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Economia
Affari apre il dibattito sul potere in Bankitalia e nelle banche

Bankitalia e il potere delle banche, il dibattito su Affaritaliani.it

"Banca d'Italia, lo Stato si riappropri di ciò che è suo. Tre motivi per nazionalizzarla": è questo il titolo dell'articolo a firma dell'autore Ezio Pozzati che ha aperto, sulle pagine del nostro giornale, il dibattito sul potere in Bankitalia e nelle banche. Dopo la pubblicazione del commento è arrivata infatti la replica di un lettore di Affaritaliani.it, l'avvocato Antonio Di Ciommo, seguita dalla controreplica di Pozzati. 

LEGGI ANCHE: Banca d'Italia, lo Stato si riappropri di ciò che è suo. Tre motivi per nazionalizzarla

Commento Bankitalia, la replica di un lettore di Affaritaliani.it 

Gentile direttore,

Le scrivo in relazione all'articolo "Banca d'Italia, lo Stato si riappropri di ciò che è suo. Tre motivi per nazionalizzarla". In particolare, segnalo che nell'articolo in questione non c'è nessun dato legislativo che corrisponde alla realtà giuridica odierna in relazione all'ordinamento della Banca d'Italia quale istituto di emissione e banca centrale (oggi partecipante all'Eurosistema) e autorità di vigilanza del settore bancario e finanziario.

Mi riferisco in primo luogo all'asserito "contrasto" con la legge bancaria del 1936. Segnalo tuttavia che la legge bancaria del 1936 è interamente abrogata dal 1993 e gli enti creditizi di diritto pubblico sono stati formalmente privatizzati e quotati in seguito alla Legge Amato del 1990 e non con l'entrata in vigore del testo unico bancario.

Le successive vicissitudini sulle vendite degli enti privatizzati certamente non rientravano nei poteri di vigilanza della Banca d'Italia che, ai sensi dell'art. 19 TUB, può solo autorizzare la cessione di partecipazioni qualificate o di controllo in base alle condizioni specificamente previste dalla legge.

Quanto alla questione delle quote, un approfondito (e, mi consenta, più professionale) esame della normativa da parte della redazione economia avrebbe consentito a quest'ultima di rilevare che le quote in questione non attribuiscono alcun diritto amministrativo ai detentori e solo una minima e limitata partecipazione agli utili derivanti dalle attività di emissione (o meglio, dalla partecipazione alle attività di emissione dell'Eurosistema). Utili che per oltre due terzi vanno attribuiti per legge, invece, alla Repubblica Italiana. 

Le quote sono infatti un'appendice degli enti predecessori della Banca d'Italia (e prima di essa, della Banca Nazionale) quale istituto di emissione e banca centrale risultante dalla fusione di alcuni dei precedenti 5 istituti di emissione post-unitari cui gli istituti privati di minori dimensioni partecipavano per reperire la liquidità necessaria per far fronte alle richieste dei propri depositanti.

La questione sulla titolarità o nazionalizzazione della Banca d'Italia perciò non ha nulla a che fare con le privatizzazioni o con il debito pubblico.  La Banca d'Italia è, infatti, una autorità pubblica che, anche se in possesso di uno status e di una struttura peculiare (si dice, nelle aule di giurisprudenza, che la Banca d'Italia rappresenta un unicum rispetto agli altri enti pubblici), è e resta autorità pubblica dello Stato così come è e resta pubblico il patrimonio di quest'ultima (patrimonio, come l'oro da essa custodito, che certo non le può essere tolto per opera di altre autorità per decisione politica, in quanto esso destinato a garantire nel tempo la costante solvibilità e affidabilità creditizia dell'intero Paese).

Perciò ogni volta che qualcuno parla o scrive della nazionalizzazione della Banca d'Italia non sta esprimendo una legittima opinione, bensì sta commettendo un errore a dir poco marchiano in punto di ordinamento dello Stato e della vigilanza sul settore bancario.

Mi sembra perciò evidente che l'articolo appena segnalato sia da sottoporre a una profonda rettifica, senza la quale la redazione economia del giornale da Lei diretto starebbe solo contribuendo a diffondere informazioni profondamente sbagliate, alimentando inutilmente una totale falsità.

A disposizione per ogni altro chiarimento.

Cordialmente,

Antonio Di Ciommo

Commento Bankitalia, la controreplica dell'autore Pozzati 

Buongiorno Dott. Perrino,

ringrazio sinceramente il Prof. Avv. Antonio di Ciommo per le precisazioni riconoscendo che per alcuni aspetti ha ragione. Però c'è sempre un però: "Le proposte di legge per nazionalizzare la Banca d'Italia | Studio Legale Tidona e Associati | Diritto Bancario e Finanziario l’art. 1 prevede che: i) a decorrere dal 1° marzo 2019, le quote di proprietà della Banca d’Italia detenute da privati siano acquisite dal MEF al loro valore nominale, come stabilito dall’art. 20 del regio decreto-legge 12.3.1936, n. 375, convertito, con modificazioni, nella legge 7.3.1938, n. 141 (capitale pari a 300 milioni di lire); ii) il MEF sia autorizzato a cedere le proprie quote esclusivamente a soggetti pubblici; iii) entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della proposta, sia adottato un regolamento che disciplini le modalità di trasferimento delle quote acquisite dal MEF. L’art. 2 abroga, come poc’anzi accennato, gli articoli 4, 5 e 6 della legge 5/2014.(Anche qui siano in sede di "proposta" e non c'è scritto da nessuna parte che non si possa nazionalizzare BANKITALIA).

"Tuttavia, l’accentramento in capo a pochi gruppi bancari di una significativa aliquota del capitale della Banca[1] rappresentava un’anomalia formale, che si è ritenuto di dover rimuovere tramite l’art. 19 della legge 262/2005 (c.d. legge sul risparmio), che disponeva il trasferimento allo Stato della proprietà del capitale della Banca d’Italia. Questa norma, nondimeno, non ha mai trovato concreta attuazione essenzialmente per due motivi: per la mancata emanazione del relativo regolamento attuativo nei termini previsti e per la preoccupazione che il passaggio di proprietà allo Stato avrebbe potuto determinare una perdita di autonomia e di indipendenza da parte della Banca d’Italia.

Ora senza entrare in polemica con il Prof. Ciommo ribadisco che il Parlamento è sovrano e può anche abrogare leggi precedentemente entrate in vigore.

Ora, la domanda  sorge spontanea che senso ha avere una Banca che deve controllare l'operato di altre banche se queste ultime sono di loro proprietà?

Grazie per le osservazioni e le precisazioni che sono sempre utilissime e mi scuso per non avere approfondito meglio. 

Un cordiale saluto.

Ezio Pozzati 

Commento Bankitalia, la riposta dell'avvocato Di Ciommo 

Gentile Dottore,

precisando di non essere Professore, vorrei però farle notare che, come da me evidenziato poc’anzi, le quote della Banca d’Italia non danno alcun diritto di proprietà o amministrativo sull’Autorità o sul suo patrimonio.

Lei lascia, infatti, intendere che le quote emesse dall’Autorità siano, tutto sommato, identiche per poteri e contenuti, a delle azioni di una qualsiasi S.p.A., con diritto a tutti gli utili che si deliberi di distribuire anno per anno e – soprattutto – il diritto di condizionarne la composizione dell’organo dirigenziale (i.e., la nomina del Governatore e del Direttorio) e intervenire all’assemblea per indicare a detto organo la linea da seguire nella sua gestione.

Ebbene, così non è. Questo è un fatto evidenziato da tutti gli studi istituzionali e storici sull’Istituto. Le quote di partecipazione altro non sono che un residuo della disciplina ottocentesca degli istituti di emissione e hanno rappresentato negli anni il titolo di partecipazione delle singole banche alle operazioni di emissione di banca centrale, operazioni che dovevano essere remunerate per i rischi che comportavano ai singoli partecipanti.

In buona sostanza le quote rappresentano il primo nucleo del sistema di scambio e sostegno interbancario che oggi conosciamo (e che si è andato arricchendo anche del sistema di tutela dei depositanti).

Tutto questo sistema di sostegno reciproco tra le banche del settore mediante le attività di banca centrale (tramite cui è possibile realizzare i depositi di banca centrale e mettere assieme la liquidità da utilizzare per le operazioni di assistenza di emergenza, oggi note come ELA) passa per l’appunto dalle quote come manifestazione di partecipazione al sistema stesso.

Partecipazione che, in ultima analisi, consente di mitigare efficacemente – diversamente da quel che tende ad accadere in altri contesti istituzionali non europei – l’eccessiva instabilità patrimoniale di singole banche (e, conseguentemente, del mercato bancario) in caso di crisi, in ultimo mitigando (ovviamente nei limiti del possibile e del contesto della singola crisi) i danni per investitori e correntisti.

Peraltro le quote negli anni sono diventati una riserva di valore di altissima qualità per gli istituti, fondamentiali in epoca di grandi rafforzamenti patrimoniali per garantire maggiore stabilità (epoca avviata dagli accordi di Basilea seguiti alla crisi del 2008).

Ora si può discutere se sia opportuno mantenere un simile sistema visto il progressivo mutamento del contesto istituzionale ed economico degli ultimi 160 anni.

Tuttavia, segnalo che il medesimo sistema è adottato – oltre che da tutte le altre banche centrali dell’Eurosistema con il proprio settore bancario nazionale – anche dalla Banca Centrale Europea, il cui capitale è partecipato dalle singole autorità nazionali quali partecipanti alle operazioni di emissione globalmente condotte a livello europeo (ricordo, infatti, che l’Eurosistema viene concepito come un sistema federativo di banche centrali al cui vertice è posta la BCE, partecipata dalle singole autorità nazionali dell’eurozona).

A tacer d’altro, poi, continuo a chiedermi cosa si intenda per “nazionalizzazione” della Banca d’Italia (al di là dell’acquisizione delle quote in proprietà dello Stato) quando, per l’appunto, le quote non attribuiscono – come detto e come confermato dallo Statuto della Banca d’Italia – alcun diritto in ordine alla composizione dell’organo amministrativo (nominato, infatti, dal Presidente della Repubblica su proposta del Consiglio dei Ministri) né può in alcun modo influenzare l’esercizio delle proprie “funzioni pubbliche attribuite dal Trattato, dallo Statuto del SEBC e della BCE, dalla normativa dell’Unione europea e dalla legge” (art. 6, comma 2, Statuto in vigore alla data odierna - statuto.pdf (bancaditalia.it)), esercizio che è unicamente soggetto alla legge.

Orbene, a me pare che il contenuto del suo articolo sia – mi si perdoni – profondamente falso e tendenzioso in quanto parte da premesse di fonte storica e legale del tutto sbagliate e dall’assunto – vero, ma interpretato in modo completamente erroneo – che il Parlamento sia sovrano e, dunque, abbia mano libera nel legiferare sullo status, sulle funzioni e disporre a piacimento del patrimonio della Banca d’Italia (e questo mi pare in particolare riferito – come spesso emerge – all’oro da essa custodita e agli investimenti immobiliari e mobiliari compiuti a garanzia dell’affidabilità creditizia del Paese e del suo – vitale – sistema bancario).

Tuttavia, visto che mi pare si voglia far leva sulla sovranità del Parlamento, sovranità regolata – sottolineo, non semplicemente attribuita, ma regolata e limitata – dalla Costituzione, è da tenere in conto (e non mi pare che Lei lo abbia fatto) che la stessa Carta Fondamentale all’art. 47 tutela il risparmio – ossia le risorse private dei cittadini per la soddisfazione dei propri bisogni – tutela che passa – come riconosciuto spessissimo dalla Corte costituzionale e da tutti i commentatori di settore – dalla creazione di un sistema interbancario solido, compartecipato ed efficace e da un sistema di vigilanza prudenziale autonomo nel proprio governo (e nella gestione del proprio patrimonio), dotato delle più ampie capacità tecniche e indipendente nel suo funzionamento (ossia, come anche confermato – tra l’altro – dallo Statuto, soggetto solamente alla legge).

Ne segue, perciò, che il Parlamento, per quanto sovrano, deve conformarsi a questo precetto costituzionale e, dunque, non ha il potere di intervenire sul patrimonio e sul funzionamento dell’Autorità se non in funzione di una migliore attuazione dell’art. 47 Cost. medesimo.

Ora, mi pare inequivocabile ed evidente che la “nazionalizzazione” delle quote, peraltro basata su proposte di legge superate da molto tempo e da prese di posizione a dir poco antistoriche (che in aggiunta trascurano l’effettivo funzionamento del sistema bancario odierno), sia solo una spesa per le casse pubbliche (in quanto comporterebbe una spesa fino a 7,5 miliardi di euro) senza davvero portare alcun beneficio in termini di aumento dell’indipendenza dell’Autorità nell’esercizio delle proprie funzioni di banca centrale e autorità di vigilanza prudenziale (livello che oggi, come da sempre – anche durante il regime fascista – è al massimo possibile).

Ne segue, pertanto, che qualsiasi proposta di ritrasferimento della proprietà delle quote (o qualsiasi altra azione che comporti una maggior concentrazione dell’influenza del potere politico – governativo o parlamentare – sull’Autorità) sia del tutto avulsa da un miglioramento del sistema e, inoltre, capace di compromettere proprio l’indipendenza funzionale dell’Autorità rispetto al potere politico.

Con ciò si spiega, infatti, la mancata adozione del regolamento di cui alla L. 262/2005 da Lei ricordata. Se attuata, quella disposizione avrebbe generato un contenzioso che avrebbe portato – con ogni probabilità – alla declaratoria di incostituzionalità di quella norma.

L’Autorità deve essere indipendente da tutti i portatori degli interessi che essa gestisce, siano essi pubblici o privati (e, dunque, deve essere indipendente tanto dai soggetti da essa vigilati, quanto dal sistema politico che governa di tempo in tempo lo Stato dalla cui legge promana, quanto anche i risparmiatori quali destinatari delle sue funzioni e delle sue tutele).

Dunque, la sua proposta si dimostrerebbe costituzionalmente illegittima per violazione dei precetti di cui all’art. 47 Cost., non solo in quanto una tale nazionalizzazione non ha alcuno scopo pratico effettivo, ma soprattutto in quanto paradossalmente comprometterebbe proprio l’indipendenza dell’Autorità – sia pure a favore del potere politico e, dunque, dello Stato stesso – contrariamente invece alle premesse da Lei così tanto enfatizzate.

Peraltro, ricordo che la Banca d’Italia è tra le autorità di vigilanza più autorevoli (se non la più autorevole) dell’Eurosistema per storia e per efficacia della propria azione di vigilanza in termini di stabilizzazione del mercato in tempi di crisi e, dunque, tutela dei risparmiatori.

Perciò, alla luce di quanto sopra, rinnovo egregio Dottore la necessità di rettificare il suo articolo essenzialmente in quanto riporta dati, evidenze ed argomentazioni profondamente in quanto errate e prive di riscontro in termini storici e legali.

Le consiglierei, infine, di non limitare le proprie ricerche ai portali online e alle newsletter di studi legali (che hanno, invece, una funzione meramente informativa e non, invece, di autentico approfondimento) e di consultare fonti ben più adeguate quali i seguenti volumi:

C. Brescia Morra, Il diritto delle banche, ult. ed., Il Mulino, Bologna, 2023;
R. Costi, L’ordinamento Bancario, ult. ed., Il Mulino, Bologna, 2012;
F. Capriglione (a cura di), Manuale di diritto bancario e finanziario, CEDAM, Padova, 2024.
 

Consiglio inoltre di consultare il documento di cui al seguente link (bibliografia.pdf (bancaditalia.it)), in cui la Banca d’Italia ha raccolto tutta la bibliografia essenziale sulla sua evoluzione storica, giuridica e istituzionale.

A disposizione per ogni altro chiarimento.

Cordialmente,

ADC






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