Referendum, l'incubo del quorum agita il Pd. Se non si arriva al 30% rischio altissimo di scissione. Ecco chi è pronto a lasciare
E il pensiero tornata alla sconfitta di Renzi nel 2016....
Un'affluenza alle urne sotto il 30%, possibile anche se non probabile, scatenerebbe un terremoto nel Pd
Si avvicina l'appuntamento dei referendum dell'8-9 giugno 2025 sulla cittadinanza e soprattutto sul lavoro, in particolare sui due principali che chiedono di cancellare il Jobs Act renziano. E in molti nel Partito Democratico, fonti vicinissime alla segretaria Elly Schlein, ricordano quando nel 2016 Pierluigi Bersani, Roberto Speranza, Nico Stumpo e gli altri Dem che lasciarono il Nazareno per dar vita ad Articolo 1-Mdp, salvo poi rientrare, brindarono nel 2016 per la bocciatura sonora del referendum istituzionale confermativo della riforma costituzionale dell'ex premier, ex segretario dei Dem e attuale leader di Italia Viva.
In molti oggi nel Pd di Schlein immaginano una scena simile pensando alle dichiarazioni di big moderati, riformisti e liberali come Lorenzo Guerini, Pina Picierno e Giorgio Gori (e tanti altri) che hanno dichiarato che non voteranno i due referendum chiave per l'eliminazione del Jobs Act renziano. Uno scenario al contrario questa volta, visto che si tratta di referendum abrogativi, ma che già scatena il dibattito interno e sottotraccia nel principale partito di opposizione. E' del tutto evidente che il quorum l'8 e il 9 giugno non verrà raggiunto, salvo miracoli, ma un'affluenza alle urne sotto il 30%, possibile anche se non probabile, scatenerebbe un terremoto nel Pd.
Oltre alle accuse di boicottaggio al Centrodestra e a TeleMeloni, cioè la Rai, Schlein è pronta ad addossare gran parte della responsabilità del flop referendario alla minoranza interna che ha dato libertà di voto o addirittura ha detto di non votare i due referendum chiave della Cgil. Tutto ciò potrebbe scatenare una reazione a catena, un effetto domino all'interno della prima forza di opposizione fino alla clamorosa scissione. D'altronde le sirene di Carlo Calenda e del suo progetto centriste sono sempre più forti e moltissimi tra i riformisti e i liberal (e cattolici) Dem non vogliono assolutamente insieme il populismo di Giuseppe Conte e la sinistra-sinistra di AVS ovvero Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli.
Ed ecco paventarsi all'orizzonte l'ipotesi scissione con una fetta importante del Partito Democratico che si stacca, lascia, abbandona la segretaria e il suo feeling (politico) con Maurizio Landini e Conte per cercare di costruire un nuovo centro alternativo ai due schieramenti, visto che in molti sono convinti che se Matteo Salvini sia un problema per l'Italia e l'Unione europea altrettanto valga per il Movimento 5 Stelle. I più probabili a lasciare il Pd sono certamente tutti coloro che hanno annunciato che non voteranno i due referendum principali sul lavoro della Cgil, appunto Guerini, Gori, Picierno e altri, ma a questi potrebbero aggiungersi big del calibro di Graziano Delrio, Piero Fassino e perfino il presidente del partito Stefano Bonaccini (compresi anche altri esponenti meno noti della minoranza Dem, tra parlamentari, ex deputati e senatori, sindaci, consiglieri regionali e comunali). E così tornano alla mente i festeggiamenti per il flop renziano nel 2016 di Bersani & Co. che potrebbero tornare, in senso opposto, questa volta dopo l'8 e il 9 giugno come preludio di una clamorosa scissione nel Pd.
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