Ex-Ilva, Mazzarano: 'Lo Stato torni a fare lo Stato e nazionalizzi'

Il Calvario per l'Ex-ILVA di Taranto non finisce mai. Acciaierie d'Italia, in Amministrazione straordinaria, prospetta la richiesta di cassa integrazione per 4.046 lavoratori.

EX ILVA, MANIFESTAZIONE DI PROTESTA A TARANTO PER IL RISCHIO DI CHIUSURA
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Il Calvario per l'Ex-ILVA di Taranto non finisce mai. Acciaierie d'Italia in As al momento ha prospettato la richiesta di cassa integrazione per 4.046 lavoratori in tutti i siti del gruppo dopo il sequestro dell'Altoforno1, che ha portato al dimezzamento della produzione.

Dalle varie note diffuse, si evince che il piano di sospensioni è così ripartito: 3.538 a Taranto, 178 a Genova, 163 a Novi Ligure, 26 a Marghera, 10 a Legnaro, 36 a Milano (uffici), 15 a Paderno, 20 a Salerno e 15 nella società collegata Taranto Energia. Ma i sindacati paventano un ulteriore aumento di questi numeri. 

Avviate le attività di spegnimento della batteria 9 del reparto Cokerie e dalla settimana prossima ci sarà la fermata completa della stessa: tutto il personale sarà collocato in cassa integrazione. "Siamo preoccupati e stanchi di essere usati come bancomat", commenta in preda allo sconforto Piero, di 46 anni, operaio del reparto Grf dell'ex Ilva di Taranto, anche perché teme che la situazione dello stabilimento possa "ulteriormente precipitare".


 

"In questi ultimi anni - afferma - hanno pensato a fare assunzioni di dirigenti e direttori a go go mentre si continuava a prorogare la cassa integrazione. Oggi diciamo basta. Siamo stanchi e temiamo di essere arrivati al capolinea. Vogliamo una soluzione definitiva e chiediamo al governo di prendere realmente in mano le redini del azienda, pretendiamo il risarcimento con strumenti straordinari, prepensionamenti e legge speciale per Taranto".

Qui, osserva l'operaio, "Si vive con la paura di non tornare a casa per il rischio incidenti sul lavoro e non intravediamo un futuro. Invito tutti i lavoratori a fare gruppo e pretendere tutele, è arrivato il momento, il giocattolo si è rotto".

C'è chi sostiene che "In un paese normale, il ministro Urso dopo le dichiarazioni sui ritardi nelle autorizzazioni alla messa in sicurezza dell'Afo1 e la risposta a mezzo stampa della magistratura, si dovrebbe dimettere. Invece, si continua a giocare sulla e con la pelle dei lavoratori e dei cittadini di Taranto".


 

Altri lamentano "L'incertezza anche per le dichiarazioni dello stesso ministro Urso, per il quale Taranto potrebbe essere una futura Bagnoli. In questo momento bisogna capire lo Stato come interverrà nei nostri confronti". 

Sul caso interviene il Presidente della Commissione Ambiente della Regione Puglia, Michele Mazzarano, prendendo atto del provvedimento della Procura di Taranto che, a seguito dell'ultimo incidente ha deciso il provvedimento di sequestro di Afo 1.

"Il ministro Urso deve prendere atto che anche l'ultimo tentativo di affidare l'ex Ilva in gestione ad un privato è fallito. È arrivato il momento per il governo di stabilire se l'acciaio è settore strategico nazionale e, all'interno di una nuova programmazione industriale, di nazionalizzare la fabbrica".


 
"La frenata del consorzio azero interessato alla fabbrica è una doccia gelata - continua Mazzarano - che ricade sulla pelle di migliaia di lavoratori e sulle aziende tarantine dell'indotto. E tuttavia rafforza l'idea che non ci sono altre vie d'uscita per la fabbrica se non la nazionalizzazione". 

"Lo Stato torni a fare lo Stato - conclude Mazzarano - la vertenza Ilva si trascina tra tentativi di privatizzazione ed aule di Tribunale da troppi anni. È arrivato il momento di mettere in sicurezza lavoro, fabbrica e ambiente, Taranto merita di essere risarcita per quanto ha pagato anche in termini di vite umane".

(gelormini@gmail.com)

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