Referendum, Bonaccini non si schiera. Minoranza Pd in fermento, Schlein pronta alla resa dei conti. Cresce l'ipotesi scissione

Affluenza non oltre il 35%? Caos. Draghi premier: il piano

Di Alberto Maggi

Stefano Bonaccini e Elly Schelin

Politica

Schlein parla di Pd compatto sui referendum, ma non è così

All'indomani del successo indubbio e netto alle elezioni comunali, nel Pd non sono solo rose ma anche spine. In particolare in vista dei referendum su lavoro e cittadinanza dell'8 e 9 giugno che continuano a divedere non solo le opposizioni ma anche e soprattutto il principale partito di minoranza in Parlamento.

C'è infatti tensione nella minoranza moderata, riformista, liberale e cattolica del Partito Democratico. "A votare si deve andare sempre, dunque anche ai prossimi referendum dell'8 e 9 giugno. C'è gente che ha dato la vita (abbiamo appena festeggiato lo scorso 25 aprile l'ottantesimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo) per restituirci libertà, pace e democrazia, dunque anche il diritto di voto. Guai a permettere che siano altri a decidere per noi. Tutti alle urne!". Lo ha scritto sui social l'eurodeputato Stefano Bonaccini, presidente del Pd, definendo una "fake news idiota per seminare zizzania" un post in cui è scritto che la sua corrente Dem, Energia popolare, è orientata a non votare.

Peccato che l'ex presidente della regione Emilia Romagna non dica come voterà tra due settimane. E soprattutto non svela se si schiererà dalla parte della segretaria Elly Schlein che, evidentemente ignorando o facendo apposta a ignorare il NO di molti esponenti della minoranza Pd, ha parlato di un partito compatto per cinque SI' e che il quorum è addirittura alla portata, quando tutti i sondaggi indicano il raggiungimento del 50% più di votanti una sorta di miraggio-miracolo. Tesi, quella di Schlein, rilanciata proprio oggi con forza dal suo fedelissimo Antonio Misiani, responsabile economico Dem, che ha esplicitamente parlato della "sinistra che non può vivacchiare" perché "serve coraggio e radicalità" parlando dei "5 SI' coerenti del Pd di Schlein".

Le parole di Bonaccini, di fatto, certificano ancora una volta la spaccatura nella principale forza di opposizione e persino una divisione nella sua minoranza interna. Lorenzo Guerini, Pina Picierno, Giorgio Gori, Filippo Sensi, Alessandro Alfieri, Lia Quartapelle, Graziano Delrio, Pierfrancesco Maran e Marianna Madia - solo per citare i nomi più famosi - hanno già annunciato che voteranno SI' al referendum sulla cittadinanza per gli stranieri ma almeno due NO a quelli sul lavoro della Cgil, sicuramenti ai due sul Jobs Act e in molti casi i No saranno tre e l'unico SI' potrebbe essere su quelli che regola appalti e subappalti.

Che farà Bonaccini che del Pd è presidente ma della minoranza è leader? Invita a votare, certo, ma anche gli altri big hanno detto che andranno alle urne specificando il loro alla cancellazione della riforma renziana, cioè dello stesso Pd, delle normative sul lavoro. E in molti, anche se avere una conferma ufficiale è impossibile, ipotizzano che come Guerini & Cp. faranno anche altri big del calibro degli ex premier Romano Prodi e Paolo Gentiloni, dell'ex direttore dell'Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini e anche di Piero Fassino, ultimo segretario dei Ds. Incognita totale su che cosa farà Dario Franceschini, anche se in molti scommettono che anche da lui non arriveranno cinque SI'.

A questo punto la battaglia per l'affluenza diventa davvero chiave perché se non andasse oltre il 30 massimo 35%, un flop clamoroso, si aprirebbe un durissimo scontro nel Pd. Schlein contro la minoranza e i riformisti contro la segretaria che avrebbe portato il Pd a sbattere inseguendo Maurizio Landini e la sinistra-sinistra dell'articolo 18 smentendo la stessa storia recente del Pd. Il tutto con Bonaccini, presidente del partito, in mezzo. A quel punto l'ex presidente dell'Emilia Romagna e ora eurodeputato dovrà scegliere se stare con Schlein o fare a tutti gli effetti il leader dell'opposizione interna.

Altrimenti altri nomi sono pronti a prendere le redini della minoranza, Guerini (ma anche Picierno) in testa. Con l'obiettivo Gentiloni o Ruffini segretario e candidato premier. Sempre che non si arrivi a una clamorosa scissione di una buona parte di riformisti, liberali, cattolici e moderati verso Carlo Calenda e a quel punto Azione diventerebbe un contenitore, un rassemblement centrista per costruire un terzo polo che punti sulla disgregazione dei due schieramenti (Calenda non si alleerà mai né con Giuseppe Conte né con Matteo Salvini) per riportare, questo è il grande progetto che piace moltissimo a Bruxelles e ai mercati finanziari, Mario Draghi a Palazzo Chigi.

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