Sanchez, debole in patria, vuole sostituire Macron nel ruolo di anti-Meloni in Europa. Ma la Spagna non è con lui
Il premier spagnolo è pressato in patria dalle inchieste che stanno sconvolgendo il suo partito e da una maggioranza sempre più debole e litigiosa
Sul palcoscenico internazionale Sanchez, che è sempre stato poco più che una comparsa, adesso vuole ergersi a paladino dei socialisti di mezza Europa
Si discute molto in questi giorni per l’atteggiamento del premier Pedro Sanchez sull’aumento dei fondi per la difesa, richiesta dalla Nato. Il premier spagnolo, in buona sostanza, pressato in patria dalle inchieste che stanno letteralmente sconvolgendo il suo partito, e da una maggioranza sempre più debole e litigiosa, cerca di accreditarsi all’estero come leader dei partiti socialisti europei (anche perché è uno degli ultimi rimasti ancora in carica). Ma lo sta facendo con modi e tempi sbagliati, rischiando di mettere sé e il paese all’angolo in Europa (fa sorridere ora che proprio i socialisti hanno sempre rimproverato alla Meloni di essere isolata in Europa).
In patria il premier spagnolo qualche giorno fa si è scusato pubblicamente per le tangenti che il numero 3 del partito, Santos Cerdian, accusato di aver intascato 600.000 euro e costretto dallo stesso premier a dimettersi da tutte le cariche. Ma malgrado tutto il resiliente Sanchez, che è riuscito ad andare di nuovo al governo, malgrado alle ultime elezioni avesse vinto nettamente il Partito Popular (evidentemente questo è un'abitudine non solo della sinistra italiana), grazie ad un accordo (qualcuno parla apertamente di ricatto) dei partiti indipendentisti baschi e catalani.
In cambio dell'appoggio al governo, Sanchez ha concesso l'amnistia a coloro che avevano organizzato il referendum secessionista del 2017, e che per questo erano finiti in galera. Sanchez è uomo che ormai sa navigare benissimo nei mari malmostosi della politica spagnola e non sembra intenzionato a mollare la tolda di comando, malgrado le tante inchieste che stanno interessando anche i familiari più stretti. Sul palcoscenico internazionale invece lui che è sempre stato poco più che una comparsa, adesso vuole ergersi a paladino dei socialisti di mezza Europa, che ormai anche al parlamento europeo, dopo cinque anni di dominio sui popolari di Weber dentro un poco ortodossa maggioranza, ora sentono sempre più il fiato sul collo delle destre che avanzano.
Interessante la tesi della editorialista del giornale El confidencial uno dei primi a far uscire lo scandalo di corruzione che sta travolgendo i vertici del Psoe spagnolo) quando si pone una semplice domanda, che in realtà è quella che una buona parte degli spagnoli si pongono da qualche mese a questa parte “La domanda più frequente ultimamente è per quanto tempo Sánchez rimarrà al potere. Da preoccupazione, si sta trasformando in una morbosa curiosità. Come in quelle partite di poker in cui qualcuno è determinato a continuare, pur perdendo tutto, i curiosi si radunano intorno a lui, incapaci di smettere di guardare. Alcuni soffrono, altri gioiscono. Sanchez ricorda i giocatori di poker, che continuano a giocare, anche quando vengono spennati”.
Una metafora che sembra attagliarsi alla perfezione alla situazione attuale del premier spagnolo. Perché di un azzardo da giocatore di poker sembra proprio quello operato sulla questione della spesa per la difesa. Perché, se durante il vertice ha firmato, come tutti i leader, il documento per impegnarsi ad arrivare al 5% in dieci anni di spesa per la difesa, poi nelle dichiarazioni pre e post vertice, ha invece sostenuto che la Spagna mai arriverà a quella cifra. Sánchez non ha rilasciato alcuna dichiarazione, né ha giustificato il suo rifiuto di aumentare la spesa militare oltre il 2% del PIL durante la riunione dei leader della NATO. Il Primo Ministro spagnolo secondo quanto scrive il giornale El Mundo, riportando importanti fonti della Nato "non ha osato difendere il suo rifiuto di fronte a Trump", aggiungendo che il suo atteggiamento è stato definito da "pollo".
Sánchez ha difeso la sua posizione, ad esempio, due giorni prima del vertice all'Aia (Paesi Bassi) in una dichiarazione senza fare domande. È stato esplicito quando ha affermato che "per il governo spagnolo non ha senso impegnarsi a spendere il 5% del PIL per la difesa". E nella conferenza stampa successiva alla riunione, ha affermato che sarebbe stato "un errore assoluto per la Spagna impegnarsi al 5%". Ma durante la riunione, di fronte al Presidente degli Stati Uniti, fonti alleate insistono sul fatto che non abbia detto assolutamente nulla su questo punto. E d’altra parte la stessa Giorgia Meloni alla stampa ha candidamente dichiarato che lei e Sanchez avevano firmato lo stesso documento.
Nella photo opportunity con tutti i leader all’Aja, la sua posizione defilata ha plasticamente rappresentato l’isolamento del leader spagnolo, che qualche giorno fa avrebbe anche dichiarato di volersi ricandidare (malgrado tutti i sondaggi vedono il Ppe sopra il Psoe di 5/7 punti percentuali). Ma il comportamento di Sanchez è continuato anche durante il Consiglio europeo, in cui ha provato a proporre una risoluzione per interrompere l'accordo tra Ue ed Israele, stoppato sul nascere dalla solida alleanza tra Giorgia Meloni e Friedrich Merz. La sensazione che si ha è che Sanchez, dopo il tra Meloni e Macron sembra tornato il sereno, voglia sostituire proprio il francese in chiave anti-Meloni o comunque voglia accreditarsi come leader forte (cosa che Sanchez, anche prima dell’avvento di Meloni a Palazzo Chigi, non è mai stato sul palcoscenico internazionale).
Non si spiega altrimenti, quello che con fastidio qualcuno a Palazzo Chigi ha definito come un’opera di disturbo, la scelta di organizzare una missione in Cina, proprio in concomitanza con l’importante incontro tra Giorgia Meloni e Donald Trump alla Casa Bianca. Il piglio e la determinazione con cui la leader italiana si sta muovendo sui vari tavoli negoziali in Europa e non solo, sorprende e dà fastidio chi credeva invece di avere a che fare con il solito sovranista senza nessuna autorevolezza. D’altra parte, nella sua maggioranza siede quella Yolanda Diaz di Sumar, che più volte ha aspramente criticato, sulle politiche del lavoro o sui diritti civili, ma anche sul tema della gestione dei migranti, le politiche del governo Meloni.
Molti analisti politici in patria da tempo sostengono che Sanchez è da tempo sotto scacco della sua ingombrante rivale della sinistra estrema da un lato sulle tematiche legate al lavoro e all’economia e dei partiti indipendentisti (che in cambio dell’appoggio hanno ottenuto l’amnistia per i reati commessi in passato) dall’altro sulla questione delle pretese autonomistiche di baschi e catalani. E questa situazione lo mette all’ angolo, quando si trova a dover discutere di questioni di politica internazionale. Gli scandali che hanno travolto il Psoe, ma che prima avevano anche coinvolto sua moglie e suo fratello minore, lo hanno enormemente indebolito. E tutto ciò, così come accaduto al presidente francese Macron prima di lui, lo rende nervoso e insicuro e desideroso di smarcarsi da queste beghe interne, cercando di marcare la differenza sul palcoscenico internazionale. Il problema però è che, tornando alla metafora del poker, se non si hanno buone carte in mano, e si gioca ad un tavolo di “squali”, è molto probabile alla fine uscirne con le ossa rotte.
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