Referendum, "l'astensione è diseducativa". E scoppia la bufera sulla Rai

Anche Cofferati, segretario della CGIL, e Francesco Rutelli invitarono all’astensionismo. Ma nessuno si sognò di definire la scelta dell’astensione come un atteggiamento vergognoso

di Vincenzo Caccioppoli
Politica

Referendum, "l'astensione è diseducativa". E scoppia la bufera sulla Rai

Se qualcuno a sinistra si lamentava del silenzio da parte della Rai, per compiacere chi inviata all’astensione sui referendum del 8 e 9 giugno prossimi, forse, dopo il singolare episodio accaduto ieri, potrebbe anche doversi ricredere.

Il conduttore di Rai 3, Renato D’ Emmanuele, giornalista Rai, nonché esponente del sindacato di sinistra Usigrai, ieri pomeriggio, mentre si discuteva del quesito referendario numero 3, che riguarda il ripristino dell'obbligo di indicare la causale per la stipula di contratti a tempo determinato, anche per periodi inferiori ai 12 mesi, rivolgendosi all'esponente di Fratelli d'Italia presente, la deputata Grazia Di Maggio, le ha testualmente chiesto se non considerasse diseducativo l'invito all’astensione per il referendum.

Una domanda parsa un po' provocatoria, a cui la Di Maggio ha replicato prontamente, dicendo di ritenere grave che il servizio pubblico possa definire diseducativo un diritto costituzionale, di cui si sono serviti, inoltre già molte cariche istituzionali, anche di sinistra, citando tra gli altri l’ex presidente della repubblica Giorgio Napolitano nel 2006, l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi e Giovanni Spadolini, quando era presidente del Senato.

L’esponente di Fdi ha poi proseguito, affermando invece di considerare diseducativo le offese di un esponente della CGIL verso Ignazio La Russa, seconda carica dello Stato, definito testualmente “bastardo”. Non ci voleva questa piccola caduta di stile, da parte del conduttore, in un momento in cui sale la tensione tra le forze politiche sulla legittimità o meno della scelta di invitare gli elettori all’astensione.

Il primo a farlo in maniera esplicita è stato forse il ministro degli Esteri Antonio Tajani, leader di Forza Italia. Dopo di lui lo hanno fatto anche esponenti di Lega ed ora anche di Fratelli d’Italia. Ma forse le dichiarazioni che hanno generato maggior clamore sono state quelle di Ignazio La Russa, presidente del Senato, che ha detto: “Farò propaganda affinché la gente se ne stia a casa”. 

In molti, a sinistra, hanno definito vergognose queste parole della seconda carica istituzionale dello Stato. La segretaria del Pd, Elly Schlein, si è spinta oltre, chiedendo le dimissioni di La Russa, appunto per le sue “parole gravi e vergognose”. Ma tutto questo si scontra appunto con i diritti previsti dall’istituto referendario, che tra le sue prerogative ha proprio la possibilità di optare anche per la forma dell’’astensione, così da far abbassare il quorum.

È rimasto celebre il famoso invito di Bettino Craxi nel 1991 ad andare al mare invece che votare per i referendum promossi da Mario Segni. Il quesito, in quel caso, era di per sé piuttosto tecnico: proponeva in sostanza di ridurre a 1 il numero di preferenze che si potevano esprimere sulla scheda elettorale alle elezioni politiche. Ma era in realtà una prima importante iniziativa per trasformare il sistema elettorale italiano da proporzionale a maggioritario. In quel caso il referendum fu un vero trionfo perché superò abbondantemente il quorum, con circa 29 milioni di persone che si recarono alle urne, ed il 95,6% di sì.

Ma anche Piero Fassino, Sergio Cofferati, segretario della CGIL, e Francesco Rutelli invitarono, in passato, all’astensionismo sui referendum. Ma in quei casi nessuno si sognò di definire la scelta dell’astensione come un atteggiamento vergognoso, e finanche, come ha fatto D’Emmanuele in Rai, diseducativo.

Il dubbio che filtra da Palazzo Chigi, che non si sarebbe ancora espresso in merito ai referendum, è che la sinistra stia utilizzando i referendum, non come uno strumento per riformare alcune leggi dello Stato, ma come mezzo per attaccare il governo. Anche perché, racconta una fonte di Palazzo Chigi, come dimostra l’episodio di ieri, non sembra proprio che il clima che si respira in Rai, sia quello della occupazione, manu militari, come qualcuno da tempo vorrebbe far credere. Da sempre per tutte le elezioni, si ragiona a Chigi vengono organizzate tribune politiche, così come sta avvenendo in questa occasione, che dà uguale spazio a chi è a favore e chi è contrario ai quesiti. Come in altre occasioni quindi l’accusa che viene mossa al governo di aver trasformato il servizio pubblico in tele meloni, viene considerata assolutamente fuori luogo.

Da Palazzo Chigi, quindi, filtra un certo fastidio per questa polemica, considerando come si consideri strumentale da parte delle opposizioni, che da tempo accusano il servizio di essere diventato un megafono del governo (fatto smentito dai dati di presenza di esponenti delle opposizioni che spesso sono superiori quelli della maggioranza.

“Altro che Tele Meloni, a vedere i dati e le di presenza e le trasmissioni Rai, a me sembra più Tele Pd, come sempre è stato negli ultimi dieci anni” dice una autorevole fonte della maggioranza. Ora questo nuovo episodio potrebbe certamente alimentare nuove polemiche, come se non bastassero quelle di queste ultime settimane.

Ma proprio questa caduta di stile da parte del conduttore Rai potrebbe avere un effetto boomerang proprio sul Pd, da tempo sul piede di guerra contro la Tv pubblica. Il fatto è che forse la Schlein, resasi conto della quasi impossibilità anche solo di avvicinarsi al quorum (ha detto che lei un successo sarebbe quello di portare 12 milioni di persone al voto, stranamente appena sotto alla quota che tutti i sondaggi danno sulla probabile affluenza alle urne), mette le mani avanti, adducendo ad alibi del fallimento il silenzio mediatico sui quesiti. 

Che è poi il pensiero che aleggia in gran parte della base riformista del partito, contraria a buona parte dei quesiti referendari, “tutte queste polemiche create dalla segretaria sui media e sull’astensione, mi sembrano pretestuose e sono forse il sintomo di un certo nervosismo di chi sente sulle spalle tutto il carico di un probabile fallimento dei referendum. Questo perché Giuseppe Conte, che è molto più stratega politico di lei, si sarebbe da tempo sfilato dai referendum, proprio per lasciare a lei la patata bollente”.

Voci che si rincorrono fuori e dentro al Pd, ma è chiaro che l’adesione così entusiasta della segretaria ai referendum di Maurizio Landini (che è ormai cosa risaputa non ha mai avuto un grande feeling con la segretaria del Pd) vuole essere una prova di forza contro la base riformista del partito e anche magari contro le velleità di leadership del centro sinistra proprio di Conte. Ed è alla luce di ciò che, in caso di secca sconfitta dei referendum, quella che rischia di più sarebbe proprio Elly, che ormai sia dentro al partito che fuori, sembra avere molti più nemici che amici. E ciò non sarebbe un buon viatico nemmeno per le prossime regionali, previste ad autunno, dove dovrà fare i conti in Campania con il riottoso De Luca, e anche nelle Marche con la decisione di andare con la destra presa di gran parte di “base popolare” la formazione dell’ex governatore di sinistra della Regione, Gian Maria Spacca.

Ed è proprio per queste ragioni, che molti all’interno della maggioranza hanno reagito con un mezzo sorriso all'articolo del Corriere della sera, di qualche giorno fa, a firma di Fabrizio Roncone, sulla ipotesi che il Pd stia già facendo il toto ministri, in vista di una vittoria alle prossime elezioni. Con questi chiari di luna, all’interno delle opposizioni, quella di Roncone rischia davvero di avere il valore di una pura e semplice provocazione.

Tags: