Riforma della giustizia, vittoria del SI' con il 55%. Trionfo di Meloni. Affaritaliani 'anticipa' i risultati del referendum

Gli indecisi sono un terzo circa dei cittadini. Analisi

di Alessandro Amadori, politologo e sondaggista
Tribunale e Processo
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La consultazione in questione sarà molto polarizzante e potrebbe trasformarsi in un giudizio politico sul governo Meloni
 

Nella primavera del 2026, ci sarà il referendum sulla riforma della giustizia, perché la modifica proposta riguarda articoli della Costituzione italiana e quindi richiede la conferma popolare, se non approvata da una maggioranza qualificata in Parlamento. Inoltre, diverse forze politiche lo hanno richiesto per coinvolgere direttamente i cittadini su un tema molto divisivo.

La riforma, promossa dal governo Meloni e dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, introduce la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, con accessi distinti tramite concorsi separati. Si avranno due Consigli Superiori della Magistratura (CSM): uno per i giudici e uno per i PM, con membri sorteggiati per ridurre l’influenza delle correnti. Ci sarà anche una nuova Alta Corte disciplinare per giudicare i magistrati.

Le forze politiche appaiono divise in due blocchi: la maggioranza è compatta nel sostenere la riforma e la sua conferma referendaria (in particolare Forza Italia, ha dichiarato di voler essere il primo partito a promuovere il referendum). L’opposizione (PD, M5S, AVS), invece, critica la riforma perché, a suo parere, indebolisce l’autonomia della magistratura e non affronta i veri problemi della giustizia, come la lentezza dei processi. 

Tutto ciò premesso, quale sarà, presumibilmente, il risultato del referendum? La mia impressione è che la consultazione in questione sarà molto polarizzante e potrebbe trasformarsi in un giudizio politico sul governo Meloni, più che sul merito della riforma. L'esito è incerto, ma si prevedono un'alta partecipazione e una campagna elettorale molto accesa. Provando ad azzardare un pronostico, dovrebbe vincere il “sì” con un margine non schiacciante: diciamo 55 per cento contro 45 per cento. Come sempre in una votazione popolare, molto dipenderà da come i partiti e i loro leader sapranno comunicare, anche tenendo conto che gli indecisi ammontano a un terzo circa dei cittadini.

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