piacere e l’affettività in maniera sana, consapevole, responsabile, rispettosa e senza pregiudizi

Che sia laica, libera da condizionamenti di matrice religiosa e che aiuti le e gli studenti a riconoscere e riflettere criticamente sugli stereotipi sessuali e di genere

Che sia erogata da esperte ed esperti, coinvolgendo attivamente le i docenti nella progettazione

Università e Ricerca

Riaffermare un ruolo sociale per l’università e la ricerca pubbliche.

È necessario, e possibile, riaprire una battaglia politica sul ruolo sociale della conoscenza, per un accesso libero e gratuito al sapere, per un sistema della ricerca aperto e socialmente responsabile; occorre ribaltare la logica classista dell’accesso all’Università, superare la precarizzazione della ricerca e la sua subalternità al mercato e alla logica produttivistica.

L’Università è vissuta sempre meno come opportunità di emancipazione sociale e personale, la sua difesa non è percepita come “interesse condiviso” da quella parte della società che se ne sente esclusa.

Anche sulla formazione, il richiamo alla funzione di produrre un sapere critico, non schiacciato sulle domande del mercato, non risponde solo a un principio di cittadinanza, a un obiettivo di autonomia critica, ma si fonda anche sul fatto che una formazione subordinata alle domande del mercato è immediatamente esposta alla marginalità e all’obsolescenza, in una stagione di drammatiche innovazioni tecnologiche, sociali e produttive.

Eppure si continua a riproporre l’idea (di cui anche il 3+2 è figlio) che il nodo del rapporto col mondo del lavoro sia rafforzare percorsi professionalizzanti ed evitare il cosiddetto mismatch: la rappresentazione che da anni viene proposta è che esista un mercato del lavoro che i giovani non incontrano. Mentre esiste una carenza di lavoro effettiva e c’è una domanda delle imprese di figure sotto qualificate da “addestrare”. La frammentazione dell’offerta formativa, la sua riduzione a “prodotto” da offrire a “clienti”, inseguendo la competizione tra atenei, ha impoverito il percorso culturale e ridotto le possibilità di crescita delle capacità critiche e di rapporto autonomo con la realtà; ma impone anche gli studenti una logica prestazionale, senza garantire diritti e, spesso, qualità formativa. La ricerca e l’alta formazione pubbliche possono avere una autonomia, intesa come capacità proattiva come lettura critica delle domande finalizzata al bene pubblico e alla valorizzazione delle conoscenze. Uno dei capitalismi più assistiti del mondo non può essere assunto come stella polare delle esigenze formative e di ricerca, né degli indirizzi dell’innovazione; esso deve essere indirizzato dal potere pubblico, non indirizzarlo. E, naturalmente, non è per noi l’orizzonte della storia.

Le proposte che avanziamo vanno, dunque, nella logica di un ribaltamento della cultura neoliberista che comprime il diritto al sapere, le potenzialità liberatorie e di emancipazione della conoscenza, per ciascun individuo e per la società intera; cioè per i bisogni e i diritti di tutte e tutti.

Rilanciare l’investimento in ricerca, formazione, cultura, orientare questo investimento all’utilità sociale. Mentre si è scelto, irresponsabilmente, l’aumento delle spese militari fino al 2% del PIL, in nome di una richiesta di impegno della NATO, è bene ricordare l’obiettivo sancito nel Trattato Europeo di Lisbona che impegnava tutti gli stati membri a raggiungere il 3% di investimenti in formazione e ricerca. L’Europa aveva scelto di essere la società più dinamica al mondo, basata sulla conoscenza; ma le politiche neoliberiste e di austerity hanno tagliato risorse alla scuola, all’università e alla ricerca. Quell’impegno, scritto nei trattati, non è mai stato rispettato. Va riaperta una stagione di investimento pubblico in ricerca e alta formazione capace di individuare priorità e finalità.
Riaprire l’accesso di massa all’università. Il nostro Paese è agli ultimi posti in Europa per numero di laureati. Le tasse universitarie sono progressivamente cresciute, escludendo sempre più fasce sociali svantaggiate, e con esse sono cresciuti i costi di permanenza in tutte le città universitarie, grandi e piccole. La formazione universitaria, mentre si sproloquia sul merito, è tornata ad essere un privilegio per ricchi; si delinea anche il rischio che la didattica a distanza, strumento aggiuntivo e integrativo fondamentale per aumentare l’accessibilità ai corsi e alle lezioni. diventi, in alcuni atenei o come modello generale, la certificazione delle differenze sociali: esperienza universitaria per i poveri, dequalificata e a distanza, università per i ricchi, d’eccellenza e in presenza.
Contro l’aumento delle tasse e la retorica paternalista dell’aiuto ai meritevoli, noi proponiamo la gratuità della formazione dall’asilo all’università: la formazione è un diritto e una condizione di sviluppo, non è un costo. Oltre la gratuità dell’iscrizione, servono risorse per rendere effettivo il diritto allo studio, servizi, accessibilità, accompagnamento, alloggi e borse di studio. Il problema degli alloggi non può essere delegato a logiche di speculazione e di sfruttamento del “sistema fuorisede”, ma deve essere strutturalmente affrontato, insieme a un programma di finanziamento allo studio, in modo da permettere la libertà di scelta di corso, ateneo e città senza che questa sia subordinata alle condizioni economiche di partenza. Serve orientare, concretamente e col coinvolgimento di tutte le categorie, negli atenei, i fondi del PNRR (e quelli liberati da questo).
Supportare il percorso di inclusione degli studenti con disabilità attraverso l’abbattimento delle barriere architettoniche e sensoriali, l’acquisto di ausili didattici e di strumentazioni nonché la predisposizione di adeguati piani e modalità di partecipazione e di lavoro e la fornitura laddove necessario di traduttori LIS e BRAILLE.
Incrementare il numero di tutor e di ore assegnate agli studenti con disabilità per fornire un adeguato supporto durante il loro percorso accademico.
Costruire un governo democratico della ricerca pubblica.
La gestione dei Dipartimenti di Eccellenza e dei fondi premiali nasconde un sistema per cui la norma è il sottofinanziamento di Enti e Atenei. Questi devono competere secondo descrittori fortemente influenzabili che premiano consistentemente alcuni per lasciare a fondo graduatoria altri, aumentando il divario tra atenei “virtuosi” e non. La valutazione dei singoli e delle sedi, la retorica del merito e dell’eccellenza, si sono trasformati in strumenti di accrescimento delle disuguaglianze territoriali e di rendite di posizione.
Occorre ripensare i criteri di valutazione dei singoli e delle sedi: l’investimento delle risorse non può essere guidato da una logica di premio e punizione delle sedi in base alla valutazione. Al contrario, valutazione e risorse devono perseguire il riequilibrio dell’offerta didattica e delle capacità di ricerca. Non servono “campioni nazionali” di eccellenza; va garantita e preservata la qualità diffusa del sistema con strumenti di promozione di reti e coordinamento di risorse e competenze esistenti, su progetti strategici condivisi. L’obiettivo deve essere favorire una crescita di sistema su scala nazionale, superando la preservazione degli equilibri di potere e mettendo in discussione la “naturalità” di un sistema che seleziona ed esclude per genere e che ancora disconosce la fondatezza della critica prodotta dal femminismo ai saperi e ai modelli di relazione sociali.
Serve partecipazione nel delineare il PNRR, nel definire i progetti, nell’esecuzione. Serve maggiore coerenza rispetto alle grandi sfide (transizione ecologica, economia circolare, lotta agli squilibri, salute pubblica) ponendo al centro la disponibilità, la diffusione e l’utilizzo dei saperi. Un intervento di queste dimensioni e questa complessità non può ridursi all’”acquisto” di tecnologia o alla realizzazione di infrastrutture: è urgente affermare un governo sociale dell’innovazione capace di coglierne ricadute, modelli alternativi, implicazioni sociali e ambientali. Se è vero, inoltre, che il PNRR è finalizzato a investimenti a termine, questa massa di risorse può, però, affiancarsi a una programmazione che tenga conto delle risorse che si liberano e possono essere investite. Le risorse che arriveranno e saranno usate spesso per adeguamenti infrastrutturali non possono riproporre le università come parte di operazioni urbanistiche che hanno cementificato le nostre città senza aumentarne la qualità sociale.
Va riaffermato il carattere unitario del sistema di alta formazione, l’universalità del diritto allo studio e la parità di opportunità a prescindere dall’ateneo in cui è stata conseguita la laurea. Va respinto l’attacco al valore legale del titolo di studio; attacco che si è riproposto palesemente col decreto del governo Draghi, in merito alla riforma delle classi di laurea (uno degli atti collaterali alla “Missione 4” del PNRR), su cui persino il C.U.N. ha espresso parere negativo. Va incentivata la sperimentazione didattica finalizzata ad arricchire l’offerta formativa. Va ripensata un’organizzazione della didattica oltre un modello che ha rescisso il legame con la ricerca, sposato un approccio quantitativo e nozionistico che svilisce il ruolo di chi insegna e crea condizioni di stress e immotivati sentimenti di inadeguatezza in migliaia di studenti e studentesse. Va riaffermata la didattica come dialogo, interrogazione reciproca, confronto, relazione con l’attività di ricerca e non solo come acquisizione di contenuti per fruitori passivi. Va respinta – vogliamo dirlo con ulteriore chiarezza – la tentazione di utilizzare la didattica a distanza come pretesto per non rimuovere gli ostacoli di ordine economico e materiale alla libera scelta di frequentare l’università in presenza e, più in generale, di vivere l’esperienza universitaria nel suo complesso.
È necessario aprire, in tutte le componenti del mondo universitario, una riflessione e una verifica sul 3+2 e sul sistema dei crediti; sulla reale utilità e valenza formativa di questa struttura del curricolo. Discussione che, necessariamente, deve avere anche una proiezione europea e la cui finalità deve’essere quella della crescita nella qualità culturale e scientifica della formazione universitaria, puntando a superare la frammentazione dei percorsi formativi, e la parcellizzazione degli specialismi. È necessario porre fine alla sindrome del factotum: bisogna riconsiderare la distribuzione degli incarichi amministrativi, contabili e finanziari che ricadono sui docenti e ricercatori sottraendo tempo all’insegnamento, alla ricerca e alla didattica. Come in altri paesi europei, è fondamentale decentralizzare i ruoli amministrativi e inserire figure tecniche e gestionali in maniera capillare e democratica, non centralistica, permettendo un’ottimizzazione delle risorse e la valorizzazione dei ruoli.
Va chiusa la stagione della precarizzazione della ricerca. Non solo perché ha pesato sulla vita di moltissime e moltissimi giovani, ma perché precarizzazione vuol dire meno autonomia e libertà, meno capacità di innovare approcci, metodi e linguaggi, perdita di competenze. La condizione di eterna precarietà di dottorandi e ricercatori ne limita l’autonomia, mina le loro condizioni di vita e impoverisce sistematicamente ricerca e formazione. L’ideologia della precarietà che ha destrutturato molte conquiste nel mondo del lavoro, deve essere radicalmente ribaltata: serve garantire stabilità e condizioni di vita dignitose a coloro cui si affida la ricerca pubblica e, quindi, il futuro tessuto culturale, scientifico, tecnologico del Paese.
La recente riforma del sistema universitario approvata nel PNRR2 a luglio 2022, impone giustamente l’incremento degli stupendi post laurea e un consolidamento dei contratti post dottorato, stabilizzando la figura del post doc con un contratto di ricerca e superando il sistema di RTDa-RTDb con la nuova figura RTT (ricercatore tenure-track). Il grave errore è che il decreto non accompagna questa riforma con fondi strutturali e anzi impone lo stesso tetto di spesa del triennio precedente, determinando de-facto un calo delle posizioni disponibili.
Ciò non dimostra una presa di coscienza sul valore dell’istruzione superiore, ma genera un ulteriore collo di bottiglia andando sempre più a privare i giovani laureati di un futuro accademico.
Questa situazione è ancora più grave se consideriamo quanto la cultura e la scienza siano le due basi fondanti dello sviluppo sostenibile, della giustizia sociale, della transizione ecologica.
Per superare un’organizzazione gerarchica delle università e per contrastarne la contrazione e precarizzazione e per riaffermare un accesso libero al sapere per un sistema della ricerca aperto, va ridefinito, lo sblocco del turn over e un programma pluriennale di reclutamento. Servono dunque finanziamenti strutturali, sia per adempiere finalmente all’obiettivo del 3% di PIL investito in istruzione e ricerca, sia per restituire dignità e senso alla carriera universitaria, riducendo la nota “fuga dei cervelli” e conseguente emorragia di giovani laureati verso altri Paesi, e invertendo anzi la direzione.
Recuperare una funzione sociale della ricerca a partire dalle grandi sfide che la crisi ci pone. Il rapporto con la società non deve significare subordinazione agli interessi delle imprese, e la libertà e l’autonomia della ricerca non si ottengono con una chiusura autoreferenziale. La “terza missione”, il contributo, cioè allo sviluppo sociale e civile del Paese, deve essere strettamente intrecciata alla formazione e alla ricerca e deve fondarsi sull’autonomia e la capacità di essere in relazione con la società. Questo è ottenibile solo con carriere non frammentate dal ricatto dei pochi fondi e di posizioni precarie, ma rinforzando il finanziamento dei gruppi di ricerca e dei nuovi reclutamenti, in modo da garantirne la libertà e indipendenza scientifica ed evitare obbligati apparentamenti e affiliazioni.
Riprendendo il positivo lavoro svolto nelle precedenti legislature – e nel, pur breve, periodo del Governo Conte 2 – occorre rilanciare l’azione di riforma dell’Alta Formazione Musicale e Artistica, superandone la marginalizzazione e la trascurata indifferenza; ma anche procedere ad una riorganizzazione e ad un forte impulso, in particolare, della formazione musicale, fin dalla scuola di base.


16. L’ITALIA IN SALUTE


La nostra azione politica e la nostra mobilitazione non possono non farsi carico nei prossimi mesi del tema del diritto alla salute e conseguentemente del SSN che ha subito un progressivo indebolimento tale da mettere in discussione proprio questo diritto fondamentale sancito dalla Costituzione. Come è noto a tutti noi il SSN si è presentato impreparato alla fase pandemica, penalizzato da anni di de-finanziamento, tagli dei posti letto (non bilanciati da una adeguato potenziamento della sanità territoriale e delle cure intermedie), riduzione del personale, e politiche che hanno inciso negativamente sulla tenuta dei servizi territoriali e di prevenzione. Sembrava che vi fosse durante la pandemia un generale consenso sulla necessità di rafforzare il SSN e di superare le diseguaglianze territoriali nell’accesso e nella qualità dei servizi, amplificate da questa pandemia e un sentimento generale di adesione a questo bene comune. Purtroppo, superata la prima fase della pandemia, la sanità per il presidente Draghi è ben presto tornata a occupare la parte bassa della classifica delle priorità̀ del nostro Paese. Tanti sono stati i segnali e la conferma che non vi fosse intenzione di procedere ad alcun rafforzamento del SSN è arrivata già lo scorso aprile, quando il Governo ha reso note le previsioni di andamento della spesa sanitaria pubblica, che hanno trovato poi piena conferma nella Nota di Aggiornamento del 29 settembre. Se dal 2017 al 2020 la percentuale di spesa sanitaria pubblica era rimasta ferma al 6,6% del PIL (tra le più̀ basse in Europa), impennandosi al 7,3% nel 2021 a causa delle spese COVID, la spesa tendenziale per gli anni successivi è decisamente al ribasso: 6,7% nel 2022; 6,3% nel 2023, e addirittura 6,1% nel 2024. Poi si è inserita addirittura la previsione di un DDL per l’attuazione della autonomia differenziata. E ancora poi il feroce Ddl Concorrenza. La sostanza del provvedimento è concentrata nell’art. 6: la privatizzazione dei servizi pubblici locali. Un provvedimento che accantona definitivamente quanto la pandemia ha evidenziato: il mercato non funziona, non protegge, separa persone e comunità. Questo decreto è un attacco ai diritti delle persone e ai beni comuni, Draghi all’assalto dei beni comuni. Questa pandemia ha invece messo in evidenza la necessità di una solida cornice unitaria dei servizi sanitari regionali e di un potenziamento della capacità – politica e tecnica – di indirizzo programmatorio nazionale; è pertanto indispensabile espellere il tema Sanità dalla eventuale attuazione dell’autonomia regionale differenziata. Occorre un cambio di passo nell’ambito della sanità pubblica e della ricerca biomedica. Si tratta di una “occasione” da non perdere per ridisegnare il ruolo dello Stato e dei sistemi di welfare per i prossimi decenni, in considerazione anche della disponibilità delle risorse finanziarie del PNRR e del consenso della popolazione, che avverte il problema salute come la crescente e maggiore inquietudine di questi anni. Il diritto alla salute deve essere per noi una delle priorità del paese. Negli ultimi anni il SSN sta venendo progressivamente meno alla sua fondamentale missione: il diritto alla salute non è garantito, la popolazione è sempre meno tutelata di fronte alla malattia, mentre crescono le disuguaglianze tra i cittadini nell’accesso ai servizi. È mandatorio che la salute torni a essere una priorità. È il momento di ergersi con forza in difesa del SSN e della sua originaria vocazione universalistica e di opporsi al disegno volto a creare un doppio binario: un servizio pubblico impoverito e inefficiente e un sistema privato solo per chi se lo può permettere. Per questo è necessario lavorare sulle tre dimensioni della crisi attuale: i valori, il funzionamento e il finanziamento. I valori, sanciti dalla Costituzione e dalla legge istitutiva del SSN, a partire dal rispetto della dignità della persona umana, sia essa bisognosa di assistenza o lavoratore della sanità pubblica. Il funzionamento del sistema, prevedendo lo sviluppo e l’attuazione delle tante norme ancora disattese e avviando un rinnovamento strutturale del modello di cura, rendendolo davvero capace di accogliere e accompagnare le persone nei percorsi di cura e promozione della salute, superando il vecchio modello centrato sull’attesa e sull’ospedale. Prioritaria è la prevenzione primaria, per intervenire affinché le persone non si ammalino, agendo sui fattori di rischio legati all’ambiente di lavoro e di vita sui principali fattori di rischio delle malattie croniche (inquinamento, fumo, obesità, sedentarietà). Questo richiede la radicale riorganizzazione e il potenziamento dei servizi territoriali, non solo in risposta alla recente drastica riduzione delle attività ospedaliere (dal 2008 ad oggi i ricoveri si sono ridotti di oltre un quarto), ma per offrire cure primarie, basate sulla sanità d’iniziativa e su gruppi di lavoro multidisciplinari, che garantiscano un’assistenza integrata e personalizzata, fondata sull’inclusione sociale con il coinvolgimento delle comunità locali. Il finanziamento, dopo le drastiche restrizioni imposte dagli ultimi governi, è indispensabile tornare a investire nella salute e nell’assistenza sanitaria, riallineando progressivamente la spesa sanitaria pubblica italiana alla media dei paesi dell’Europa occidentale e garantendo investimenti pubblici per il rinnovamento tecnologico e l’edilizia sanitaria. Come primo passo è necessario prevedere un aumento del fondo sanitario di 10 miliardi nei prossimi tre anni. È necessario abolire i vantaggi fiscali connessi alla sottoscrizione di polizze assicurative sanitarie e alla partecipazione a fondi sanitari integrativi, in quanto riducono la contribuzione degli assicurati al Fondo Sanitario Nazionale, aumentando le disuguaglianze e minando in prospettiva le basi di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico. Il peso oggi della sanità privata accreditata nel SSN è purtroppo enomre: quasi il 50% delle strutture ospedaliere inserite nel SSN sono private, così come il 60% dei servizi ambulatoriali ed addirittura il 78% dei servizi riabilitativi e l’82% delle strutture residenziali; ovviamente tutto ciò non è casuale: sono questi gli ambiti maggiormente redditizi. Non certo la medicina territoriale dove, infatti, il privato accreditato raggiunge solo il 13%. Urge inoltre un nuovo progetto per i Consultori Familiari, da anni oggetto di depauperamento progressivo. Il modello assistenziale di cura alla donna è negativamente impregnato di pregiudizi che ostacolano il cambiamento culturale verso scelte consapevoli e autonome in tema di salute femminile riproduttiva e sessuale.  Va affrontata la piena attuazione della Legge 194 anche attraverso normative che consentano solo a personale infermieristico e medico non obiettore di partecipare ai concorsi pubblici. La salute sessuale e riproduttiva e le scelte connesse devono essere rispettate e garantite dal momento della nascita fino alla menopausa. Contraccezione, aborto ed esami ed eco in gravidanza devono essere realmente a disposizione in forma gratuita nei Consultori. Il personale sanitario tutto sia formato alla medicina di genere. Il percorso sanitario dei cittadini con disabilità è costellato di difficoltà burocratiche e rallentamenti amministrativi che rendono ancora più invalidante la situazione del disabile e della sua famiglia, minando troppo spesso alla loro stessa dignità nel perseguimento di diritti che dovrebbero essere acquisiti. Proponiamo quindi:
Inserimento dell’obiettivo ‘salute’ in tutte le politiche, potenziamento dei servizi di prevenzione e tutela ambientale, superamento dell’attuale separazione tra gli stessi.
Un Piano di rafforzamento strutturale del personale dipendente, con l’assunzione di complessivi 40 mila operatori in tre anni, per riportare la dotazione di operatori ai livelli precedenti alla crisi, riducendo contestualmente la spesa per il lavoro precario, le collaborazioni esterne e le esternalizzazioni di servizi.
Un Piano straordinario di investimenti pubblici per l’ammodernamento strutturale e tecnologico della sanità pubblica evitando complessi e costosi progetti di finanza privata, dando priorità alla messa in sicurezza delle strutture non obsolete.
Una nuova politica del farmaco, attraverso la promozione dell’uso dei farmaci equivalenti, la definizione di una strategia per i farmaci e vaccini veramente innovativi che ne permetta l’accessibilità a costi ragionevoli per le finanze pubbliche, la revisione delle modalità di funzionamento dell’Agenzia Italiana del Farmaco e dei meccanismi di controllo della spesa, il potenziamento della ricerca indipendente e la previsione di una adeguata azienda pubblica per la produzione e commercializzazione dei farmaci e vaccini.
Normare l’uso e la produzione di sostanze chimiche pericolose, anzitutto i composti perfluoroalchilici (Pfas), dalla loro produzione fino alla loro distruzione: l’obiettivo primario per Europa Verde e Sinistra Italiana è la definizione di limiti restrittivi e strategie volte alla riduzione del loro uso fino alla totale sostituzione, prevedendo azioni di reazione e protezione sanitaria, ambientale ed economica nei luoghi contaminati o potenzialmente contaminati da queste sostanze. La strategia nazionale dovrà basarsi anzitutto sulla collaborazione con il mondo scientifico e gli Stati promotori del Panel internazionale per implementare l’azione di controllo e mitigazione di sostanze chimiche pericolose, rifiuti e inquinamento, proposto all’Assemblea Onu a febbraio 2022. Ci impegniamo a proporre e percorrere ogni azione suggerita dall’esperienza tecnico-scientifica, nazionale ed internazionale acquisita fin d’ora per fare in modo che mai più in Italia e all’estero un inquinamento da sostanze non normate provochi la stessa sofferenza sanitaria, psicologica, sociale ed economica che ancora oggi cittadini veneti, piemontesi ed italiani stanno subendo a causa di inquinanti fino ad ora ancora troppo sottovalutati.
Creazione di un’azienda pubblica per la produzione dei farmaci e vaccini, utilizzando le competenze dell’Istituto Superiore di Sanità, dell’Istituto Farmaceutico Militare, dei Centri di ricerca universitari e del Servizio Sanitario Nazionale.
Abolizione dei vantaggi fiscali connessi alla sottoscrizione di polizze assicurative sanitarie e alla partecipazione a fondi sanitari integrativi, in quanto riducono la contribuzione degli assicurati al Fondo Sanitario Nazionale e contrastano con elementari doveri di solidarietà sociale, aumentando le disuguaglianze e minando in prospettiva le basi di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico
Revisione dei servizi esternalizzati, garantendo innanzitutto le condizioni di lavoro e la giusta retribuzione del personale e procedendo a un graduale ritorno alla gestione diretta, a partire dai settori strategici.
Superamento delle convenzioni nazionali dei medici di famiglia, dei pediatri di libera scelta, degli specialisti ambulatoriali, della medicina dei servizi con inserimento di queste figure professionali nel Contratto Unico di dipendenza dal Servizio Sanitario Nazionale.
Sviluppo del sistema sanitario nazionale nella missione 6 PNRR: Il SSN deve essere oggetto di una azione politica che ne sostenga i principi fondamentali di programmazione sanitaria e di sviluppo del personale (in stretta sinergia con l’ambito universitario, abolendo il numero chiuso in tutte la facoltà di ambito medico e infermieristico), ne rafforzi la valenza pubblica, permetta anche una nuova definizione dei bisogni sanitari attraverso la realizzazione di una rete socio assistenziale diffusa ed efficace, in grado di raggiungere i cittadini in stretta sinergia e relazione con la rete ospedaliera e consenta di ridefinire il ruolo del MMG.
Introduzione due medici sentinella per l’ambiente (RIMSA): Il ruolo del medico è dedicato agli aspetti diagnostici-terapeutici. Il MMG conosce l’ambiente dove il suo assistito vive e lavora. Può e deve occuparsi anche di prevenzione.  Perciò riteniamo necessario istituire la rete dei medici Sentinella Per l’  Questo deve essere molto attento a individuare eventuali cluster di patologie che possono verificarsi tra i suoi assistiti. Se sospetta una causa ambientale deve segnalare quanto osservato alle autorità amministrative e ai decisori politici. Questa funzione viene definita “advocacy”. Il progetto di medico sentinella è portato avanti da medici per l’ambiente ISDE (vedi sito isde.it) che ha costituito una rete denominata RIMSA (Rete italiana medici sentinella per l’ambiente).
La salute delle donne: fare i conti con la differenza tra Donne/Uomini
Maternità: il coronavirus ha fatto emergere insieme alla superiorità numerica delle donne mediche, il nodo irrisolto della maternità rispetto al loro essere differenti; ridisegnare i luoghi di cura potenziando il territorio inteso come fonte di servizi e relazioni; ripensare il territorio: medicina di base, case della salute, comunità per anziani; promozione di percorsi efficaci per donne in salute: consultori familiari, percorso nascita, percorso salute riproduttiva, parto non medicalizzato, controllo utilizzo tagli cesarei, allattamento al seno, IVG, contraccezione; formazione ad hoc del personale.


Disabilità:
1. creare in ogni Regione presidi sanitari per l’assistenza dei cittadini con disabilità di età pediatrica e adulta con personale medico e infermieristico adeguatamente formato agli approcci terapeutici più indicati. 2. semplificare le pratiche amministrative volte alle richieste di presidi sanitari essenziali per i cittadini con disabilità (pannoloni, alimentazione enterale ecc…) espandendo i termini con cui presentare nei casi di patologie gravi e gravissime e consentire al malato di inviare richieste e relativa documentazione via mail. 3. Aggiornare il nomenclatore tariffario degli ausili, protesici e non. Al momento risulta ancora in vigore quello del 1999. Nonostante sia stato emanato un documento con i nuovi dispositivi tecnologici e i nuovi livelli di LEA, tale documento (DPCM 12 gennaio 2017), approvato nel 2021, risulta ancora non operativo. 4. Salvaguardare il diritto alla sessualità per i cittadini con disabilità in ogni sua forma, anche attraverso la formazione di operatori all’affettività (love givers). 5. Favorire l‘assistenza domiciliare per le persone con gravi disabilità. 6. Favorire la costituzione di strutture semiresidenziali e centri diurni per persone con disabilità Non autosufficienza e marginalità
Assistenza domiciliare e Rsa: Anziani e persone con disabilità devono poter essere assistiti a casa loro con gli adeguati supporti ai loro familiari e a tutti i caregivers interessati. Deve essere valorizzato il ruolo del Terzo Settore, in grado di coadiuvare efficacemente il SSN, con incentivi economici e di servizi. La dimensione di isolamento delle Residenze per Anziani va superata guardando ad esperienze positive all’estero dove le RSA sono collocate nei quartieri accanto a centri per l’infanzia e a scuole, sono rese accessibili alla popolazione offrendo una idea di integrazione con il tessuto sociale. Tra i criteri per l’accreditamento, andrebbe valorizzata l’accessibilità alle strutture con i mezzi pubblici. Occorre impegnarsi a fondo per il superamento della contenzione fisica o farmacologica.
Tra i diritti delle persone con  disabilità, vi è quello “di muoversi liberamente sul territorio, usufruendo, alle stesse condizioni degli altri cittadini, dei servizi di trasporto collettivo appositamente adattati o di servizi alternativi”. Il trasporto pubblico italiano, non solamente quello locale, non riesce a garantire questo diritto considerando che, ad esempio solo 630 stazioni su 2300 sono attrezzate ad offrire assistenza alle persone con disabilità e troppi pochi treni sono attrezzati per persone con disabilità. Si rende necessario investire maggiormente sull’accessibilità dei servizi di trasporto pubblico e sull’abbattimento delle barriere architettoniche.
Nel PNRR gli interventi a favore delle persone con disabilità si articolano in particolare nel capitolo cinque e nel sei che riguardano rispettivamente a “coesione e inclusione” e “salute”. La missione cinque, prevede, in capo al ministero della Disabilità, l’attuazione della riforma della cosiddetta “Legge quadro della disabilità” nell’ottica di una maggiore promozione dell’autonomia delle persone con disabilità. Oltre a questo, nell’ambito di una prima attuazione dei fondi del Pnrr, il ministero del Lavoro, con uno stanziamento complessivo di 1,2 miliardi di euro, ha emanato un apposito decreto in cui destina 500 milioni di euro destinati all’inclusione delle persone con disabilità. La direzione intrapresa è giusta, ma le persone con disabilità devono avere risposte concrete in merito all’inclusione lavorativa, Progetto di Vita, Dopo di Noi e in merito ai caregiver familiari. Queste risorse sono indubbiamente molto importanti e costituiscono un primo segnale nella giusta direzione. Nel futuro a breve termine occorrerà però incidere con grande forza e determinazione sui temi dell’inclusione lavorativa, Progetto di Vita, Dopo di Noi e in merito alle figure di caregiver familiari. In particolare, occorre supportare i caregivers familiari sia attraverso il supporto psicologico che attraverso del personale qualificato che possa sostituirlo per alcune ore offrendo loro in questo modo un giusto sollievo dagli oneri dell’assistenza.
Strategie di contrasto alla solitudine: contrastare la solitudine favorendo la socializzazione e l’aggregazione, offrendo risposte ad una fascia consistente di persone autosufficienti disponibili ad accogliere e a vivere in compagnia. Azioni da promuovere e/o incentivare: coabitazione giovani-anziani, in particolare di studenti fuorisede; impiego volontario degli anziani nelle scuole; attività ricreative e di svago per gli anziani; attività di tele-compagnia erogata da personale psicologicamente qualificato.Nel caso specifico delle persone con disabilità, la solitudine è un rischio che incombe sin dalla giovane età: per facilitare la socializzazione e la possibilità di confronto tra pari, è necessario garantire l’accessibilità ad ogni luogo pubblico e privato, quale cinema, teatri, concerti, spiagge, parchi, piscine, chiese, esercizi commerciali sia attraverso l’abbattimento delle barriere architettoniche e sensoriali che con l’attivazione del servizio sotto altra forma purché non lesiva della dignità del cittadino con disabilità.
Rompere il circolo della povertà: La ripresa economica non potrà prescindere dalla lotta alla povertà, alle disuguaglianze e alla comune presa di coscienza che è insopportabile che queste condizioni creino disparità nelle opportunità di vita delle persone. In questo contesto intendiamo difendere e rafforzare il reddito di cittadinanza, secondo le previsioni del rapporto elaborato dalla Commissione presieduta da Chiara Saraceno, con l’obiettivo strategico di arrivare ad un vero Reddito Universale di Base.
Un Piano Nazionale per Bambine e Bambini:
Vogliamo garantire il benessere e un processo di crescita armoniosa delle bambine e dei bambini offrendo a loro la possibilità di socializzare e giocare senza esser vincolati dagli aspetti economici. Per questo occorre avere molti asili nidi, la possibilità di aver delle e dei babysitter pagati dallo stato per qualche ora a settimane, la possibilità di accedere alle aree verdi, a fare sport e potere gratuitamente godere di tutte le attrazioni anche culturali (come i musei, etc) Le bambine e i bambini devono godere del diritto di mobilità adeguato a loro. promuovere la presenza di giochi per disabili in tutti i parchi pubblici cittadini per facilità l’inclusione tra pari.
Lo sport come strumento di salute e di cittadinanza
Occorre mettere in atto azioni concrete per sostenere i processi di sviluppo di competenze motorie, cognitive, emotive e relazionali; rendere obbligatorio l’inserimento negli Statuti delle Associazioni Sportive i valori del rispetto di sé, degli altri, dell’ambiente, della parità di opportunità, della solidarietà; aiutare, soprattutto i giovani, a maturare, cioè ad ammettere i propri limiti, ma al contempo ad evidenziare le proprie potenzialità anche attraverso l’attività agonistica. Occorre vigilare sull’attuazione dei Decreti legislativi per la “Riforma quadro dello sport”, approvati nel 2021. Promozione delle attività motorie, ludiche e ricreative adattate, nonché facilitazioni per l’accesso alla pratica sportiva delle persone con disabilità di tutte le fasce di età. Realizzazione di un programma nazionale per “l’accessibilità” degli impianti sportivi. Approvazione definitiva del “disegno di legge sulla tutela dello sport nella Costituzione” la cui procedura si è fermata in prima lettura al Senato durante l’attuale Legislatura.
Benessere psicologico e tutela della salute mentale
Le condizioni di benessere psicologico nel nostre Paese risultano gravemente compromesse. Secondo un’indagine, recentemente pubblicata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi risulta un aumento del 39 per cento delle richieste di aiuto nell’ultimo anno, un dato che viene definito “psicopandemia”. Risultano maggiormente colpite la popolazione femminile e giovane, sia minorenni che la fascia 18-30 anni. Crediamo indispensabile garantire la massima attenzione al supporto psicologico della popolazione, con misure atte a:
Prevedere l’assunzione straordinaria di psicologi e specialisti della salute mentale nei sistemi sanitari pubblici territoriali, convenzionati o che garantiscano un costo di prestazione calmierato;
Potenziare gli interventi per la scuola con l’attivazione di un servizio di psicologia scolastica strutturale all’interno dei sistema scolastico;
Adottare misure di prevenzione delle forme di disagio, di promozione delle competenze psicologiche adattive e di forme di collegamento e sinergia con gli interventi mirati di cura dei servizi sanitari per l’infanzia, l’adolescenza e le famiglie;
Potenziare i centri per l’impiego e i sistemi formativi territoriali attraverso il contributo degli psicologi del lavoro;
Attivare voucher aziendali per la prevenzione di stress lavoro correlato ad interventi psicologici di prevenzione e cura dello stesso;
valorizzare il territorio come centro di prevenzione e cura della psichiatria, favorire l’istituzione di guardia psichiatrica H24 e ambulatori per adolescenti e limitare l’inserimento in strutture a favore della residenzialità leggera con inserimento lavorativo.
Prevenire il pericolo di istigazione al ricorso a pratiche di autolesionismo e al suicidio online, individuare e prevenire i comportamenti potenzialmente suicidi soprattutto nella popolazione scolastica, promuovere l’educazione sanitaria della popolazione e ottimizzare i percorsi di cura attraverso un piano d’azione specificamente regolamentato.
Costruire un portale online e offline aperto a tutti per prevenire l’istigazione al suicidio e all’autolesionismo
Difendere i diritti umani delle famiglie transnazionali
Sono 5.171.894 gli stranieri residenti in Italia. Quasi 1 su 2 è di provenienza europea. La maggior parte lascia in dietro la famiglia nei paesi di residenza. Sono spesso persone invisibili, che non appaiono neanche nel Pnrr. Il Piano dedica un fondo importante per la cura di persone vulnerabili e anziani, ma è fondamentale che quelle risorse siano messe in collegamento anche con chi cura. Solo il 6% dei lavoratori domestici ha una protezione sociale completa (ILO). Circa mezzo milione di bambini sono lasciati indietro dai loro genitori che lavorano nell’Unione europea. Spesso è la madre a partire per andare a fare l’assistente familiare all’estero. Un lavoro che non consente di ricongiungere la famiglia nel Paese di emigrazione, perché spesso costringe a vivere sotto lo stesso tetto dell’assistito e troppe volte con conseguenze drammatiche sulla salute e la vita della lavoratrice e dei propri famigliari. I figli lasciati indietro costretti a vivere lontano dalle madri sviluppano in tantissimi casi disturbi legati all’ansia da abbandono, fino a precipitare in situazioni di depressione o gesti estremi. Il fenomeno arriverebbe a colpire il 75% dei minori, con una crescita esponenziale di suicidi, abbandono scolastico, violenze e sfruttamento cui questi minori vengono sottoposti. Sarebbe auspicabile che l’Italia, mettendo in pratica le recenti raccomandazioni del dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa: «Lasciare milioni di bambini di lavoratori migranti senza cure parentali è una violazione dei diritti umani»  intensificasse l’azione dell’UE per salvaguardare i diritti delle famiglie transnazionali, per creare da un lato nei paesi di origine dei flussi migratori opportunità di lavoro e sviluppo e nei paesi di arrivo, come il nostro, migliori condizioni di vita dei lavoratori che contemplino la possibilità di ricongiungimenti familiari. A partire da 2 agosto 2022, tutti gli Stati membri devono recepire la direttiva relativa all’equilibrio tra vita professionale e vita privata di genitori e prestatori di assistenza. Questi diritti si inquadrano nel  pilastro europeo dei diritti sociali e la loro istituzione costituisce un passo essenziale verso la costruzione di un’Unione dell’uguaglianza. Di questi diritti devono beneficiare tutti i lavoratori e lavoratrici in Italia, compresi quelli di origine straniera e le loro famiglie transnazionali.
Terzo settore
In Italia il no profit contribuisce per il 5% al PIL nazionale, occupa in forma retribuita 750.000 persone e 3.300.000 volontari. Il mondo del terzo settore rappresenta una forte e numerosa struttura sociale in Italia, un mondo giovane con un’età media di 40anni, iperqualificato (il 72% dei volontari è almeno laureato) e attivo nell’ offrire servizi, spesso essenziali, alla collettività. In un contesto storico nel quale i servizi erogati dal pubblico sono spesso inferiori alla domanda, e la qualità degli stessi non sempre risulta adeguata alle esigenze, il no profit si colloca come elemento che regge le mancanze del primo settore, offrendo aiuto concreto ai cittadini.
Creazione del Ministero del Terzo Settore;
Completamento il processo di attuazione della legge delega del 2016 ovvero del Codice del Terzo settore;
Garanzia di stabilità e certezza normativa in materia fiscale, inoltrando quanto prima la richiesta di autorizzazione alla Commissione europea per l’entrata in vigore del Titolo X del Codice;
Semplificazione delle procedure per il mantenimento dell’iscrizione al RUNTS;
Adozione di iniziative a livello europeo e legislative volte all’abrogazione della norma relativa al passaggio dal regime di esclusione IVA ad un regime di esenzione IVA per i servizi prestati e i beni ceduti dagli enti nei confronti dei propri soci;
Previsione di regimi di esclusione IRAP per gli ETS, in linea con quanto disposto dalla Legge di bilancio 2022 per alcuni comparti profit;
Aumento delle dotazioni finanziarie a favore dei CSV, fondamentali strutture in grado di erogare servizi di supporto tecnico e informativo per promuovere e rafforzare la presenza degli ETS presenti sul territorio;
Ricostituzione dell’Agenzia per il Terzo settore, soppressa nel 2012;
Intervento nell’ambito della disciplina dei rapporti tra PA e mondo no profit, da un lato in un’ottica di semplificazione della procedura amministrativa per la costituzione di accordi di co-progettazione tra ETS ed enti pubblici, dall’altro mediante la costituzione di strutture permanenti di impulso e coordinamento dell’amministrazione condivisa a livello regionale e territoriale.


17. L’ITALIA DELLA LEGALITÀ
Per noi la mafia è una montagna di merda, come ci ha insegnato Peppino Impastato.

Riteniamo un nostro nemico chiunque collabori con la criminalità organizzata, direttamente o in concorso esterno, anche fornendo quel supporto nella gestione degli affari economici e del riciclaggio indispensabile alla continuità dell’impresa mafiosa.

Sosteniamo la confisca dei beni della criminalità organizzata, che riteniamo debba essere ulteriormente facilitata, soprattutto nella parte che riguarda il loro possibile riutilizzo a finì sociali e collettivi.

Dobbiamo pensare ad affermare sempre più la legalità attraverso processi formativi ed educativi e prima ancora che per la propria sicurezza, per la propria dignità e per poter affermare la nostra libertà.

Dobbiamo rafforzare l’assetto legislativo e giudiziario ed accompagnare le autorità investigative nazionali e internazionali preposte, in modo da far sentire la presenza della legalità e della trasparenza in ogni ambito sia pubblico sia privato.

Dobbiamo lavorare senza sosta per una società che vuole essere libera, democratica, ordinata, solidale.

La repressione dell’illegalità deve anche essere il segno del mutamento radicale della mentalità che fa crescere il cittadino secondo la cultura del contrasto alle mafie, e quindi  al favoritismo ed all’arbitrio, all’omertà.

Riteniamo che particolare attenzione debba essere dato al fenomeno delle ecomafie.

D’altra parte, proprio la connessione fra criminalità organizzata e crimini ambientali è alla radice di tante situazioni tragiche nel nostro paese.

In particolare, crediamo si debba:

– Esplicitare e sensibilizzare in merito alla connessione tra il contrasto alla criminalità ambientale e la transizione ecologica: movimento terra, gestione illecita dei rifiuti, edilizia abusiva, lavorare in emergenza o in scadenza sono tutti settori in cui la criminalità organizzata impone la sua presenza tramite corruzione e violenza. Contrastare i cambiamenti climatici e lo sfruttamento delle risorse vuol dire anche contrastare la criminalità organizzata e tutti coloro che ci collaborano.

– Coinvolgere i cittadini, sia moltiplicando e facilitando l’accesso alle informazioni, sia sollecitando denunce e segnalazioni anche anonime. Responsabilizzare i cittadini rendendoli sentinelle del territorio.

o Legislazione

– Approvare delle leggi contro agromafie e saccheggio del patrimonio culturale, archeologico e artistico e introduzione nel Codice penale dei delitti contro gli animali.

– Istituire, in ogni Regione, Commissioni di inchiesta su ecomafia e ambiente (in particolare, gestione dei rifiuti). A livello nazionale, coordinare e potenziare – con competenze alte e specifiche – le Commissioni ambiente, ecomafia e antimafia.

– Integrare la normativa vigente in materia di scioglimento delle amministrazioni per infiltrazioni mafiose con la previsione di una rotazione automatica del personale anche con possibilità di trasferimento presso altri enti e di sostituzione con l’istituto della mobilità.

– Aggiornare a livello regionale ed uniformarla a livello nazionale la normativa relativa alle cave e al loro monitoraggio.

– A livello penale prevedere un rafforzamento delle misure cautelari del sequestro preventivo e della confisca al fine di assicurare un disincentivo immediato alla commissione di reati ambientali.

– Inserire i delitti ambientali previsti dal titolo VI-bis del Codice Penale e il delitto di incendio boschivo tra quelli per cui non scatta l’improcedibilità;

o Condivisione di dati

– Istituire un’Anagrafe pubblica dei rifiuti urbani speciali;

– Attivare un sistema di tracciamento GPS dei rifiuti;

– Sviluppare accordi con aziende specializzate con l’acquisizione di immagini satellitari per rilevare tempestivamente i movimenti terra sospetti;

– Prevedere la mappatura geolocalizzata degli impianti autorizzati di recupero, di trattamento e smaltimento e delle aree a rischio comprese le aree dismesse;

– Istituire sistemi di coordinamento e condivisione, a livello regionale e nazionale, delle banche dati istituzionali e giudiziarie in materia ambientale.

o Cooperazione e controlli

– Potenziare il personale di NOE e Guardie Forestali e rendere loro accessibili le banche dati sopra citate;

– Migliorare l’efficacia complessiva ed aumentare le azioni di controllo ambientale attraverso strutture operative che possano agire anche al di fuori dei confini regionali, in modo da contrastare più efficacemente il traffico illecito di rifiuti;

-spingere verso la creazione di una legislazione europea in materia di contrasto ai traffici illeciti di rifiuti, intensificare una cooperazione internazionale tra forze di polizia ed organi giudiziari, favorire lo scambio di informazioni e dati utili ad intercettare le nuove rotte dei traffici illeciti.

– Aumentare le pene dei reati ambientali e il periodo della prescrizione

– Implementare la disciplina di cui al d.lgs. 231/2001, con riferimento alla responsabilità penale di impresa in materia ambientale

– Creare una via preferenziale per la trattazione dei reati ambientali più gravi.

o Per i Comuni e gli Enti

– Istituire una polizza bancaria reale come garanzia economica a tutela della spesa pubblica;

– Istituire un Fondo di Garanzia per aiutare i Comuni e gli Enti ad affrontare le eventuali spese di bonifica;

– Ripristinare, se necessario con una modifica legislativa, la corretta attuazione da parte delle prefetture di quanto previsto dall’articolo 10-bis della legge 120/2020, che ne stabilisce il potere sostitutivo in tutti i casi, anche antecedenti all’approvazione della norma, di mancata esecuzione da parte dei comuni delle ordinanze di demolizione di immobili abusivi;

– Sostenere ed affiancare gli amministratori “illuminati” che si assumono la responsabilità e l’onere di smantellare apparati burocratici incancreniti o complici del malaffare. Esempio è la battaglia di EV Campania con l’incondizionato sostegno ai Commissari straordinari dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Napoli, per liberare l’ente da storiche infiltrazioni camorristiche padroni dell’ospedale, a partire dalla ingerenza sugli appalti, alla gestione abusiva del parcheggio e della pizzeria interna all’ospedale, a finire perfino alla gestione delle prenotazioni di visite ed analisi;

– Potenziare organico, poteri, competenze e trasparenza delle Agenzie per l’Ambiente, delle Province, mettendole in connessione con le ARPA;

– Estendere la qualifica di Polizia Giudiziaria ad un numero maggiore di personale;

– Prevedere uno scambio informativo tra Enti, Procure e Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;

– Sottoscrivere Patti di integrità, (Autorità Nazionale Anticorruzione), relativi alle procedure di gara finalizzate alla stipula di contratti pubblici.

Carceri
Cinque proposte di Antigone che facciamo nostre per ridurre il sovraffollamento e migliorare la qualità della vita delle persone detenute e degli operatori penitenziari

Va del tutto cambiata la legge sulle droghe, con i suoi eccessi repressivi. La legge Jervolino-Vassalli del 1990 è vecchia e inadeguata, produce solo repressione, carcere, sofferenze. Non ha ridotto i consumi Invece, così come hanno sperimentato altri paesi, bisogna dirigersi verso forme di legalizzazione delle droghe leggere, anche allo scopo di contrastare il predominio illegale delle mafie. Vanno ascoltati i giovani, i ragazzi, non criminalizzati. I dati più recenti dicono che un terzo detenuti è in carcere per avere violato la legge sulle droghe. Quasi il 40% di chi entra in carcere ha fatto uso di droghe. Numeri che evidenziano il fallimento della politica proibizionista.
La legge sull’immigrazione Bossi-Fini costringe tantissimi immigrati ad entrare forzatamente nel circolo vizioso dell’illegalità. Per questo va radicalmente cambiata. Le politiche di sicurezza si costruiscono su basi pragmatiche, utilizzando i dati statistici. Più favoriamo percorsi di integrazione meno devianza penale avremo. Non esiste un allarme criminalità straniera. Così come non esiste un allarme criminalità di strada. I numeri dicono che i reati sono in calo rispetto al periodo pre-pandemico. Per questo non si giustificano norme che diano poteri eccessivi a sindaci e polizia locale attraverso i Daspo urbani. Vanno vietati i taser, armi potenzialmente letali.
Va ridotto l’uso della custodia cautelare che produce circa un terzo della popolazione detenuta. È necessario investire maggiormente sulle misure alternative alla detenzione, piuttosto che sulla carcerazione. Circa 20 mila detenuti hanno da scontare meno di tre anni di pena. Le misure alternative sono meno costose e più sicure, in quanto, è statisticamente dimostrato, che chi ne usufruisce ha meno rischi di incorrere nelle recidiva.
Va adottato un nuovo regolamento penitenziario che preveda più possibilità di contatti telefonici e visivi, un maggiore uso delle tecnologie, un sistema disciplinare orientato al rispetto della dignità della persona, una riduzione dell’uso dell’isolamento, forme di prevenzione degli abusi, sorveglianza dinamica e molto altro. Un nuovo regolamento, efficace e in linea con l’attualità dei tempi, significa garantire tanti diritti alle persone detenute: dal diritto alla salute, al diritto ai contatti con i propri affetti, ai diritti delle minoranze (stranieri, donne), ai diritti lavorativi, educativi, religiosi. Tra le modifiche quella di consentire ai detenuti di chiamare tutti i giorni, o quando ne hanno desiderio, i propri cari. Le celle devono essere dotate di telefono come in altri paesi. L’attuale regolamento penitenziario prescrive 10 minuti a settimana per ciascun recluso. Deve esserci attenzione specifica ai bisogni delle donne detenute e dei detenuti Lgbtqi+
È necessario sostenere e gratificare il personale penitenziario, attraverso processi di formazione che non si fermino alla fase iniziale di impiego ma accompagnino l’operatore lungo l’intera sua attività lavorativa, e che abbiano tra i propri obiettivi quello di istruire in merito ai diritti umani e ai meccanismi di prevenzione delle loro violazioni, nonché ai percorsi di reinserimento sociale delle persone detenute. Una cultura delle forze di polizia penitenziaria improntata in questo senso, oltre ad apportare un beneficio all’intero sistema e a dargli un indirizzo più attento al trattamento in generale, eviterebbe inutili conflittualità spesso all’origine di rapporti disciplinari ostativi di benefici penitenziari e modalità alternative di espiazione della pena.


18. L’ITALIA DEL MANGIARE SANO


L’agricoltura industriale, l’allevamento intensivo e i sistemi alimentari sono tra i principali responsabili di emissioni di gas serra, inquinamento dei suoli, delle acque e dell’aria e di sfruttamento di esseri viventi. L’agricoltura da problema può e deve diventare parte della soluzione per affrontare la crisi climatica, ecologica e la perdita di biodiversità. Purtroppo la riforma della PAC – Politica Agricola Comune – per il periodo 2022-2027 mantiene un sistema di erogazione dei sussidi pubblici a beneficio di un modello agricolo industriale ed intensivo. Per questo motivo i Verdi e la Sinistra al Parlamento europeo hanno sempre criticato aspramente la riforma e votato contro l’accordo finale. Le nuove strategie della Commissione europea “Dal Campo alla Tavola” e “Biodiversità 2030” indicano però importanti passi nella direzione giusta, tra i quali la riduzione drastica dell’uso di pesticidi, fertilizzanti e antibiotici, maggiore spazio alla natura nei campi agricoli, aumento della superficie coltivata a biologico, misure che devono tradursi quanto prima in obiettivi vincolanti a livello europeo ed essere presenti nella revisione del Piano Strategico Nazionale per avviare una profonda e radicale conversione ecologica dell’agricoltura.

Una legge per fermare il consumo di suolo. A causa dell’agricoltura intensiva, urbanizzazione e la cementificazione, il suolo in Italia è costantemente minacciato e il consumo di questa risorsa preziosa viaggia alla velocità di circa 2 metri quadrati al secondo. Intendiamo arrestare il consumo di suolo e attuare un grande programma di difesa, contro frane e dissesti, mettendo il territorio in sicurezza, destinandovi una maggiore quota delle risorse del PNRR.

Un quinto del territorio nazionale è a rischio desertificazione. Il cambiamento climatico, con siccità prolungate alternate a intense precipitazioni e aumento repentino delle temperature, sta letteralmente divorando il territorio innescando processi come l’erosione delle coste, la diminuzione della sostanza organica dei terreni – anche a seguito di pratiche agricole intensive – e la salinizzazione delle acque. Per fronteggiare la siccitá proponiamo misure per tutelare questa risorsa preziosa, evitando sprechi, riducendo i consumi ed efficientandone l’uso attraverso misure quali: separazione delle reti fognarie da quelle per la raccolta dell’acqua piovana; utilizzo delle acque reflue depurate per usi agricoli e industriali, risparmiando sull’acqua destinata agli usi umani; adozione di un Piano operativo che tuteli il reticolo idrografico, attualmente sottoposto, in molte aree, a prelievi abusivi. Favorire l’agricoltura di precisione e l’agricoltura conservativa. Adozione di un approccio sinergico tra le misure volte alla riduzione del consumo di acqua e quelle di efficientamento energetico, in virtù della stretta correlazione che sussiste tra le due dimensioni (da un lato in ambito industriale si fa un grande uso di energia per estrarre, pompare, riscaldare, raffreddare, pulire e trattare l’acqua, dall’altra, la produzione di energia consuma immense quantità di acqua per scopi diversi come il raffreddamento, il riscaldamento, la pulizia o la produzione di energia idroelettrica. Risparmiare energia significa pertanto risparmiare acqua e viceversa); istituire una cabina di regia nazionale per l’emergenza idrica, al fine di monitorare costantemente lo stato di attuazione degli interventi di risanamento delle reti idriche; stoccare l’acqua nelle falde attraverso la ricarica controllata della falda, soluzione che determina un ventaglio ampio di benefici ecologici (falde più alte sono di sostegno a numerosi indispensabili habitat umidi, si previene la subsidenza indotta dall’abbassamento della falda, rilasciano lentamente acqua nel reticolo idrografico sostenendo le portate di magra, contrastano l’intrusione del cuneo salino) ed economici (i sistemi di ricarica controllata della falda costano in media 1,5€/m³ di capacità di infiltrazione annua, mentre per gli invasi i costi arrivano a 5-6€/m³ di volume invasabile). I sistemi di ricarica controllata consumano molto meno territorio ed è più facile individuare siti idonei.

Serve un ministero delle politiche alimentari. L’Alleanza Verdi Sinistra propone di passare gradualmente da una politica agricola a una “politica alimentare” che partendo da una politica agricola sostenibile sviluppi azioni per garantire la disponibilità di alimenti sani e salubri a fasce povere della popolazione.
Proponiamo un nuovo modello istituzionale di governance per l’agricoltura italiana. La riforma del Titolo V° della Costituzione ha assegnato alle Regioni il governo dell’agricoltura in Italia. Questa condizione pone il ministro dell’agricoltura in una condizione di debolezza istituzionale con una oggettiva difficoltà a sviluppare una qualsiasi politica che si voglia chiamare agricola. Per questo motivo AVS propone di riformare completamente il modello di governance sfruttando le indicazioni della Commissione che richiede una centralizzazione della gestione dei Piani di sviluppo rurale anche in quei Paesi (tra cui l’Italia) dove la gestione dell’agricoltura ha una struttura federale. In particolare, occorre riformare il funzionamento del “Tavolo Stato Regioni” dando poteri di intervento nuovi al ministro dell’agricoltura per poter svolgere una vera politica agricola, ambientale e alimentare per il Paese.

Riforma della filiera agricola
Proponiamo l’introduzione della Patente del Cibo per garantire che il cibo consumato sia prodotto nel rispetto dei diritti socio-lavorativi e della dignità di tutte le persone impegnate lungo la filiera del cibo (dai semi fino alla tavola) dell’ambiente (suolo e risorse idriche) e dei consumatori che hanno diritto ad un cibo biologicamente ed eticamente sano.

Un nuovo modello di filiera agricola. La volontà di sviluppare un modello produttivo agricolo più verde deve necessariamente considerare i) che i maggiori costi di produzione (o i minori redditi) non ricadano sugli anelli più deboli della filiera (gli agricoltori e i consumatori) e ii) evitare sprechi favorendo il riciclo e il riuso dei sottoprodotti in filiere alimentari interconnesse tra loro. L’obiettivo è di sviluppare azioni di governance delle filiere alimentari capaci di sostenere strategie di filiera e di innovazione tecnologica sostenibile a tutela delle aziende agricole, agroalimentari e dei consumatori. Per questo motivo AVS propone di completare e di varare una legge nazionale sull’Organizzazione Interprofessionale (OI) che dia slancio alle imprese della filiera rappresentate da Organizzazioni di Produttori (OP), dal lato dell’offerta, e da imprese industriali, dal lato della domanda. Questo strumento è già presente in molti Paesi UE (Francia, UK, Irlanda, Spagna, Grecia, Germania) ma non in Italia. L’interprofessione è il luogo della concertazione dove gli agenti “negoziano” le regole e l’introduzione di nuove tecnologie (tra cui quelle a tutela dell’ambiente e del benessere animale) tenendo in debito conto i costi di produzione e l’efficienza della filiera (da un punto di vista tecnologico, economico, organizzativo (es. la gestone degli sprechi) nei mercati nazionali e internazionali.


Biologico e filiera corta le nostre priorità. Proponiamo la nascita di modelli organizzativi innovativi e il rafforzamento delle filiere biologiche sul mercato locale. Uno dei maggiori limiti dell’agricoltura biologica e delle filiere corte (a km zero) è rappresentato dalla mancanza di strutture di governance capaci di concentrare l’offerta e sviluppare sinergie per la promozione dei prodotti in mercati (anche locali) fortemente aggressivi. L’obiettivo di AVS è di favorire la nascita di forme organizzative delle filiere alimentari biologiche (sotto forma di associazioni e di cooperative a forte contenuto sociale) capaci di concentrare l’offerta, favorire l’innovazione tecnologica, promuovere i prodotti e aumentare la competitività dei prodotti bio.


Mense pubbliche e private biologiche per tutte e tutti. Proponiamo la nascita di modelli di consumo virtuosi che promuovono l’acquisto di prodotti Bio a km zero in forma di procurement pubblico e privato. Questa politica nasce dal fatto che una parte consistente dei consumatori effettua il pasto principale fuori casa presso il luogo di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri e altro. Obiettivo di una politica alimentare (food policy) nazionale è garantire che anche fasce deboli della popolazione possano accedere a cibo di qualità (per le proprie caratteristiche intrinseche) favorendo al contempo le economie locali, soprattutto delle aree svantaggiate (es. la montagna). In presenza di strumenti di governo della filiera alimentare è possibile destinare parte del bilancio nazionale a sovvenzionare il consumo dei prodotti Bio e a KM-zero abbassandone il costo da parte delle imprese/istituzioni che devono distribuire cibo ai dipendenti o assistiti. Questo impegno finanziario è giustificato con i fini di questa politica: i) stimolare l’economia locale, ii) favorire la diffusione del biologico locale; iii) facilitare forme di governo delle filiere ma anche di sviluppo delle aree rurali, iv) facilitare l’accesso al cibo sano e salubre a fasce meno abbienti della popolazione.