Ha cinquantuno anni, non ha preso master ad Harvard e alla Bocconi, e nessun premio giornalistico(ci tiene a dichiararlo), ma si piace come pochi e lo dimostrano foto, ammiccamenti da gatto sornione e biografia non troppo esagerata ma sempre ligia all’agiografia.
La macchina senza targa, una Peugeot 205 dove riceve una telefonata da Giuliano Ferrara( e te pareva) e poi tutto in pendenza tra trasmissioni, giornali, dibattitti. Nicola Porro probabilmente non è molto amato per la sua apparente sfrontatezza e perché ha un appel nazional-popolare che conquista le corde più recondite dello ”spettatore comune”.
La sua Zuppa(o pan bagnato) è seguita ma non seguitissima, i suoi programmi pure, per quel suo dire e non dire, per lasciare sempre aperta un’altra possibilità, come nello spirito del talkismo imperante che lui ha traslato al suo punto più evanescente: leggermente frizzante come la Ferrarelle
Non fa il filosofo come Del Debbio o l’imbonitore come Giordano ma dice le stesse cose, sempre col sorriso sulle labbra, e lo spettatore abbocca ,e lui lo sa perfettamente quale è il potere mediatico di tramettere tutto e il suo contrario con la stessa ineffabilità.
É il vincente istantaneo che deve comunicare la verità alla piccola parte di popolo che lo segue.Tutto qui.
Parla ovviamente di tutto, e su tutto, invita tutti quelli che possono fare audience e passeggia elegante negli studi, parlando a se stesso senza attendere le risposte. Risposte? e a che servono? La star è lui, non il piddino sconosciuto di turno o Renzi o Malena o chicchessia, Porro si gode lo spettacolo a prescindere dagli interlocutori che sono sempre più simili a cartonati montati a caso davanti alla telecamera.
Certo che ne è passato di tempo dalle tribune politiche in bianco e nero ma, in questo caso è difficile trovare un programma di varietà, perché di questo si tratta, più aderente alla realtà contemporanea che è disinteressata a qualsiasi approfondimento, e non può e vuole manifestare alcun tipo di dubbio: sul covid, sul Recovery, sulle banche e sulla politica surreale e surrealista che trova in questi paladini telegenici, i suoi massimi e inconsapevoli (Giletti compreso) cantori.
Si definisce libertario oltre che liberista e liberale, ma questo lo dicono tutti, e poi non c’è bisogno della patente del “Giornale” per capire quale area è più ghiotta per il nostro “Bravo Presentatore”, il terreno di caccia è più ampio e i cacciatori si riducono a poche unità, dunque il successo, di parte, è assicurato e le garanzie su un futuro radioso è garantito.
Sono tutti figli ,più o meno, di Feltri, anche se ambiscono a diventare dei piccoli Montanelli, e si sa nel nostro paese basta avere una buona parlantina e sorvolare sul senso della verità per occupare uno spazio solido nel panorama dello “psico-giornalismo” quotidiano.
Anche analizzarli criticamente questi personaggi del nuovo bestiario italiano(di successo)non è facile perché sono sempre attenti a galleggiare nella prevedibilità, nell’opinione condivisa dai più e nella neo-retorica della neo-lingua e Orwell mi perdoni se faccio queste similitudini, ma quello che sconcerta è l’invulnerabilità di queste forme di comunicazione che scimmiottando la politica, restituiscono agli ignari consumatori nuove forme di intrattenimento stile Studio Uno e simili.
Per questo è difficile contrastarli sul loro territorio protetto perché Nicola fa parlare solo quelli che gli daranno sempre ragione perché appartengono alla stessa scuderia televisiva, alla stessa compagnia di giro, e dunque tra sodali è difficile avere o vedere un dibattito reale, troppo complicato per Porro e co.
La zuppa è pronta e l’audience è salva, il dibattito vero prima o poi arriverà, dopo queste nuove forme di wrestling(dove si combatte per scherzo)perché adesso c’è la pubblicità.
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