La meritocrazia secondo il minitro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara
L’attuazione della meritocrazia secondo il Ministro dell'Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara.
di Dario Patruno
In che cosa consiste il principio meritocratico? Concezione della società in base alla quale le responsabilità direttive, e specialmente le cariche pubbliche, dovrebbero essere affidate ai più meritevoli, ossia a coloro che mostrano di possedere in maggiore misura intelligenza e capacità naturali, oltreché impegnarsi e riuscire produttivi nello studio e nel lavoro. Nella nostra Costituzione l’art.34, al terzo comma recita “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”.
Questo articolo, citato dal Ministro Valditara nella sua pubblicazione “La rivoluzione del buon senso Per un paese normale” edito da Guerini e Associati, presentata a Bari, in cui dedica un intero paragrafo a “Il rifiuto del merito e della competizione”, serve a smontare questo teorema, a suo dire, da parte della sinistra “massimalista".
Come il Ministro ha attuato la meritocrazia? Quando si tratta di selezionare la classe docente ci si affida a quiz, molte volte sbagliati, preparati da un’unica università (https://www.orizzontescuola.it/concorso-pnrr-3-scatta-il-conto-alla-rovescia-universita-roma-tre-incaricata-di-redigere-2-250-quesiti-consegna-entro-il-31-ottobre-2025-affidamento-da-oltre-100mila-euro) non verificati da alcuna entità terza e le Commissioni non risultano, a prove scritte in corso di esplicazione, neanche nominate.
Chi mi dice che i docenti che hanno preparato i quiz pronti non li abbiano passati a futuri candidati? Certo non ho le prove di quanto affermo, altrimenti mi sarei rivolto ad altri organi, ma come diceva Giulio Andreotti: “A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si indovina”. In realtà fu lo stesso politico ad avere ammesso di averla sentita per la prima volta nel 1939 dal cardinale Francesco Marchetti Selvaggiani, Vicario di Roma. Il cardinale a sua volta citava colui a cui va attribuita la paternità della frase: papa Pio XI (Achille Ratti), che la espresse nella forma: “A pensar male del prossimo si fa peccato, ma si indovina”.
Come si disinnescano questi sospetti? Attraverso percorsi diversi che abbiano come obiettivo di immettere in ruolo il maggior numero di docenti precari che da anni continuano a sostenere prove, come il doppio canale, già auspicato da alcuni sindacalisti e persino dal responsabile scuola della Lega Mario Pittoni.
Infatti questi candidati superano le prove, ma non viene riconosciuta la loro idoneità. Nei quiz non valutano la loro capacità di insegnare su materie specifiche e altamente specialistiche ma su nozioni generiche quali pedagogia, psicopedagogia e didattica-metodologia (incluse inclusione e valutazione), oltre a competenze digitali e lingua inglese livello B2,psicologiche, pedagogiche, che non valutano alcunchè.
Detto così significa tutto e niente. Già cominciano ad essere individuati errori nelle domande (https://torinocronaca.it/news/cronaca/581455/concorso-pnrr-3-errori-nei-quesiti-della-prova-scritta.html) che rimetterebbero in discussione i punteggi attribuiti nelle prove scritte.
Siamo seri. “Il Governo di cambiamento” deve vedersi e i cittadini lo devono apprezzare per la capacità di incidere nella propria vita. Ebbene non ha affatto innovato i criteri di selezione dei docenti. Aumentare i concorsi non significa diminuire il precariato. Infatti questi aumentano, al 24 settembre risultano 182.641 docenti con contratto a termine.
Se facciamo il paragone con le cifre dell’ILVA che annovera in un prossimo futuro, ormai ventimila posti di lavoro a rischio, ci rendiamo conto che la massa dei docenti fin troppo educati nel rivendicare un posto di lavoro, è di nove volte superiore.
La pazienza anche di queste classi di lavoratori di alta professionalità si sta esaurendo e le armi dello sciopero non sono più sufficienti. Neanche il voto viene ritenuto un modo civile per cambiare, visto che ormai sei cittadini su dieci non si recano più alle urne. E quindi cosa resta? Una riflessione s’impone e soluzioni rapide.
Andare dietro al buon senso o al senso comune? Viene alla mente quel passo del capitolo XXXII de I Promessi Sposi nel quale si afferma: “Ho trovato gente savia in Milano,” dice il buon Muratori, nel luogo sopraccitato, “che aveva buone relazioni dai loro maggiori, e non era molto persuasa che fosse vero il fatto di quegli unti velenosi.” Si vede ch’era uno sfogo segreto della verità, una confidenza domestica: il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune”.
Mi consenta Ministro, la Sua non è la rivoluzione del Buon Senso, ma l’assuefarsi al senso comune, lo stesso che portò i milanesi a credere che la peste fosse opera degli untori. Quindi moltiplicando i concorsi si fa credere ai precari, illudendoli che ci saranno speranze. Sono illusioni.
Quindi se vuole dare attuazione al Merito, nell’arco del prossimo anno, immetta in ruolo tutti i precari che da troppi anni aspettano questo atto di giustizia e verità, che hanno superato concorsi in passato e che hanno diritto a vivere in pace, incrementando la loro voglia di creare famiglia, come recita il motto della componente politica cui appartiene: Dio, patria e famiglia. E forse si renderà conto che neanche Dio vedendo questa realtà la vuole.
Realizziamo veramente una svolta culturale come intitola il capitolo 3 del suo scritto, “La rivoluzione del buon senso”, diamo “il primato della persona sullo Stato”(pp.67-71), non come concetto astratto ma avendo presente i volti e le storie dei docenti, spesso padri e madri di famiglia, persone in carne e ossa che continuano a loro spese a spostarsi per insegnare lontano da casa. E’ venuto il momento della credibilità delle azioni e non della enunciazione dei principi.