Riforma della giustizia, la solita guerra di religione

La solita partita a ping pong ideologica dove il pallone è sempre lo stesso

di Simone Rosti 
Politica

Riforma della giustizia: la solita guerra di religione

Puntuale come un orologio svizzero, la politica italiana ha riaperto l’ennesimo fronte di guerra: la riforma della giustizia. Bastano poche parole – “separazione delle carriere”, “nomine del Csm” – e subito scatta il riflesso pavloviano.

Il centrodestra, che ha promosso la riforma, esulta e promette finalmente “giustizia per i cittadini”, la sinistra grida al golpe giudiziario, alla “fine dello Stato di diritto”. Sempre la stessa storia, da trent’anni. Ogni riforma viene presentata come una rivoluzione e liquidata dagli avversari come un attentato alla democrazia.

Nessuno, però, si prende la briga di spiegarla davvero, di affrontarne i nodi, di dire cosa cambierebbe concretamente per chi aspetta un processo da dieci anni o per chi non riesce a far rispettare una sentenza. Si parla di giustizia, ma in realtà si parla solo di potere e bandierine da piantare. Questa volta la maggioranza vuole introdurre la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri (che in parte esiste già con la riforma Cartabia) e subito si sente l’eco della propaganda: da una parte chi urla al “ritorno del controllo politico sulla magistratura”, dall’altra chi invoca la “fine del protagonismo delle toghe”.

La solita partita a ping pong ideologica dove il pallone è sempre lo stesso: la fiducia dei cittadini, ormai consumata. Nel frattempo, la giustizia vera continua a essere un labirinto. Tribunali sotto organico, udienze rinviate per mancanza di personale, fascicoli che si perdono nei corridoi. Ma di questo nessuno discute.

Troppo concreto, troppo poco utile per i talk show. Meglio restare nel mondo dei principi, dei “valori”, delle dichiarazioni solenni davanti alle telecamere. E così il copione si ripete: chi governa promette efficienza, chi sta all’opposizione difende la Costituzione, tutti fingono di sapere di cosa parlano. Poi, come sempre, le riforme si impantanano, si svuotano e sono bocciate da referendum che diventano competizioni squisitamente politiche con crescente disaffezione dei cittadini dalle urne e con i politici che si interrogano, con aria sorpresa, sul perché nessuno vada più a votare.

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