Volano ancora gli stracci nel Pd: caos alla vigilia delle Regionali, parte la sfiducia a Bonaccini

La base riformista sfiducia Bonaccini e si prepara allo scontro con la segreteria. Gentiloni si smarca, Franceschini gela la corsa dei moderati. E mentre la Schlein si blinda, il partito torna nel caos eterno delle sue divisioni

di Vincenzo Caccioppoli
Stefano Bonaccini e Elly Schlein
Politica

Volano ancora gli stracci nel Pd: i riformisti mollano Bonaccini e preparano la resa dei conti

Dopo un relativo periodo di quiete apparente, all’interno del Pd, ora la situazione sembra poter volgere al peggio, da quando la base riformista del partito ha deciso, a sorpresa (ma forse nemmeno troppo) di voler sfiduciare quello che era considerato uno dei suoi leader, il presidente Stefano Bonaccini. La goccia che ha fatto traboccare il vaso tra riformisti e il loro “ex leader” Bonaccini, sarebbe stata la decisione di convocazione della direzione del partito, firmata appunto dallo stesso presidente del partito, per il 23 settembre, senza consultare la corrente e a pochi giorni dalle elezioni regionali.

Una mossa che è stata letta subito come un gesto di eccessivo allineamento con la segreteria. Il sospetto, tra i riformisti, è che lui non li rappresenti più (sempre ammesso che l’abbia mai veramente fatto). E ora, si parla apertamente di una possibile mozione di sfiducia nei suoi confronti. L’eurodeputato dem da tempo veniva accusato di essersi appiattito ormai sulle posizioni della segretaria.

Come dimostrerebbe anche quanto accaduto con la candidatura in Puglia, per esempio. Si racconta che lui sarebbe stato decisivo, alla fine, nel convincere (controvoglia) Antonio Decaro a candidarsi alle regionali della Puglia, togliendo le castagne dal fuoco ad una segretaria che era in evidente difficoltà con i propri alleati. Chi conosce bene le dinamiche del partito, vocifera che addirittura esisterebbe un accordo tra i due per dividere i riformisti, sterilizzando la loro montante protesta.

Chissà, ma quel che è certo è che le posizioni tra lui e la segretaria da almeno un anno si sono assai avvicinate. “Bonaccini è sostanzialmente un uomo senza carattere. È bravo, intelligente, ma come disse Berlusconi per Alfano gli manca quel quid. Dopo avere perso le primarie non è stato assolutamente in grado di guidare un minimo di opposizione a quella che sta diventando una deriva del partito verso le posizioni massimaliste dei cinque stelle. Quello che sta accadendo non può più essere tollerato da un partito che dovrebbe guidare l’opposizione e non subirla come sta facendo nei confronti di chi ha la metà dei voti. E adesso anche verso chi, come Avs, addirittura il terzo dei tuoi voti.” Dice un deputato di vecchio corso dell’ala riformista.

Insomma, la stella di Bonaccini, sempre ammesso che sia mai nata, sembra ormai sul viale del tramonto. Ma ciò non vuol certo dire che la critica alla line apolitica del Pd sia meno forte, anzi. Pina Picierno, Lorenzo Guerini. Silvana Malpezzi, Filippo Sensi, Graziano Delrio, Giorgio Gori, Marianna Madia e Lia Quartapelle guidano una sempre più nutrita schiera di voci critiche, sia dentro il Pd che fuori. E al loro fianco possono vantare presenze importanti ed ingombranti, come Romano Prodi, il grande vecchio padre della esperienza dell’Ulivo, e le cui parole continuano ad avere peso presso l’establishment di sinistra, da tempo critico verso la linea politica intrapresa dal partito. Poi è stata la volta di Luciano Violante, che qualche giorno fa, ha detto che “questa non è la mia sinistra”.

Ed ora last but not least, arriva Paolo Gentiloni, che ha lanciato un attacco diretto, forse per la prima volta, non solo al Pd, ma a tutta l’opposizione: “Le opposizioni hanno da fare moltissimi passi in avanti per guadagnare la credibilità per poter essere un’alternativa”, una frase che avrebbe fatto letteralmente sobbalzare dalla sedia la Schlein e che ad alcuni ha fatto balenare il sogno che lui possa finalmente scendere in campo a guidare la fronda interna alla segretaria.

E sarebbe forse la mossa del cavallo per i riformisti, dal momento che tutte le opzioni di potenziali leader moderati, messi in campo fino a questo momento, sembrano non convincere troppo. Di Bonaccini si è già detto, mentre Ernesto Maria Ruffini, l’ex direttore dell’agenzia delle entrate, ha ricevuto un de profundis da Dario Franceschini, che ha bocciato l’opzione del moderato alla guida dell’opposizione. 

Ma qualcuno come Renzi non crede a questa tesi e vorrebbe provare a tentare la carta della novità con Silvia Salis (o magari quella dell’usato garantito di Roberto Gualtieri), ma certo è che uno come Gentiloni metterebbe d’accordo quasi tutti. Chi lo conosce bene dice che lui per ora non avrebbe nessuna intenzione di affrontare un “duello” con la Schlein (il suo vero obiettivo sarebbe il Quirinale, e per questo vorrebbe spronare il Pd a trovare una soluzione vincente per la prossima legislatura, che è quella che eleggerà il nuovo inquilino del Colle).

“Gentiloni non ha nessuna intenzione di fare il segretario e men che meno nuovamente il presidente del Consiglio. Lui aspirerebbe al Quirinale ed è a questo che sta lavorando, in sordina, da mesi. In cuor suo ha capito che con la Schlein rischia di sfumare questo suo sogno, comunque assai difficile da realizzare. Ma non dimentichiamo che lui ha ottimi rapporti sia con Conte che con pezzi di Forza Italia.” dice un esponente di spicco di Italia Viva. 

I riformisti, invece, chiedono semplicemente più spazio politico all’interno del Pd e contestano l’eccessiva centralizzazione delle decisioni attorno a Elly Schlein e al suo gruppo più ristretto, e rivendicano un metodo più collegiale e inclusivo. Sul piano politico spingono per una linea più pragmatica e meno ideologica, soprattutto su temi chiave come economia, sicurezza, Europa e politica estera. “Dopo le Regionali nel Pd, sarà quasi inevitabile un serio confronto tra le diverse anime del partito, soprattutto se, come sembra, le Marche resteranno al centrodestra, così come la Calabria.

E in quel momento si vedrà se potrà emergere una figura in grado di guidare la fronda interna. Per ora è tutto congelato, ma se fosse nella Schlein io non sarei per niente serena” scherza un esponente dei riformisti. Chi conosce bene le dinamiche del Pd racconta che anche nell’intervista di Dario Franceschini a Repubblica, della settimana scorsa, si poteva leggere una sorta di de profundis (anche se molto tra le righe, nel pure stile ermetico della vecchia scuola Dc, da cui lui proviene) per la Schlein. Insomma, parafrasando il grande Mao si potrebbe chiosare “Grande è la confusione sotto il cielo del Pd”. Mao si riferiva al caos della società cinese, all’inizio degli anni Sessanta, che avrebbe favorito il suo moto rivoluzionario.

Mentre qui ci si riferisce al solito caos di un partito che da almeno dieci anni, dopo esperienza poi fallita di Matteo Renzi, non riesce a scrollarsi di dosso le sue contraddizioni e le sue divisioni interne, e non è in grado di trovare un leader autorevole che possa riunire le diverse anime del partito, intorno ad un progetto comune. Casualmente si tratta proprio di quello che, invece, è riuscito molto bene a destra dello schieramento politico, e non da adesso.

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