Gustizia, analisi ai raggi x al commento di Zagrebelsky (di cui mi fido poco)

Di Gianni Pardo
Politica
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Di solito non leggo gli articoli di Vladimiro Zagrebelsky, per due motivi (e forse mi dovrei vergognare di tutti e due): perché è dichiaratamente di sinistra, e poco mi fido; e perché è un (ex?) magistrato. A me piacerebbe che i magistrati stessero zitti, finché in attività di servizio. Come Nicola Gratteri. Stavolta invece, trattandosi della riforma della giustizia, ed avendo io stima, se non della serenità di giudizio, almeno della competenza dei magistrati, ho voluto vedere che cosa ne pensasse un noto giurista come Zagrebelsky. Sono stato ricompensato. Quest'uomo scrive bene e non è affatto uno stupido. Dice anche molte cose esatte e plausibili, e il suo articolo mi è piaciuto. Dire però che mi abbia convinto sarebbe interamente falso.

Immaginiamo che un Paese sia attraversato da un grande fiume e che le comunicazioni fra le due sponde ne risultino talmente difficili da impoverire l'intera popolazione. I cittadini pongono il problema a un grande ingegnere e questi risponde presentando il progetto di un ponte strallato che è una meraviglia. Il manufatto risolve definitivamente tutti i problemi di quella nazione. Ha un solo inconveniente: quella nazione non ha affatto i mezzi per permetterselo. L'ingegnere non ha tenuto conto della possibilità concreta di realizzarlo. E così il contesto rende il suo progetto futile. Zagrebelsky ha fatto lo stesso. Dice un bel po' di cose giuste, senza però tenere conto della realtà. Si lamenta della fretta con la quale ha agito il governo e dimentica che la fretta è determinata dalla necessità di adempiere le condizioni imposte dall'Europa per la concessione dei prestiti. È come se ci si lamentasse dell'insistenza con cui un malato in preda ad una crisi di colica renale invoca un analgesico.

Il giurista depreca poi, non senza ragione, il fatto che sia mancata la pubblicità "che connota il processo legislativo in Parlamento". Ed ha ragione, questa pubblicità non c'è stata. Ma non c'è stata dopo che lo stesso Parlamento, pur riconoscendone la necessità, non ha attuato una riforma dell'Amministrazione della Giustizia nemmeno nel corso di sette decenni. Quando contava di occuparsene, nel Tremila? Con questa fretta, scrive Zagrebelsky, si è avuta una forzatura. Ed anche questo è vero. Ma chi lo afferma dimentica che questa forzatura somiglia a quella che potrebbero attuare i pompieri, sfondando una porta d'ingresso, per andare a salvare un'anziana paralitica. Una porta demolita e un'anziana salvata, o una porta intatta e un'anziana morta? Zagrebelsky sembra allergico a considerare il contesto.

Di analogo tenore è la critica generale secondo cui il governo avrebbe potuto ascoltare una folla di grandi competenti, e tenere conto delle loro opinioni: "Non siamo nel deserto delle idee". E qui il giurista inanella tutta una serie di rimostranze, dimenticando che gli abitanti del nostro immaginario Paese avrebbero preferito la progettazione di un ponte di barche o un ponte sospeso tibetano, realizzabili, ad un ponte meraviglioso che non potevano realizzare. Addirittura nelle parole di Zagrebelsky si coglie qualche accento di dolente lesa maestà. "Nessuna delle osservazioni, degli argomenti critici, degli allarmi lanciati da istituzioni e da singoli esperti (da ultimo, il parere espresso dal Consiglio superiore della magistratura e l'intervento di quattro autorevoli processualisti) ha trovato riscontro", scrive Zagrebelsky. "Non dico accoglimento, ma segno di attenzione e magari un principio di risposta, per dire che le critiche non sono fondate". Ma non ha pensato che, ascoltandoli, si sarebbe giunti agli stessi risultati di tutti gli scorsi decenni? La storia del nodo gordiano dimostra la saggezza dei greci che già allora sapevano che alcuni problemi si risolvono con la pazienza, altri con la spada.

Poi Zagrebelsky critica la riforma sostenendo che lo Stato ha il dovere, una volta cominciato un processo, di portarlo a termine. E questa osservazione costituisce una scorrettezza. Non si può citare la metà di un principio, dimenticando l'altra metà. È vero, "dalla nostra Costituzione si trae il diritto degli imputati a vedersi assolti o condannati, dopo che lo Stato ha iniziato nei loro confronti un processo penale", ma la stessa Costituzione impone allo Stato, dopo che ha dato inizio ad un processo penale, di fargli avere una durata ragionevole. E infatti la riforma Cartabia non si occupa del diritto del cittadino all'assoluzione o alla condanna, ma del diritto del cittadino di avere l'una o l'altra in un tempo ragionevole.

Infine Zagrebelsky ritiene che bisognerebbe "far sì che le entrate nel circuito processuale siano tali e tante da consentire la loro conclusione". "Far sì" è una bella espressione che, purtroppo, prescinde anch'essa dal contesto. Indica lo scopo da raggiungere ma nulla dice né sulla possibilità, né sul modo di raggiungerlo. Solo il Papa può permettersi di dire che "bisognerebbe far sì che nessuno soffra la fame, nel mondo". Quando si parla seriamente, bisogna commisurare i moniti alle possibilità del destinatario.